Romano Bilenchi: differenze tra le versioni

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Giovanni aveva quasi terminato di costruire la fabbrica, superando anche quanto si era prefisso di murare in quell'anno, secondo le sue possibilità. Avrebbe in seguito innalzato il palazzo in mezzo ai capannoni e ai magazzini e, perché il palazzo fosse grande e dominasse tutti gli altri edifici, aveva lasciato libero, nel posto più adatto, un vasto piazzale sterrato su cui aveva già fatto tracciare le fondamenta. Poi sarebbe andato ad abitare là con i suoi, tra le macchine, un po' fuori della città.<br>Quella sera però, fermatosi nel piazzale, al colmo del suo entusiasmo per il lavoro compiuto, si sentì a un tratto desolato. La sua felicità svaniva. Cercò, ma invano, la causa di quell'improvviso turbamento. Se dentro di sé inseguiva le possibilità di essere felice le riscopriva tutte: i capannoni per gli impianti delle macchine, i magazzini per riporre la merce sorgevano allineati, bianchi di fresca calcina con le finestre e le porte verdi, ai quattro lati del piazzale in mezzo a cui sarebbe nato il palazzo; una parte delle macchine era già alla stazione; e nonostante le grosse spese un buon libretto era ancora intatto alla banca. Quelli erano i mezzi per raggiungere altra felicità e altra agiatezza. Ma i muri bianchi e nuovi, cresciuti sotto i suoi occhi amorevoli, avevano perduto ogni intesa con lui e più egli li guardava più l'improvvisa tristezza che lo aveva assalito si faceva acuta. Si ricordò che durante i lavori di scavo ossa di morti erano venute fuori dappertutto. Era anticamente in quello stesso luogo un convento di frati, crollato con grande rovina. Giovanni pensò che quella terra gli avrebbe portato disgrazia e n'ebbe paura. A poter tornare indietro non si sarebbe fermato nel piazzale; ora una forza strana gli impediva di muoversi. Era cessato il lavoro degli operai e dai magazzini non veniva ormai alcun rumore. Il crepuscolo toglieva i contorni agli edifici; e cominciava a fare fresco.
 
===[[Explicit]]===
Lo invitarono a dare la consegna dei registri nella fabbrica dei Belli, i quali insieme con lo zio avevano deciso di prendere l'officina e tenere lo Zani impiegato. Marco vi andò in compagnia di Andrea. A un tratto Marco disse: «Voglio lo stipendio di questo mese». Gli altri lo guardarono ironicamente. Uno dei Belli gli si precipitò contro gridando: «L'avesse fatto a me quello che ha fatto allo Zani...». Ma non finì la frase perché Marco lo respinse con violenza. E fissando lo zio, sbiancato nel volto, gli disse: «Siete in cinque contro uno e tu, porco, ricordati ciò che ti disse mio padre sul letto di morte. Ma per te ho questa» ed estrasse la pistola. Andrea si scagliò su Marco e lo trascinò fuori. Sulla piattaforma di asfalto che serviva per il carico delle merci, si fermarono. Marco si sentiva esausto. Le lampadine gettavano sull'asfalto nero cerchi di luce che a Marco sembravano macchie di sangue.<br>
«Perché non me l'hai fatto ammazzare?» disse a Andrea. «Ma gli sparerò quando passerà di qui.»<br>Andrea cercava di calmarlo. «Pensi a sua madre» disse.<br>«Mi ci ha messo lei in questo pasticcio.»<br>«Pensi alla sua fidanzata. È tanto giovane e ricomincerà da capo. Magari nella sua piccola città, che è piccola sì, ma ricca e piena di industrie. Un giorno verrò a trovarla. Conosco il Gigli e andremo a salutarlo.»
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*Rimasto solo con Marco, Mauro gli spiegava quanto il [[fascismo]] fosse assurdo, come i grossi industriali, gli agrari si fossero illusi di fermare la storia, mentre questa, un giorno o l'altro, avrebbe ripreso il proprio cammino. Presto la dittatura, già ridotta a un regime di polizia, sarebbe irrimediabilmente caduta. Chi ci avrebbe rimesso più d'ogni altro sarebbero stati gli ingenui, i semplici, i puri come Paolo che avevano creduto a ideali traditi non appena il fascismo aveva preso il potere. (I; p. 52)
 
===[[Explicit]]===
All'improvviso Marco ricordò la domanda che gli aveva rivolto Giuseppe dopo i combattimenti contro i tedeschi e la liberazione di M...: «Quanti morti avete avuto?», e la sua risposta che ora sillabava lentamente: «Ma perché ci debbono essere sempre dei morti?». E rivide il rapido sguardo ironico e insieme doloroso dell'amico.