Gaio Lucilio: differenze tra le versioni

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==''Satire''==
===Libro I===
*<ref>Questa prima satira, in cui Lucilio narra del ''concilio degli déi'' (un ''τόπος'' greco presente anche nell<nowiki>'</nowiki>''[[w:Apokolokyntosis|Apokolokyntosis]]'' di [[Seneca]]), vuole essere soprattutto la parodia dell'istituzione senatoria. Lucilio inoltre attacca gli déi, colti in fallo e difetto proprio quando Roma ha più che mai bisogno del loro aiuto, mentre infuriano le guerre sociali, sia prima che dopo i tentativi di riforma agraria attuati dai fratelli [[Tiberio Sempronio Gracco|Tiberio]] e [[Gaio Sempronio Gracco]].</ref> Gli dèi discutevano sui grandi problemi degli uomini...<br />come Giove potesse salvare ancora il popolo e la città di Roma...<br />e, se non più a lungo, prolungarne l'esistenza almeno di un cinquennio...<br />e in qual modo potesse attuare il proposito e salvare le mura. (1968)
:''Consilium summis hominum de rebus habebant...<br />quo populum atque urbem pacto servare potisset<br />amplius romanam...<br />si non amplius, at lustrum protolleret unum...<br />munus tamen fungi et muros servare potisset.''
 
*<ref>Quirino, ossia Romolo divinizzato, presunto "presidente" della seduta, esprime i suoi amari rimorsi per il ritardo nel riunire l’assemblea, essendo consapevole del fatto che in quel mentre la situazione di Roma sta precipitando. L’estrema umanità degli déi, propria della religione greco-romana, si manifesta anche nei vincoli imposti dal tempo (vedi ''priore''/prima) indistintamente ai mortali e agli immortali; cosa, questa, non propria del paradiso cristiano, per esempio.</ref> '''Quirino''': O abitanti del cielo, dalla vostra assemblea vorrei sapere ciò di cui discutete da tempo.<br />Vorrei, dico, che ci fossimo riuniti a consiglio prima!
:'''''Quirinus''''': ''Vellem consilio vestrum quod dicitis olim,<br />Caelicolae. Vellem, inquam, adfuissemus priore<br />consilio.'' (1830)
 
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:''Haec ubi dicta dedit, fecit pausam ore loquendi.'' (18 Marx)
 
*<ref>Per bocca di Apollo - dio della medicina, della musica, della profezia e della poesia - Lucilio deride l'epiteto di "pater" che si suole attribuire indistintamente a tutti gli dèi.</ref> '''Apollo''': Non c’è nessuno di noi che non sia o l’ottimo padre degli déi<br />o il padre Nettuno o il padre Libero o il padre Saturno o il padre Marte,<br />Giano, Quirino, e non venga chiamato con questo nome. (1968)
:'''''Apollo''''': ''Nemo sit nostrum quin aut pater optimus Divum,<br />aut Neptunus pater, Liber, Saturnus pater, Mars,<br />Ianus, Quirinus pater siet ac dicatur ad unum.''
 
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===Libro VII===
 
*<ref>Lucilio attacca i vizi dei Romani, ironizzando anche sull'eccessiva cura per il corpo da parte loro. A parlare nel breve estratto è un uomo: può trattarsi di Lucilio stesso, che ironizza in prima persona, oppure di un suo concittadino noto per l'uso eccessivo di cosmetici, olii e profumi.</ref> Mi rado, mi depilo, mi striglio, mi liscio, mi agghindo,<br />mi fo bello, mi trucco... (2005)
:''Rador, subvellor, desquamor, pumicor, ornor,<br />expolior, pingor...'' (1830)
 
===Libro IX===
 
*Tu non conosci l'esatto significato di «poesia», nè che differenza passi fra «poesia» e «poema».<br />Incominciamo da quello che noi chiamiamo «poema»:...<br />«poema» è anche una qualsivoglia lettera non lunga;<br />«poesia» invece è un'opera considerata nel suo complesso (una composizione unica nel suo complesso come l'[[Iliade]],<br />come gli annali di [[Quinto Ennio|Ennio]]) ed è un'opera unica,<br />ed è molto più ampia, come ho già detto, di un poema.<br />Perciò dico: chi vuol criticare [[Omero]] non è che lo critichi tutto,<br />e neppure critica ciò che ho chiamato prima la sua «poesia»;<br />ne critica un verso solo, una parola, un concetto, un passo isolato. (1968)
:''Non haec quid valeat, quidve hoc intersiet illud<br />cognoscis. Primum hoc, quod dicimus esse poema...<br />...Epistula item quaevis non magna poema est.<br />Illa poesis opus totum, (tota Ilias una<br />est, una ut thesis''<ref name=gr>Lucilio, abusando di termini greci, attira contro di sé gli strali di [[Quinto Orazio Flacco|Orazio]].</ref>'' annales Enni) atque opus unum<br />est, maius multo est quam quod dixi ante poema.<br />Qua propter dico: nemo qui culpat Homerum,<br />perpetuo culpat, neque quod dixi ante poesin;<br />versum unum culpat, verbum, entymema''<ref name=gr/>'', locum unum.''
 
===Libro XXVI===
 
*<ref>L'aristocrazia senatoria offrì a Lucilio un importante incarico politico nella provincia d'Asia, ma quegli si rifiutò, preferendo l'''otium'' di Roma ai saccheggi di terre lontane. Puoi inoltre ritrovare in questo brano il ''soggettivismo'' luciliano: al proposito leggi la voce di Gaio Lucilio in Wikipedia.</ref> Che io debba diventare un pubblicano dell'Asia, un esattore di imposte,<br />invece che essere Lucilio, questo io non lo voglio, e al posto di questa cosa sola non vorrei in cambio tutto l'oro del mondo. (2005)
:''Publicanus vero ut Asiae fiam, ut scripturarius<br />pro Lucilio, id ego nolo, et uno hoc non muto omnia.'' (671-672 Marx)
 
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:<ref>Attribuito a Lucilio, presente in [[Aulo Persio Flacco|Persio]], ''Satire'', libro I, verso 1.</ref> ''O curas hominum! O quantum est in rebus inane!'' (9 Marx)
 
*<ref>Lucilio attacca la corruzione dei cittadini romani.</ref> Ora dalla mattina presto a tarda notte, nei giorni di festa e di lavoro,<br />tutto il popolo e i senatori, senza distinzione,<br />si agitano per il fòro, e non se ne vanno mai;<br />tutti si sono dedicati a un'unica attività, a un'unica arte:<br />riuscire a imbrogliarsi senza darlo a vedere, combattersi con la frode,<br />gareggiare in complimenti, fingersi galantuomini,<br />tendersi trabocchetti, come se fossero tutti nemici l'uno dell'altro. (2005)
:''Nunc vero a mani ad noctem, festo atque profesto,<br />totus item pariterque die populusque patresque<br />iactare indu foro se omnes, decedere nusquam,<br />uni se atque eidem studio omnes dedere et arti,<br />verba dare ut caute possint, pugnare dolose,<br />blanditia certare, bonum simulare virum se,<br />insidias facere, ut si hostes sint omnibus omnes.'' (1228-1234 Marx)
 
*<ref>Corre l'anno 121 a.C., e Quinto Muzio Scevola, detto Augure, è pretore ad Atene. Incontra per caso Tito Albucio, e lo saluta in greco (''chaere'' (Χαῖρε), che equivale al ''vale'' latino, significante: ''stammi bene! Salute a te!''), come se Tito non fosse un cittadino romano, e quindi non capisse il latino. Il che sarà preso come un'offesa da Tito, il quale, l'anno successivo, accuserà il pretore Scevola di estorsione: quegli dovrà tornare in Italia, a Roma, per pronunciare la propria difesa davanti a un tribunale, ed essere assolto in tempo per candidarsi al consolato e ottenerlo nel 117 a.C.; si andrà formando tra i due, col tempo, un divario sempre maggiore, e una lunga serie di incidenti deteriorerà i rapporti tra i due.</ref> '''Quinto Muzio Scevola Augure''': O Albucio, tu hai preferito essere detto greco, invece che romano o sabino,<br />concittadino di Ponzio<ref>Cittadino di probabili origini sannitiche.</ref>, di Tritano<ref>Uomo di forza erculea, di probabili origini sannitiche.</ref>, concittadino di centurioni<ref>Il ''[[w:Centurione|centurio]]'' comanda una [[w:Centuria|centuria]], il cui numero di armati si aggira intorno al centinaio.</ref>,<br />di uomini insigni, di primipili<ref>Il ''[[w:Primus pilus|primus pilus]]'' è il capo di tutti centurioni che operano all'interno della sua legione.</ref> e di alfieri<ref>Il ''[[w:Signifer|signifer]]'' è il portainsegne romano.</ref>.<br />Perciò ad Atene, al tempo che ero pretore<ref>Il ''[[w:pretore (storia romana)|praetor]]'' era un magistrato romano. Era investito di un pieno potere in ambito militare (detto ''[[w:Imperium|imperium]]''), ma il suo ruolo più importante era svolto in materia giuridica: doveva impostare in termini giuridici le controversie, correggere e colmare le lacune dello ''[[w:Ius civile|Ius civile]]'', presiedere ai processi penali, supplire ai consoli assenti in Roma, sovrintendere talvolta alle manutenzioni delle reti idriche della capitale.</ref>,<br />visto che tu lo preferivi, quando ti sei presentato a me, ti ho salutato in greco:<br />«Chaere, o Tito.». E i littori<ref>Il ''[[w:Littore|littor]]'' era tutore dell'ordine ed era soprattutto assegnato alla difesa personale degli alti magistrati.</ref> e tutta la coorte<ref>La ''[[w:Coorte|cohors]]'', secondo la riforma dell'esercito di Gaio Mario, consta di tre manipoli, dei quali uno di ''hastati'', un secondo di ''principes'', e un ultimo di ''triarii'', per un totale di 600 uomini.</ref> e la folla:<br />«Chaere, o Tito.». Fu da quel momento che Albucio mi divenne nemico, da allora mi fu avversario. (1968)
:'''''Quintus Mucius Scaevola Augur''''': ''Graecum te, Albuci, quam Romanum atque Sabinum,<br />municipem Ponti, Tritani, centurionum,<br />praeclarorum hominum ac primorum signiferumque,<br />maluisti dici. Graece ergo praetor Athenis,<br />id quod maluisti, te, cum ad me accedis, saluto:<br />«Chaere''<ref name=gr/>'', - inquam - Tite!». Lictores, turma omnis chorusque:<br />«Chaere, Tite!», hinc hostis mi Albucius, hinc inimicus.'' (citato in Cicerone, ''De finibus bonorum et malorum'', 1, 9)