Javier Marías: differenze tra le versioni

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Credo di non aver confuso ancora mai la finzione con la realtà, anche se le ho mescolate in più di una circostanza come tutti quanti, non soltanto i romanzieri, non soltanto gli scrittori ma coloro che hanno raccontato qualcosa da quando è cominciato il nostro tempo conosciuto, e in questo tempo conosciuto nessuno ha fatto altro che raccontare e raccontare, o preparare e meditare il suo racconto, o ordirlo. Quindi, qualcuno racconta un aneddoto su quanto gli è successo e per il semplice fatto di raccontarlo lo sta già deformando o forzando, la lingua non può riprodurre i fatti e quindi non dovrebbe neppure tentare di farlo, ed ecco perciò che in alcuni processi, immagino – in quelli dei film, che sono quelli che conosco meglio –, si chiede a coloro che sono coinvolti una ricostruzione materiale o fisica dell'accaduto, si chiede di ripetere i gesti, i movimenti, i passi avvelenati che hanno percorso o come hanno pugnalato per diventare colpevoli, e di impugnare ancora una volta l'arma e di assestare il colpo a chi ha cessato di essere e non è più per causa loro, o in aria, perché non è sufficiente che lo dicano o lo raccontino con la massima precisione e con la massima imparzialità, bisogna vederlo e si richiede loro una imitazione, una rappresentazione o messa in scena, anche se adesso senza il pugnale in mano o senza il corpo in cui infiggerlo – sacco di farina, sacco di carne –, adesso a freddo e senza aggiungere un altro delitto né una nuova vittima, adesso soltanto come simulazione e ricordo, perché quello che non possono mai riprodurre è il tempo passato o perduto né resuscitare il morto che ormai è passato e si è perduto in quel tempo.
 
==Bibliografia==
*Javier Marías – ''Nera schiena del tempo'' (2000), Giulio Einaudi editore, traduzione di di Glauco Felici.
 
==[[Explicit]] di ''Un cuore così bianco''==
Luisa a volte canticchia nel bagno, mentre io la guardo prepararsi appoggiato sullo stipite di una porta che non è quella di camera nostra, come un bambino pigro o malato che guarda il mondo dal suo cuscino o senza oltrepassare la soglia, e da lì ascolto quel canto femminile tra i denti che non si fa per essere ascoltato né tantomeno interpretato o tradotto, quel canticchiare insignificante senza intenzioni né destinatario che si ascolta e si apprende e non si dimentica più. Quel canto comunque intonato e che non tace né si stempera dopo che è terminato, quando è seguito dal silenzio della vita adulta, o forse della vita maschile.
 
==Bibliografia==
*Javier Marías, ''Nera schiena del tempo'' (2000), Giulio Einaudi editore, traduzione di di Glauco Felici, Giulio Einaudi editore, 2000.
 
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