Carlo Castellaneta: differenze tra le versioni

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==''Anni Beati''==
===[[Incipit]]===
''agosto 1957''<br>[[Luna]], o luna tu, luna caprese...<br>Non importava che una luna vera mancasse, in quelle [[Notte|notti]], nel [[cielo]] spesso nuvoloso del Tigullio, perché la [voce]] dei sassofoni la rendeva credibile lungo tutta la penisola, anzi da [[Capri]] veniva su fino a Paraggi, rimbalzava da qui alla riviera di Ponente, da un night all'altro, attraverso pinete che odoravano ancora di pino e scogli che sapevano di salso, di modo che anche Paola Villani, la cui foto era pubblicata da un settimanale tra le belle bagnanti di quei [[Giorno|giorni]], poteva illudersi di vederla, quella luna da canzonetta, correndo con le chiome al [[vento]] su una spider Triumph di colore bianco che raschia a ogni curva le gomme, in una fuga di fuoriserie che tornavano da [[Portofino]], con ragazze appese alle portiere come su carri di [[carnevale]], cantare luna caprese con la testa appoggiata alla spalla del pilota, durante una di quelle notti d'[[estate]] che sembrava non avessero mai [[fine]].
 
===Citazioni===
*Era distesa al [[sole]] e lui la toccava.<br>Poteva contemplare il modo in cui la sua [[mano]] si muoveva, con amorevole lentezza e infinita meraviglia, accarezzare il ginocchio e poi risalire, prendendo nota di ogni centimetro di pelle, di come il suo corpo esplodesse in piena [[luce]]; poteva soffermarsi a considerare la solidità dell'anca, la covessità del bacino, poi ridiscendere con assoluta naturalezza fino a inanellare di riccioli le sue dita, appropriandosi sempre più di lei, o meglio della [[coscienza]] di quel privilegio, dal momento che a tratti gli pareva ovvio ciò che gli veniva concesso, ma senza riuscirvi pienamente.<br>Paola lasciava fare, immobile, beandosi di quel [[sole]], indifferente a quelle carezze che subiva ad [[Occhio|occhi]] chiusi.
*Nel [[bacio]], in quell'unico irripetibile momento, l'aveva sentita contro, quasi alla sua stessa altezza. Ma anche quel [[pensiero]], appena formulato, si rovesciava nel suo contrario. Se ne era stato conquistato, voleva dire che c'era in lei un segno di seduzione così prepotente da giustificare qualunque cosa potesse succedere. Rendeva legittimo, se non il possesso, almeno il [[desiderio]] di averla. E che lui l'amasse sembrava ai suoi stessi occhi un privilegio offertogli dal [[destino]], una [[sorte]] senza scampo a cui non era giusto ribellarsi. Semmai erano proprio quelle imperfezioni, che Claudio sentiva di amare maggiormente, non avendo altro fine che renderla più [[Terra|terrena]] e accessibile, mostrarla meno divina, essendo egli incapace di definire in altro modo la [[natura]] di quel fascino.
 
{{NDR|Carlo Castellaneta, ''Anni Beati'', Biblioteca Universale Rizzoli, 1982.}}
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==''Notti e nebbie''==
===[[Incipit]]===
Forse cinquanta, cento metri. In fondo al budello di San Carpoforo, all'angolo con [[via]] mercato, il tedesco fa segno che non si passa. Ce ne sono altri, elmetto e fucile bracciarm, uno a ogni sbocco delle vie laterali. Una retata. Non vedo i camion, però. Un ufficiale attraversa la strada, lancia due colpi di fischietto. Stanno risalendo corso Garibaldi, rastrellando casa per casa, l'ortolana è venuta fuori di corsa con la spranga in mano per abbassare la saracinesca, sento ordini gridati in tedesco, dal Pontaccio vengono avanti tenendosi per mano una schiera di elmetti, devo mostrare il mio tesserino, domando se c'è stato un attentato, pare di no, è solo un rastrellamento di sorpresa, il [[cielo]] comincia a farsi scuro, dovranno sbrigarsi se non vogliono rischiare di lasciarsi sfuggire qualche pesce dalla rete, queste vecchie [[Casa|case]], questi cortili di ringhiere nascondono facilmente disertori e ribelli, una [[donna]] con la borsa della spesa osa chiedere che succede ma il tedesco non sa rispondere, niente di strano, le spiego, una semplice operazione di [[polizia]], controllo didocumenti, non c'è da aver paura, peggio per chinon è in regola, mi ha fissato e si è allontanata diffidente, i tram erano stati fermati all'altezza di piazza del Carmine e la strada sgombra pareva un campo di [[battaglia]], al centro l'auto dell'ufficiale tedesco messa di traverso, una motocarrozzina della gendarmeria sembrava facesse evoluzioni, frenava e ripartiva in grandi semicerchi, stavo per andarmene quando ho sentito il grido, all'angolo del Pontaccio, e poi urla, non si è capito cosa succedeva finché non si è visto un impermeabile, piccolo di statura, che correva a rompicollo rasente il muro, ha incrociato urtando la la vecchia con la sporta, ho visto delle mele che rotolavano sui binari del 17, ora si allontanano anche i pochi curiosi, qualcuno se la da a gambe aumentando la confusione, il sidecar è partito all'inseguimento, urla tedesche e poi un colpo d'[[arma]] da fuoco.
===Citazioni===
*Eravamo finiti sul tappeto ai piedi del divano, e ancora resisteva, per un attimo ho avuto la sensazione d'essere vicino a una rivelazione, ma il suo volto era così acceso e straordinario, la sua [[bocca]] dischiusa nello sforzo di prender fiato, il corpo invitante di una sconosciuta posseduto con gli occhi all'alba, in quell'appartamentino popolare mentre il Fugazza saltava dai tetti, da non potermi chiedere grazia, anzi mi aiuta lei stessa a superare l'ultimo ostacolo, supina sul tappeto, ormai abbandonata, rassegnata a godere, felice di offrirsi come non s'è mai offerta, ti ha mai preso un [[uomo]] così? no, dice, nessuno; le braccia che di colpo mi rivendicano contro di sé; devi imparare ad obbedirgli quando ti cerca; sì, dice, imparerò; [[Vergogna|vergognosa]] di mostrarsi insanguinata alla luce del giorno, tutto il suo gran corpo sconfitto sotto di me, ormai sempre più partecipe, il campanello alla porta deve aver suonato, solo adesso lo sentiamo squillare di nuovo, limpidamente, mentre ci guardiamo sgomenti.<br>«Cosa fai, non apri?»<br>Un dito alle labbra mi fa segno di tacere, impudica scomposta incurante di come si mostra dopo avermi tanto resistito, una figura provocante che non avrei dimenticato, lo sguardo fisso all'anticamera nel timore di una chiave che sta girando nella serratura, strano che Pat non abbaiasse, deve averla lasciata in portineria prima di salire, un ultimo trillo del campanello le fa appena sbattere le ciglia, stringe con più forza la mano che era nella mia, finché un passo si allontana sul pianerottolo, rassegnato discende la scala. (p. 70-71)
 
{{NDR|Carlo Castellaneta, ''Notti e nebbie'', Rizzoli Editore 1984.}}