Zhong Acheng: differenze tra le versioni

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===Il re dei bambini===
Nel 1976 erano già sette anni che lavoravo nella brigata di produzione. Avevo imparato ad abbattere gli alberi, bruciare le stoppie, scavare le buche, selezionare le pianticelle, zappare il terreno, rivoltare le zolle, seminare il grano, nutrire i maiali, tagliare l'erba, fare mattoni cotti al sole. L'unico [[problema]] era che, essendo debole di costituzione, non ero tra i migliori. Ma questo non mi preoccupava, dopotutto riuscivo a mantenermi con il mio [[lavoro]].<br>
Un giorno di gennaio, il segretario di partito della brigata mi chiamò a casa sua. Non avevo idea di cosa volesse. Entrai, mi accucciai nel vano della porta e attesi che parlasse. Il segretario mi lanciò da lontano una sigaretta, ma io non la vidi e finì per terra. Quando me ne accorsi, la raccolsi in fretta e gli sorrisi. Lui mi lanciò i fiammiferi; io accesi, tirai una boccata e dissi: – è una Jinshajiang? -. Il segretario annuì mentre fumava facendo gorgogliare la sua pipa ad [[acqua]].
 
===Il re degli scacchi===
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===Il re degli alberi===
Il trattore che portava i giovani istruiti entrò nella valle e finalmente si fermò in una piccola radura. I giovani, che lungo tutto il tragitto avevano ammirato il paesaggio incontaminato, capirono di essere giunti a destinazione e saltarono giù dal carro con entusiasmo.<br>
Su un lato della radura c'erano alcune casupole con il tetto di paglia. Davanti a queste una fila di persone, alte e base, vecchie e giovani, ci guardavano con la [[bocca]] spalancata. Erano quasi immobili. I [[bambini]] guizzavano via come pesci. Il segretario del partito che ci aveva accompagnato si spazientì e gridò: – Venite a dare il benvenuto! -. Allora si fece avanti un [[uomo]] basso che, forzando un [[sorriso]], venne a darci la mano impacciato. Le ragazze tesero le loro, ma lui non le strinse. Dopo essersi sfregato le mani, andò a stringere solo quelle di noi maschi. Sul [[viso]] di quelli cui aveva stretto la mano vidi apparire una strana espressione. Mentre mi chiedevo come mai, giunse il mio turno. Gli porsi la mano e guardandolo dissi: – Buongiorno -. Fu come se la mano mi fosse stata schiacciata nella fessura di una porta.
 
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