Jeffrey Alexander: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
m collegamenti
Riga 3:
==''La costruzione del male''==
*Applicando il metodo sociologico-culturale ad una serie di argomenti diversi ma collegati, spero di dimostrare che la [[cultura]] non è una cosa ma una dimensione, non un oggetto da studiare come variabile dipendente ma una trama che organizza – e da cui non si può prescindere – ogni forma sociale concepibile. (cap. I, p. 24)
*Se l'amore per il [[sacro]], la paura della contaminazione e il bisogno di purificazione hanno continuato a segnare la vita moderna come quella tradizionale, possiamo scoprire come e perché ciò avvenga solo seguendo un sentiero sociologico-culturale.<br>Nella storia delle scienze sociali gli «amici della cultura» sono stati tendenzialmente conservatori. Essi hanno coltivato una nostalgia per l'organicismo e per il vigore della vita tradizionale. L'idea di una sociologia culturale si è spesso fondata su simili aspirazioni, sull'idea che solo nelle società semplici, religiosamente ordinate, non democratiche e ormai passate, i miti, le narrazioni e i codici svolgano un ruolo fondamentale. Questo volume dimostra il contrario. La riflessione e la critica sono radicati in miti rispetto ai quali gli esseri umani non possono essere completamente riflessivi e critici. Se comprendiamo questo, possiamo separare il sapere dal potere invece che esserne solo sottomessi. (cap. I, p. 26)
*Non furono né la repressione delle emozioni né il buon senso morale a dar vita alle prime reazioni allo sterminio degli ebrei. Fu, piuttosto, un sistema di rappresentazioni collettive che focalizzò il suo fascio di luce narrativa sulla trionfante espulsione del [[male]]. (cap. I, p. 51)
*Come sottolineava Dilthey, i significati sono sicuramente governati da strutture così come i processi economici e politici; solo sono governati in modi diversi. Ogni tentativo di sviluppare una scienza sociale interpretativa deve iniziare con la ricostruzione di questa struttura culturale. (cap. I, p. 62)
*Invece della redenzione attraverso il progresso, la narrazione tragica offre ciò che Nietzsche ha chiamato il dramma dell'eterno ritorno. Come si è ormai capito, non esisteva alcun modo per «andare oltre» la storia dell'[[Olocausto]]. Esisteva solo la possibilità di ritornarvi: non trascendenza ma catarsi. (cap. I, p. 68)
*Nella misura in cui l'Olocausto è giunto a definire la disumanità nel nostro tempo, esso ha dunque svolto una funzione fondamentalmente morale. La «moralità post-Olocausto» ha potuto svolgere questo ruolo, tuttavia, solo attraverso una forma sociologica: è diventata una metafora di collegamento che gruppi sociali di diverso potere e legittimità hanno utilizzato per definire logicamente come bene o come male gli eventi storici in corso. Ciò che l'Olocausto ha identificato come il male più profondo è l'impiego sistematico ed organizzato della violenza contro i membri di un gruppo collettivo stigmatizzato, sia esso definito secondo criteri primordiali o ideologici. Questa rappresentazione non solo ha identificato come male radicale i colpevoli e le loro azioni, ma ha interpretato come male anche i non-attori. Secondo i criteri della moralità post-Olocausto ad ogni individuo è ora richiesto, normativamente, lo sforzo di intervenire contro qualsiasi Olocausto, al di là di ogni considerazione di costi e conseguenze personali. (cap. I, p. 91)
*[...] i paesi o le civiltà che non riconoscono l'Olocausto possono sviluppare moralità politiche universalistiche? Ovviamente, le nazioni non-occidentali non possono «ricordare» l'Olocausto, ma nel contesto della globalizzazione culturale sono certamente diventate gradualmente consapevoli del suo significato simbolico e della sua importanza sociale. Potrebbe anche verificarsi che le nazioni non-occidentali sviluppino drammi del trauma che siano funzionalmente equivalenti all'Olocausto. (cap. I, p. 118)
*Nella storia delle società umane, è spesso accaduto che diversi resoconti narrativi dello stesso evento fossero in competizione tra loro, e si alternassero nel corso del tempo. Nel caso dello sterminio degli ebrei compiuto dai nazisti, ciò che era un tempo descritto come il preludio e la spinta verso il progresso morale e sociale è stato ricostruito come l'innegabile dimostrazione che nemmeno i più «moderni» sviluppi della condizione umana possono assicurare un [[progresso]] se non in un senso puramente tecnico. (cap. I, pp. 118-9)
*La versione illuministica vede il trauma come una sorta di risposta razionale all'improvviso mutamento, a livello sia individuale che sociale. Gli attori sociali percepiscono chiaramente gli oggetti o gli eventi che causano il trauma, le loro risposte sono lucide, e gli effetti di tali risposte sono risolutori e orientati al progresso. (cap. II, p. 131)
*Il trauma non è il risultato di un dolore provato a livello di gruppo. E' il risultato del processo per cui questo acuto disagio penetra nel senso d'identità della collettività. Gli attori collettivi «decidono» di rappresentare il dolore sociale come una minaccia fondamentale al loro senso di identità, alle loro radici e ai loro obiettivi. In questo paragrafo descriverò la natura di queste azioni collettive e i processi culturali e istituzionali che le mediano. (cap. II, p. 142)