Alain de Botton: differenze tra le versioni

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*[...] l'impulso architettonico sembra legato a un desiderio di comunicare e commemorare, di dichiararsi al mondo tramite un registro diverso dalle parole, con il linguaggio degli oggetti, dei colori e dei mattoni: all'ambizione di far sapere agli altri chi siamo e, con questo, di ricordarlo anche a noi stessi. (p. 124)
*Se gli edifici sono in grado di fare da deposito dei nostri ideali è perché possono essere purgati di tutti i difetti che corrodono la vita quotidiana. Una grande opera architettonica ci parlerà di serenità, forza, equilibrio e grazia, a cui noi, sia da creatori sia da spettatori, solitamente non sappiamo rendere giustizia; per questo motivo ci sedurrà e commuoverà. L'architettura suscita il nostro rispetto nella misura in cui ci supera. (p. 135)
*Se quando si vede un bell'oggetto la prima reazione dei più è il desiderio di comprarlo, il nostro vero desiderio, però, non è tanto di possedere ciò che giudichiamo bello quanto di rivendicare in modo permanente le qualità interiori che esso incarna. [...] A livello profondo, cerchiamo di assomigliare interiormente agli oggetti e ai luoghi che ci toccano in virtù della loro bellezza, non di possederli fisicamente. (p. 148-150)
*[...] tendiamo a definire bello un oggetto quando scopriamo che contiene in forma concentrata le qualità che mancano a noi personalmente o, più in generale, alla nostra società. Rispettiamo uno stile in grado di distrarci da ciò che temiamo e portarci verso ciò a cui aneliamo: uno stile che ha in sé il giusto dosaggio delle virtù che non possediamo. Il fatto che abbiamo bisogno dell'arte è di per sé segno che siamo in costante pericolo di smarrire l'equilibrio tra i grandi opposti della vita: noia ed entusiasmo, ragione e immaginazione, semplicità e complessità, sicurezza e pericolo, austerità e lusso. (p. 155)
*La comprensione dei meccanismi psicologici del gusto forse non cambierà il nostro giudizio sul bello, ma almeno può impedirci di reagire con incredulità davanti a ciò che non ci piace. Dovremmo saper chiedere subito alle persone di che cosa hanno bisogno per vedere la bellezza di un oggetto e comprendere il tenore della loro privazione anche se non siamo in grado di manifestare entusiasmo per la loro scelta. (p. 164)
*I capolavori dell'arte sembrano sempre eventi casuali e gli artisti assomigliano a cavernicoli che di tanto in tanto riescono ad accendere un fuoco senza però scoprire come hanno fatto, né tanto meno comunicare ad altri il segreto del loro successo. Il talento artistico è come un fuoco d'artificio che attraversa una notte nera come la pece e ispira timore reverenziale negli spettatori ma si spegne nel giro di qualche secondo, lasciando dietro di sé soltanto oscurità e desiderio. (p. 168-169)
*[...] il «pettegolezzo» altro non è che una versione popolare dell'etica. Benché raramente distilliamo in ipotesi astratte i nostri rancori e la nostra ammirazione, seguiamo spesso le orme dei filosofi che hanno scritto trattati allo scopo di identificare e analizzare la bontà umana. [...] Stabilire analogie tra l'architettura e l'etica ci aiuta a comprendere che difficilmente in un edificio ci sarà mai un'unica fonte di bellezza, proprio come nessuna qualità potrà mai giustificare da sola l'eccellenza di una persona. Perché siano efficaci, certe caratteristiche devono emergere nel momento opportuno e in particolari combinazioni. Un edificio con le giuste proporzioni ma composto di materiali inadeguati non sarà meno fragile di un uomo coraggioso cui manchino pazienza e intuito. (p. 172)
*Pretendiamo che l'ambiente in cui viviamo agisca da custode di una tranquillità e di un orientamento sui quali abbiamo un controllo precario. Gli architetti più utili sono quelli tanto generosi da accantonare la rivendicazione del loro genio per dedicarsi alla costruzione di case graziose, ma per lo più prive di originalità. L'architettura dovrebbe avere la sicurezza di sé e la bontà di essere anche un po' noiosa. (p. 181)
*[...] l'equilibrio che apprezziamo nell'architettura e che consacriamo con il termine «bello» indica uno stato che a livello psicologico possiamo descrivere come di salute mentale o di felicità. Anche noi, come gli edifici, conteniamo opposti che si possono gestire con maggiore o minore successo. (p. 197)
*Se certi edifici costruiti con sottile equilibrio ci emozionano è perché sono esemplificazioni di una possibile scelta tra aspetti conflittuali del nostro carattere, della legittima aspirazione a trasformare le nostre preoccupanti contraddizioni in qualcosa di bello. (p. 199)
*[...] l'impressione di bellezza che ricaviamo da un'opera architettonica è in relazione diretta con l'intensità delle forze alle quali si contrappone. [...] C'è bellezza in ciò che è più forte di noi. (p. 203)
*[...] una sottocategoria delle bellezza che possiamo chiamare eleganza, una qualità presente ogniqualvolta un'opera architettonica sa mettere in atto una resistenza – trattenere, estendersi, proteggere – con grazia ed economia oltre che con forza, quando è tanto modesta da non richiamare l'attenzione sulle difficoltà che ha dovuto superare. (p. 204)
*[...] per giudicare elegante un'opera architettonica, non basta che sembri semplice: dobbiamo sentire che la semplicità è duramente conquistata e che deriva dalla soluzione di un problema tecnico o naturale di grande difficoltà. [...] Ammiriamo le opere semplici che, senza uno sforzo immenso, sarebbero apparse molto complicate. (p. 207)
*Quando gli edifici parlano non lo fanno mai con un'unica voce. Sono cori più che solisti e posseggono una natura molteplice che fa nascere l'opportunità di belle consonanze oltre che di contrasti e discordanze. Mentre all'apparenza certi edifici concordano sulla loro missione estetica e hanno persuaso gli elementi disparati che li compongono a fondersi per dare un contributo logico alla totalità, altri sembrano più in disaccordo sulle loro intenzioni, poiché le loro caratteristiche puntano lamentosamente in direzioni diverse. (p. 215)
 
==''Esercizi d'amore''==