Domenico Losurdo: differenze tra le versioni

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*Resta fermo che il termine «liberale» nasce da un'auto-designazione orgogliosa, che ha al tempo stesso una connotazione politica, sociale e perfino etnica. Siamo in presenza di un movimento e di un partito che intendono chiamare a raccolta le persone fornite di un'«educazione liberale» e autenticamente libere, ovvero il popolo che ha il privilegio di essere libero, la «razza eletta» – per dirla con Burke –, la «nazione nelle cui vene circola il sangue della libertà». Tutto ciò non è stupefacente. Come è stato chiarito da eminenti studiosi delle lingue indoeuropee, «liberi» è una «nozione collettiva», è un segno di distinzione che compete ai «ben nati» e solo a loro. Proprio per questo, al di fuori della comunità dei liberi e dei ben nati, la servitù o la schiavitù non solo non è esclusa ma è perfino presupposta. Agli occhi di Cicerone, alla testa dei ''liberi populi'' è Roma, che pure procede alla schiavizzazione in massa dei popoli sconfitti e considerati indegni della libertà. In modo analogo, nell'Inghilterra liberale del XVIII secolo, una canzone divenuta assai popolare (''Rule Britannia'') così inneggia all'impero che ha da poco strappato alla Spagna l'''asiento'', il monopolio della tratta dei neri: «Questo fu il suo privilegio divino, / che gli angeli cantarono in coro: / Oh Britannia, comanda alle onde, / Mai gli inglesi saranno schiavi». (cap. VIII, 1, p. 242)
*Fin dagli inizi l'auto-proclamazione della comunità dei liberi avverte a bisogno di far ricorso a miti genealogici che diano un fondamento a questo gesto di distinzione. <ref>Seguono citazioni da Montesquieu, Sidney, Hume, J.S.,. Burke, Lieber.</ref> (cap. VIII, 9, p. 264)
*Inserite in questo contesto storico e teorico, possiamo comprendere due svolte importanti che si verificano nel corso della tradizione liberale. Sappiamo che, inizialmente, la dicotomia liberali/servili ha una forte connotazione sociale ed etnica; questa connotazione tende ad attenuarsi, quanto più significative diventano le concessioni che la comunità dei liberi si vede costretta a fare. Si comprende allora il tentativo di certi settori del movimento liberale di discernere tra liberalismo e [[liberismo]], e di prendere così le distanze da quei settori (liberisti) che, gridando allo scandalo per ogni intervento dello Stato in ambito economico-sociale, si rifiutano di mettere in discussione i rapporti di dominio e di [[oppressione]] presenti all'interno della società civile, della «sfera privata». (cap. VIII, 12, p. 278)
*Assai ingenua si rivela sul piano filosofico la celebrazione della spontaneità del mercato, come se la sua configurazione storicamente determinata non fosse il risultato dell'azione politica! Per secoli il mercato dell'Occidente liberale ha comportato la presenza della schiavitù-merce e la compravendita di servi bianchi a contratto. Persino la linea di confine, che separa merci da un lato e figura dell'acquirente/venditore dall'altro, è il risultato di interventi politici e addirittura militari, per secoli aborriti quali sinonimo di artificioso e violento costruttivismo. (p. 280)
*Più che mai lanciati nell'espansione coloniale e più che mai abbagliati dall'idea della missione di libertà che si attribuiscono in concorrenza l'uno con l'altro, fra Otto e Novecento i diversi centri nazionali della comunità dei liberi risultano muoversi in rotta di collisione. È in questo contesto che possiamo collocare il terzo grande conflitto nella storia del liberalismo, quello che, a partire dalla [[prima guerra mondiale]], vede contrapporsi in particolare da un lato l'Inghilterra (e gli Stati Uniti), dall'altro la Germania, la più recente e ambiziosa recluta della comunità dei liberi, che già alla fine dell'Ottocento ha cominciato ad accarezzare anch'essa l'idea di un impero per la libertà, mettendosi alla testa della crociata per l'abolizione della schiavitù nelle colonie. (cap. VIII, 16, p. 291)