Vittorio Imbriani: differenze tra le versioni

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==Citazioni di Vittorio Imbriani==
*E se almeno sapessero il greco!... Ma per lo più conoscono il linguaggio di Platone e d'Epicuro come quel bergamasco impostore che spacciava d'averlo imparato ne' suoi viaggi, probabilmente immaginari. Ma fatecene sentire qualche frase, insisteva certa gente dabbene. Ed egli: Μύ μελαρρύδω δέ στυμιγχιών. E quei minchioni: Oh com'è dolce, com'è grazioso il greco! Che bella lingua davvero!<ref>Da ''Giovanni Berchet ed il romanticismo italiano'', in "Nuova Antologia", vol. VIII, 1868, p. 278.</ref>
*[...] i birbanti hanno talvolta un cuore, e massime i birbanti che nascono sotto il cielo di [[Napoli]].<br>A Napoli, un uomo senza cuore è una deplorabile eccezione...<br>Questa specialità non si trova che nel ceto de' ricchi. È l'inferno che Dio dà loro..<ref>Da ''Misteri di Napoli: {{small|studi storico-sociali}}'', Stabilimento Tipografico del Commend. G. Nobile, Napoli, 1869, vol. I, [https://books.google.it/books?id=ZntJAQAAMAAJ&newbks=1&newbks_redir=0&dq=&pg=PA170#v=onepage&q&f=false cap. VV, p. 170].</ref>
*{{NDR|Il [[Barocco]]}} I difetti del secolo, ripeto, furono difetti napoletaneschi, difetti di un popolo che ha più immaginazione che fantasia, più acume ed arguzia che sentimento e passione, il quale rimane con la testa fredda in mezzo agli impeti più selvaggi ed arzigogola e sofistica anche quando sragiona.<ref>Da ''Il gran Basile'', Giorn. Napol. di Fil. e Lett., Sc. Mor. e Pol., Vol. I e II, Napoli, 1875-76; Vol. II, p. 448. Citato in ''I classici italiani nella storia della critica'', opera diretta da [[Walter Binni]], vol. I, ''da [[Dante Alighieri|Dante]] a [[Giovan Battista Marino|Marino]]'', La Nuova Italia, Firenze, 1974, p. 679.</ref>
*In [[Italia]] non mi ci posso più vedere. È la [[patria]] mia, è quella che ho amato, che ho tanto desiderata lontano; eppure qui mi sento infelice e mi tormenta la nostalgia. Tutti i buoni soffrono un pochino codesto male, perché tutti debbono vedere, notare uno stacco profondo fra la patria qual è, e la patria quale si vorrebbe che fosse. Ma in me, questa nostalgia è più crudele, più determinata, perché non sono innamorato d’un ideale fantastico, d’un’Italia migliore che esiste solo nell’immaginativa mia. Io conosco un’altra Italia simile affatto a quella che vorrei fosse questa Italia mia nativa; ed è per ritrovarla che m’imbarcherò posdomani.<ref>''Da Naufragazia. Frammento,'' con un’avvertenza di Gino Doria, in «''Nuova Antologia''», CC-CLXXIV (1934), pp. 369-381: p. 369.</ref>