Heinrich Harrer: differenze tra le versioni

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*Di nuovo trovammo i tipici mucchi di pietre, sopra i quali ondeggiavano le più variopinte banderuole sacre che avessi mai visto. (p. 112)
*Quante volte questa strada avrà udito i pellegrini mormorare senza posa la più usuale formula mistica buddhista, «[[Oṃ Maṇi Padme Hūṃ|Om mani padme hum]]», per mezzo della quale essi chiedono protezione dai gas velenosi, come chiamano i tibetani la mancanza di ossigeno. (p. 112)
*I tibetani, come tutti i mongoli, non hanno quasi peli sul corpo. Noi invece portavamo una barba incolta, come un bosco selvaggiamente cresciuto. Perciò eravamo spesso considerati dei [[kazaki]], una razza dell'Asia centrale, i cui appartenenti erano emigrati a frotte, durante la [[Seconda guerra mondiale|guerra]], dall'[[Unione Sovietica]] nel [[Tibet]]. Avevano attraversato con famiglie e greggi, predando, il paese, e l'esercito tibetano aveva cercato di spingerli quanto più rapidamente possibile verso l'India. I kazaki sono spesso di pelle piuttosto bianca, hanno occhi chiari e una barba normale. Non c'era qundiquindi da meravigliarsi se ci avevano creduti di tale razza, respingendoci molte volte quando chiedevamo asilo sotto le tende. (p. 119)
*Il 15 gennaio 1946 partimmo per l'ultima tappa. Dalla regione di Tolung sfociammo nella larga valle del Kyi Chu. Doppiammo un angolo e vedemmo brillare in lontananza i tetti dorati del [[Palazzo del Potala|Potala]], la residenza invernale del Dalai Lama, il più famoso monumento di Lhasa. (p. 120)
*E qui davanti a noi [[Drepung]], il più grande monastero del mondo, dove vivono circa diecimila monaci. (p. 121)