Romano Bilenchi: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
m Automa: Correzione punteggiatura e spazi
m Automa: Sostituzioni normali automatiche di errori "tipografici"
Riga 2:
 
==''Il capofabbrica'' ==
===[[Incipit]]===
Giovanni aveva quasi terminato di costruire la fabbrica, superando anche quanto si era prefisso di murare in quell'anno, secondo le sue possibilità. Avrebbe in seguito innalzato il palazzo in mezzo ai capannoni e ai magazzini e, perché il palazzo fosse grande e dominasse tutti gli altri edifici, aveva lasciato libero, nel posto più adatto, un vasto piazzale sterrato su cui aveva già fatto tracciare le fondamenta. Poi sarebbe andato ad abitare là con i suoi, tra le macchine, un po' fuori della città.<br>Quella sera però, fermatosi nel piazzale, al colmo del suo entusiasmo per il lavoro compiuto, si sentì a un tratto desolato. La sua felicità svaniva. Cercò, ma invano, la causa di quell'improvviso turbamento. Se dentro di sé inseguiva le possibilità di essere felice le riscopriva tutte: i capannoni per gli impianti delle macchine, i magazzini per riporre la merce sorgevano allineati, bianchi di fresca calcina con le finestre e le porte verdi, ai quattro lati del piazzale in mezzo a cui sarebbe nato il palazzo; una parte delle macchine era già alla stazione; e nonostante le grosse spese un buon libretto era ancora intatto alla banca. Quelli erano i mezzi per raggiungere altra felicità e altra agiatezza. Ma i muri bianchi e nuovi, cresciuti sotto i suoi occhi amorevoli, avevano perduto ogni intesa con lui e più egli li guardava più l'improvvisa tristezza che lo aveva assalito si faceva acuta. Si ricordò che durante i lavori di scavo ossa di morti erano venute fuori dappertutto. Era anticamente in quello stesso luogo un convento di frati, crollato con grande rovina. Giovanni pensò che quella terra gli avrebbe portato disgrazia e n'ebbe paura. A poter tornare indietro non si sarebbe fermato nel piazzale; ora una forza strana gli impediva di muoversi. Era cessato il lavoro degli operai e dai magazzini non veniva ormai alcun rumore. Il crepuscolo toglieva i contorni agli edifici; e cominciava a fare fresco.
 
Riga 12:
 
==''Il bottone di Stalingrado''==
===[[Incipit]]===
Marco aveva un amico che si chiamava Paolo. Marco era figlio di Antonio, un medico che abitava in un villino alla periferia della città di S... a pochi metri dalle casupole degli operai, sovrastate dalle enormi moli delle vetrerie, delle ferriere e delle segherie, costruite con mattoni rossi, e dalle alte ciminiere che alle dodici del mattino e alle sei del pomeriggio lanciavano i loro urli lugubri e improvvisi fino in aperta campagna. Anche il villino di Antonio era di mattoni rossi con la porta e le finestre riquadrate di travertino bianco, e dava su una piazza non ancora lastricata, con il fondo di terra gialla battuta e pietre ammassate nel mezzo e agli angoli. I lavori sarebbero cominciati tra poco tempo. Villini uguali a quello di Antonio sorgevano ai lati della piazza e ne attendevano altri.<br>Antonio era socialista, come lo era stato, negli ultimi anni della vita, suo padre, un piccolo industriale. Frequentava il circolo degli operai e, benché non avesse accettato alcuna carica, svolgeva attività politica soprattutto nel periodo delle elezioni. Ricco di suo, onesto e serio, appassionato della professione, non prendeva mai denari quando si recava a visitare gli operai e le famiglie povere. Regalava loro medicine e vestiario. Amato da tutti, godeva anche il rispetto dei proprietari delle ville della pianura: lo stimavano il migliore medico della città e si rivolgevano a lui quando si ammalavano. Lo invitavano con piacere a discutere di politica e, conoscendo la sua passione per la caccia, volevano che partecipasse sempre alle loro battute alla lepre e al cinghiale.