Michele Prisco: differenze tra le versioni

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'''Michele Prisco''' (1920 – 2003), [[scrittore]] e [[giornalista]] italiano.
 
==[[Incipit]]==
===''La provincia addormentata''===
====''La sorella gialla''====
Nella camera c'era un odore caldo e sgradevole, mi prese subito alla gola: quasi mi pareva d'essere rientrata nella stalla, quando la mucca s'era sentita [[male]]. Mancava il puzzo del letame, ma c'era la stessa aria densa e appiccicaticcia. Marina dormiva. Mi avvicinai lentamente al letto: non era più gialla, era bianca, adesso. Ma aveva il letto, la coperta, sporca di [[sangue]] pareva, c'erano macchie rosse che affioravano spandendosi sulla stoffa, c'era quell'odore caldo, fortissimo qui. Istintivamente le tirai di dosso con [[violenza]] il lenzuolo, per quanto respinta da quell'alito pesante; vidi il sangue, le aveva bagnato la camicia, le mani aderenti ai fianchi, era scuro e quasi aggrumato appena percettibile, subito si rapprendeva. Lei non mi aveva sentito, non aveva avuto un gesto: io invece tremavo assalita da una frenetica ebbrezza di disinganno e di [[angoscia]]. Ma riuscii a gridare ugualmente:<br>Marina! Marina!<br>Entrarono tutti, come se fossero stati dietro l'uscio ad aspettare il mio grido: ma ormai bisognava solo lavarla, e metterle un'altra camicia.
 
====''Il capriolo ferito''====
Quando la [[sera]] è carica e silenziosa, i rumori si spogliano d'ogni loro [[umanità]], molti ridiventano semplice suono e acquistano, nella raggiunta impersonalità che li isola, una vibrazione tanto pura da sembrare crudele, traslucida risonanza.
Arnaldo pianse, senza ritegni più, lasciandosi scuotere dai singhiozzi con uno spasimo di ritrovamento e d'espiazione che avrebbe potuto dargli ancora un approdo pensato perduto e aiutarlo a risalire dalla profondità della [[colpa]], non importa a che prezzo. Soffocava contro il guanciale i singhiozzi e il suo grosso corpo sussultava a tratti, sembrava un pino tagliato alla base del tronco, caduto senza possibilità di ritrovare con la chioma il [[cielo]], che lo spaurito brusio degli uccelli sbattuti dal nido colma intorno di lamenti e stridori.<br>«Emanuele,» diceva «ma non sono un assassino? Quel [[giorno]] era così bella, Emanuele, e io l'amavo e pensavo di ucciderla...»
 
===''Una spirale di nebbia''===
E così continuava a fissare assorta la fotografia di sua [[madre]] e a rincorrere l'immagine di Valeria, ormai persa abbandonata dietro questo giuoco di sovrimpressioni: e forse perché adesso doveva pensarla morta, eliminata per sempre, avvertiva a un tratto un vago turbamento, un rimorso, no, non proprio un [[rimorso]], semmai un'insofferenza confusa e delusa, una specie di, come poteva definirla, di necessità di riparazione, ma neppure è l'espressione giusta, di maggiore tolleranza e umanità, di [[ordine]], ecco, di pulizia. Per quel bisogno che abbiamo, di fronte alla [[morte]], di sistemare per [[bene]] i nostri rapporti con coloro che ci hanno preceduti evitando di lasciare zone d'[[ombra]], sentimenti di cruccio o d'acredine, quasi per sentirsi in pace con noi stessi più che per non sentirsi in debito con loro. Quasi per farci perdonare d'essere ancora vivi…
 
===''Le parole del [[silenzio]]''===
Andavano: senza una meta precisa, e come se non li guidasse un itinerario da rispettare ma soltanto quell'abbandono fiducioso alla macchina che pareva condurli essa per suo conto, e scegliere il percorso e il traguardo. Già da poco avevano lasciato la [[città]], e forse tra breve avrebbe piovuto. Per adesso c'era soltanto questo [[vento]] caldo, sonoro, che a intermittenze spingeva verso il centro della via, sull'asfalto, a folate mucchi d'aghi di pino secchi, gli ultimi dell'[[inverno]] appena finito, esilissimi fuscelli accoppiati come le forcine: li vedeva alla luce dei fari ed era soprattutto quest'immagine d'arsura ad accrescere il presentimento della [[pioggia]] (ma lontano c'erano già lampi silenziosi).
 
===''I cieli della sera''===
Questo era già qualcosa, lo sapevo: che il paesaggio, intorno, non presentasse troppi cambiamenti. Anzi diciamo che lo ritrovavo uguale: come se, partendo, lo avessi per [[miracolo]] fissato non tanto nella [[memoria]] quanto piuttosto nella sua [[realtà]] materiale, all'apparenza così solida e tangibile, nutrita invece d'allusioni e rimandi evanescenti simile a quelle tipiche inquadrature di certi servizi televisivi quando a un tratto la macchina le arresta perché lo spettatore possa con più margine notare i particolari che la [[voce]] fuori campo d'un corretto annunciatore suggerisce o commenta – e in tal modo un [[albero]] che poco stormiva al vento d'improvviso si blocca e resta lì davanti ai nostri [[occhio|occhi]] fermo immoto con le foglie in primo piano che somigliano curiosamente a piume palpitanti contro il [[cielo]] quasi prive di materia e farebbero pensare a un asprì di airone o d'altro uccello, ingrandito al massimo, e proprio mentre uno pensa fra stupito e ammirato ''ma guarda se non sembra una pittura informale'' e magari in quel momento sente che potrebbe anche conciliarsi con quel genere di [[pittura]] e d'esperimenti (se è il tipo che non ama queste cose), di colpo il cameraman o chi per lui riprende a girare la pellicola normalmente e l'immagine con un lieve scarro si rianimari[[anima]] ed è di nuovo un albero che stormisce al vento e lungo la strada corre da matti una jeep militare gremita di soldati e in fondo dai terrazzi d'una casa bianca bassa squadrata come un cubo strani personaggi fanno cenni frenetici e possono essere ribelli o civili che aspettano soccorsi.
 
{{NDR|Michele Prisco, ''I cieli della sera'', Rizzoli 1970.}}