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==''Walden ovvero Vita nei boschi''==
[[Immagine:Portrait of Max Stirner.svg|thumb|right|Max Stirner]]
'''Max Stirner''', pseudonimo di '''Johann Caspar Schmidt''' (1806 – 1856), filosofo tedesco.
 
*Io rifiuto di avere un potere conferitomi sotto la speciosa forma di "diritti dell'uomo".<ref>Citato in Nicola Abbagnano, ''Fra il tutto e il nulla'', Rizzoli, Milano, 1973, p. 329.</ref>
 
==''L'unico e la sua proprietà''==
===[[Incipit]]===
Quando ho scritto queste pagine — o, meglio, la maggior parte di esse — vivevo da solo nei boschi, in una casa che mi ero costruito sulle rive del lago Walden a Concord, nel Massachusetts, dove non c'era un vicino nel raggio di un miglio. Mi mantenevo col solo lavoro delle mie mani e ho vissuto così per due anni e due mesi. Adesso sono di nuovo un abitante del mondo civilizzato.<br>
====Leonardo Amoroso====
{{NDR|Henry David Thoreau, ''Walden o vita nei boschi'', traduzione di Lorenzo Bianco, Liberamente, 2020}}
''Io ho fondato la mia causa su nulla''<ref name=vanitas>Verso iniziale della poesia di [[Johann Wolfgang von Goethe|Goethe]] ''Vanitas! Vanitatum Vanitas!'', dai ''Canti di società'' (1806).</ref>
 
===Citazioni===
Che cosa non dev'essere mai la mia causa! Innanzitutto la buona causa, poi la causa di Dio, la causa dell'umanità, della verità, della libertà, della filantropia, della giustizia; inoltre la causa del mio popolo, del mio principe, della mia patria; infine, addirittura la causa dello spirito e mille altre cause ancora. Soltanto la ''mia'' causa non dev'essere mai la mia causa. «Che vergogna l'egoista che pensa soltanto a sé!».<br />
====Capitolo I. ''Economia''====
Ma guardiamo meglio come si comportano con la ''loro'' causa coloro per la cui causa noi dobbiamo lavorare, sacrificarci ed entusiasmarci.
*Di quanti triangoli meravigliosi sono vertici le stelle! Quanti [[extraterrestri|esseri lontani e differenti]], nelle [[pluralità dei mondi|dimore dell'universo]], stanno contemplando la stessa stella nello stesso momento!<ref>Da Henry David Thoreau, ''[https://books.google.it/books?id=_2ibDwAAQBAJ Walden]'', traduzione di Massimo Bocchiola, Bompiani, 2019 (edizione digitale). ISBN 978-88-587-8344-3.</ref> (cap. I)
*È difficile cominciare qualcosa senza prendere nulla a prestito, ma forse questa è la soluzione più generosa per permettere al prossimo di interessarsi alle nostre imprese. (cap. I, Rizzoli, 2020)
*Ecco quindi cos'è la [[vita]]: un esperimento in cui, per la gran parte, io non mi sono ancora lanciato [...]. (2020, p. 10)
*Siamo costretti a vivere e a rispettare la nostra esistenza con tale impegno e sincerità che ci neghiamo la possibilità di un [[cambiamento]]. (2020, p. 12)
*È vero che non ho mai aiutato il sole a [[alba|sorgere]], ma era comunque importante essere presente quando lo faceva. (2020, p. 18)
*Le [[qualità]] migliori della natura umana, come i fiori in boccio, si possono conservare solo avendone la massima cura. Eppure noi non trattiamo né noi stessi né gli altri con tanta tenerezza. (cap. I, 1995, p. 20)
*È duro avere un sorvegliante sudista; ancora più duro averne uno nordista; peggio di tutto, però, è essere negrieri di se stessi. (cap. I, 1995, p. 21)
*Pensate a quelle signore che si preparano all'ultimo giorno della loro vita tessendo cuscini da ''toilette'' per tema di tradire un interesse troppo vivo nel loro destino: quasi si potesse uccidere il tempo senza ferire l'eternità.<br />La maggioranza degli uomini vive in quieta [[disperazione]].<ref>Frase citata ne ''[[L'attimo fuggente]]'' («Molti uomini hanno vita di quieta disperazione») e ripresa dai [[Pink Floyd]] («''Sopravvivere in una quieta disperazione è tipico degli inglesi''»).</ref> Ciò che si chiama [[rassegnazione]] è disperazione rafforzata. (cap. I, 1995, pp. 21-22)
*Conosciamo pochi uomini ma una quantità enorme di giacche e pantaloni. Vesti uno spaventapasseri col tuo abito migliore e restagli accanto nudo: chiunque, passando, saluterebbe per primo lo spaventapasseri. (2020, p. 23)
*Un contadino mi dice: «Non si può vivere solo a [[veganismo|dieta vegetale]], poiché essa non fornisce le sostanze per formare le [[osso|ossa]]». [...] e mentre parla, cammina dietro ai suoi buoi, che, con le ossa fatte di sostanze vegetali, si trascinano appresso lui e il suo pesante aratro, per quanti ostacoli abbiano davanti. (cap. I, 1995, p. 23)
*Essere [[filosofo|filosofi]] non significa soltanto avere pensieri acuti, o fondare una scuola, ma amare la saggezza tanto da vivere secondo i suoi dettami: cioè condurre una vita semplice, indipendente, magnanima e fiduciosa. Significa risolvere i problemi della vita non solo teoricamente ma praticamente. (cap. I, 1995, p. 28)
*In ogni stagione, e a qualunque ora del giorno e della notte, è sempre stata mia cura migliorare quanto più potessi l'attimo in cui mi trovavo a vivere, e fermarlo per vivere nel punto d'incontro di due eternità, il passato e il futuro, vale a dire nel presente; e attenermi fedelmente a esso. (cap. I, 1995, pp. 29-30)
*Dico: [[riguardi|guardatevi]] da tutte le imprese che richiedono [[vestito|abiti]] nuovi, invece che nuovi «indossatori». Se non c'è l'uomo nuovo, come si potranno fare abiti che gli si adattino? Se dovete intraprendere qualche cosa di nuovo, fatelo nei vostri abiti vecchi. (cap. I, 1995, p. 35)
*Tutti gli uomini hanno bisogno non di qualcosa ''con cui fare'', ma di qualcosa ''da fare'', o piuttosto di qualcosa ''per essere''. (cap. I, 1995, p. 36)
*Avevo sulla scrivania tre fermacarte di pietra, ma fui terrificato dallo scoprire che bisognava spolverarli ogni giorno, mentre tutto quello che c'è nella mia mente può restare com'è, coperto di [[polvere]]. [...] Preferirei piuttosto sedermi all'aria aperta, dato che, tranne lì dove l'uomo ha scavato il terreno, la polvere non si posa sull'erba. (2020, pp. 37-38)
*Ogni vestito è pietoso e grottesco, quando non è indosso all'uomo. (cap. I, 1995, p. 38)
*Forse, se gli uomini [[costruzione|costruissero]] le proprie dimore con le loro mani e si procacciassero di che vivere con semplicità e onestà, le loro facoltà poetiche sarebbero sviluppate universalmente, così come gli uccelli di tutto il mondo cantano mentre occupati nel loro lavoro. Ma, ahimè, noi facciamo come gli storni e i cuculi, che depongono le uova nei nidi costruiti da altri e non rallegrano i viaggiatori con il loro canto stonato. (2020, p. 47)
*Mi viene da pensare che non sono tanto gli uomini i guardiani delle [[gregge|greggi]], ma le greggi guardiani degli uomini, perché quelle sono molto più libere di questi. (cap. I, 1995, p. 63)
*L'[[opinione]] pubblica è un tiranno assai debole, paragonata alla nostra opinione personale. Ciò che determina o piuttosto indica il [[destino|fato]] di un uomo è l'opinione che egli ha di se stesso. (cap. I, 1988, p. 64)
*In breve io sono convinto, sia per fede che per esperienza, che mantenersi su questa terra non sia una cosa ardua ma un passatempo, se si vive con saggezza e semplicità: ché gli scopi della nazione più semplice sono sempre gli svaghi di quelle più superficiali. (cap. I, 1995, p. 76)
*I nostri costumi sono stati corrotti a furia di comunicare con i [[santo|santi]]. I nostri libri dei [[Salmi]] risuonano di armoniose maledizioni contro Dio, e Lo sopportano sempre. (cap. I, 1995, p. 82)
*Ogni [[generazione]] ride delle [[moda|mode]] vecchie, ma segue religiosamente quelle nuove. (cap. I, 1988, p. 84)
*Non c'è odore più cattivo di quello emanato dalla [[bontà]] corrotta: è l'umana e divina carogna che lo produce. Se sapessi con sicurezza che un uomo sta venendo da me per farmi del bene, correrei a mettermi in salvo […]. (cap. I, 1988, p. 135)
*A lungo andare gli uomini colpiscono soltanto ciò cui mirano. Pertanto, sebbene in principio falliscano il segno, meglio sarebbe che mirassero a qualcosa di più alto. (cap. I, 1988, p. 85)
 
====Capitolo II. ''Dove vivevo e perché''====
====Ettore Zoccoli====
*La [[mattina]] ci riporta alle epoche eroiche. (cap. II; 1988)
Io ho riposto le mie brame nel nulla.<ref name=vanitas />
*Dobbiamo imparare a [[risveglio|risvegliarci]] e a mantenerci desti, non con aiuti meccanici ma con una infinita speranza nell'[[alba]], che non ci abbandona neppure nel sonno più profondo. Non conosco nulla di più incoraggiante dell'incontestabile capacità dell'uomo di elevare la sua vita con uno sforzo cosciente. È bello sapere dipingere un certo quadro, o scolpire una statua e così rendere belli alcuni oggetti; ma è molto più degno di gloria scolpire e dipingere l'atmosfera stessa e il mezzo con il quale guardiamo, cosa che possiamo fare moralmente. L'arte più degna è influire sulle qualità del giorno. (cap. II, 1995, p. 93)
 
[[Immagine:Thoreaus quote near his cabin site, Walden Pond.jpg|thumb|upright=1.4|Citazione di Thoreau tratta da ''Walden'', riportata in lingua originale su un cartello]]
A chi non appartiene la causa ch'io debbo difendere? Essa è, innanzi tutto, la causa buona in sè stessa, poi la causa di Dio, della verità, della libertà, della giustizia; poi la causa del mio popolo, del mio principe, della mia patria; infine la causa dello spirito, e mille altre ancora. Soltanto, essa non dev'esser mai la mia causa! «Onta all'egoista che non pensa che a sè stesso!»<br />Vediamo un po', più da vicino, che cosa pensino della propria causa coloro per gl'interessi dei quali noi dobbiamo lavorare, sacrificarci ed infervorarci.<ref>Da ''L'unico'', traduzione di Ettore Zoccoli, edizioni F.lli Bocca, 1902.</ref>
*[[Semplicità]], semplicità semplicità! Dico, che i vostri affari siano due o tre e non cento o mille; invece d'un milione contate mezza dozzina, e tenete i vostri conti sull'unghia del pollice! (cap. II, 1995, p. 94)
 
*Come la [[Confederazione germanica|Confederazione Tedesca]], la nostra vita è composta da staterelli, con i confini sempre fluttuanti, cosicché neppure un tedesco potrebbe dirvi in qualunque momento quali essi siano. (cap. II, 1995, p. 94)
===Citazioni===
*Il [[tempo]] non è che il ruscello dove io vado a pesca. (cap. II, 1995, p. 100)
*Ma osservate un po' quel sultano che si cura con tanto affetto dei «suoi». Non è forse il puro disinteresse in persona? Non si sacrifica forse di continuo per i suoi? Sì, proprio per i «suoi»! Prova un po' a mostrarti non suo, ma tuo: per questo verrai gettato in carcere, tu che ti sei sottratto al suo egoismo. Il sultano ha fondato la sua causa su null'altro che se stesso: per sé egli è tutto in tutto, per sé è l'unico e non tollera che qualcuno osi non essere uno dei «suoi».<br />E allora, sulla base di questi fulgidi esempi, non volete capire che è l'egoista ad avere sempre la meglio? Io, per conto mio, ne traggo un grande insegnamento e, piuttosto che continuare a servire disinteressatamente quei grandi egoisti, voglio essere l'egoista io stesso.<br />Dio e l'umanità hanno fondato la loro causa su nulla, su null'altro che se stessi. Allo stesso modo io fondo allora la mia causa su ''me stesso'', io che, al pari di Dio, sono il nulla di ogni altro, che sono il mio tutto, io che sono l'unico.<br />Se Dio, se l'umanità hanno, come voi assicurate, sufficiente sostanza in sé per essere a se stessi il tutto in tutto, allora io sento che ''a me'' mancherà ancora meno e che non avrò da lamentarmi della mia «vuotezza». Io non sono nulla nel senso della vuotezza, bensi il nulla creatore, il nulla dal quale io stesso, in quanto creatore, creo tutto.<br />Lungi da me perciò ogni causa che non sia interamente la mia causa! Voi pensate che la mia causa dovrebbe essere almeno la «buona causa»? Macché buono e cattivo! Io stesso sono la mia causa, e io non sono né buono né cattivo. L'una e l'altra cosa non hanno per me senso alcuno.<br />Il divino è la causa di Dio, l'umano la causa «dell'uomo». La mia causa non è né il divino né l'umano, non è ciò che è vero, buono, giusto, libero, ecc., bensi solo ciò che è ''mio'', e non è una causa generale, ma - ''unica'', così come io stesso sono unico.<br />Non c'è nulla che m'importi più di me stesso! (pp. 12-13)
*[...] un uomo è [[ricchezza|ricco]] in proporzione al numero di cose delle quali può fare a meno. (cap. II, 1988, p. 143)
*Andai nei [[bosco|boschi]] perché desideravo vivere con saggezza, per affrontare solo i fatti essenziali della vita, e per vedere se non fossi capace di imparare quanto essa aveva da insegnarmi, e per non scoprire, in punto di morte, che non ero vissuto. Non volevo vivere quella che non era una vita, a meno che non fosse assolutamente necessario. Volevo vivere profondamente, e succhiare tutto il midollo di essa, vivere da gagliardo spartano, tanto da distruggere tutto ciò che non fosse vita, falciare ampio e raso terra e mettere poi la vita in un angolo, ridotta ai suoi termini più semplici [...].<ref>Passo citato ne ''[[L'attimo fuggente]]'': «Andai nei boschi perché volevo vivere con saggezza, in profondità, succhiando tutto il midollo della vita, [...] per sbaragliare tutto ciò che non era vita e per non scoprire, in punto di morte, che non ero vissuto».</ref> (cap. II, 1988, pp. 152 sg.)
*Colonizziamo noi stessi, lavoriamo e muoviamoci con i piedi ben giù, nel fango e nella mota delle opinioni, dei pregiudizi, delle tradizioni, degli inganni e delle apparenze […] finché non arriveremo a un fondo solido e alla viva roccia, che potremo chiamare ''realtà'', e di cui potremo dire: «Questo esiste senza possibilità di errore» e poi, avendo un ''point d'appui'', sotto l'inondazione, il gelo e il fuoco, cominciamo a preparare un luogo dove si possa piantare con sicurezza un muro, o uno Stato, o un palo da lampione, o magari un idrometro […] affinché i secoli futuri possano sapere come, a poco a poco, un'inondazione di falsità e apparenze si fosse formata nei secoli trascorsi. […] Morte o vita che sia, desideriamo soltanto la realtà. (cap. II, 1988, p. 160)
 
====Capitolo III. ''La lettura''====
*Il rude pugno della moralità non ha alcun riguardo per la nobile essenza dell'egoismo. (p. 63)
*Le opere dei grandi [[poeta|poeti]] non sono ancora mai state lette dall'umanità poiché solo i grandi poeti possono leggerle. Sono state lette solo come la moltitudine legge le stelle, al massimo astrologicamente, mai astronomicamente. (cap. III, 1995, p. 105)
*Lo Stato si fonda sulla - schiavitù del [[lavoro]]. Se il lavoro diventerà libero, lo Stato sarà perduto. (p. 124)
*Per quanti uomini la lettura d'un [[libro]] è stata l'inizio d'una nuova era nella loro vita! (cap. III, 1988, p. 171)
*Non l'uomo costituisce la tua grandezza, ma tu stesso la crei, perché tu sei più che uomo soltanto e più potente di altri - uomini. (p. 142)
*La critica dice precisamente: tu devi liberare completamente il tuo io da tutte le limitazioni, in modo che divenga un io ''umano''. Io dico: liberati quanto puoi e avrai fatto ciò che sta in tuo potere; infatti non è dato a tutti di superare ogni barriera, ossia, per parlare più chiaramente: non per tutti è una barriera ciò che lo è per alcuni. Perciò non preoccuparti delle barriere degli altri; è sufficiente che tu abbatta le tue. (pp. 150-151)
*Io aggiro l'ostacolo di una roccia finché non ho abbastanza polvere per farla saltare in aria e aggiro l'ostacolo delle leggi di un popolo finché non ho raccolto l'energia sufficiente per rovesciarle. (p. 176)
*La mia potenza ''è'' la mia proprietà.<br />La mia potenza mi ''dà'' la mia proprietà.<br />La mia potenza ''sono'' io stesso e grazie a essa io sono la mia proprietà. (p. 195)
*Se vi ''prendete'' il godimento, esso è un vostro diritto; ma se lo agognate soltanto, senza prendervelo, esso resterà quel che era prima: un «diritto meritatamente acquisito» di chi ha il privilegio di godere. Resterà un ''suo'' diritto, così come diventerebbe ''vostro'' se ve lo prendeste. (p. 201)
*Per lo Stato è assolutamente necessario che nessuno abbia una volontà propria e, se qualcuno dimostra di averla, lo Stato deve escluderlo (rinchiuderlo, esiliarlo, ecc.); se tutti dimostrassero di averla, essi abolirebbero lo Stato. (p. 205)
*Chi, per sussistere, deve contare sulla mancanza di volontà degli altri, è un prodotto mal fatto di questi altri, come il padrone è un prodotto mal fatto dello schiavo. Se cessasse la soggezione, per il dominio sarebbe finita. (p. 206)
*Il comportamento dello Stato è espressione del suo potere, della sua violenza, ma questa egli la chiama «diritto», quella del singolo «delitto». (p. 207)
*Nelle ricchezze del [[banchiere]] io vedo tanto poco qualcosa di estraneo come [[Napoleone]] nelle terre dei re: noi non abbiamo alcun ''timore'' di «''conquistarle''» e anzi cerchiamo i mezzi per poterlo fare. Noi togliamo loro, dunque, questo ''spirito'' di ''estraneità'' di cui un tempo avevamo timore. (p. 291)
*Rivoluzione e ribellione non devono esser considerati sinonimi. La prima consiste in un rovesciamento della condizione sussistente o ''status'', dello Stato o della società, ed è perciò un'azione ''politica'' o ''sociale''; la seconda porta certo, come conseguenza inevitabile, al rovesciamento delle condizioni clate, ma non parte di qui, bensì dall'insoddisfazione degli uomini verso se stessi, non e una levata di scudi, ma un sollevamento dei singoli, cioè un emergere ribellandosi, senza preoccuparsi delle istituzioni che ne dovrebbero conseguire. La rivoluzione mirava a creare nuove ''istituzioni'', la ribellione ci porta a non farci più ''governare'' da istituzioni, ma a governarci noi stessi, e perciò non ripone alcuna radiosa speranza nelle «istituzioni». Essa non è una lotta contro il sussistente, poiché, se essa appena cresce, il sussistente crolla da sé, essa è solo un processo con cui mi sottraggo al sussistente. E se abbandono il sussistente, ecco che muore e si decompone. Ma siccome il mio scopo non è il rovesciamento di un certo sussistente, bensì il mio sollevarmi al di sopra di esso, la mia intenzione e la mia azione non hanno carattere politico e sociale, ma invece ''egoistico'', giacché sono indirizzate solo a me stesso e alla mia propria individualità.<br />La rivoluzione ordina di creare nuove ''istituzioni'', la ribellione spinge ''a sollevarsi'', ''a insorgere''. (pp. 330-331)
*Solo quando sono sicuro di me e non vado più in cerca di me stesso, sono veramente mia proprietà: io ho me stesso, per questo faccio uso e godo di me. Io non posso mai rallegrarmi di me, invece, finché penso che devo ancora trovare il mio vero io e che chi vive in me non sono io, ma è [[Gesù|Cristo]] o qualche altro io spirituale, cioè qualche fantasma, per esempio il vero uomo, l'essenza dell'uomo e simili. (p. 335)
*Che cos'è l'ideale se non l'io di cui si va in cerca e che resta sempre lontano? Si cerca se stessi, perciò non si ha ancora se stessi, si aspira a ciò che si ''dev'''essere, perciò non si è. Si vive nello ''struggimento'': per secoli si è vissuti in esso, si è vissuti nella ''speranza''. Ma ben altra sarà la vita di chi vive nel - ''godimento''! (p. 335)
*Povere creature che potreste vivere tanto felici saltando a modo vostro e che invece dovete ballare al suono della musica di questi pedagoghi domatori di orsi e produrvi in capriole artistiche che non vi verrebbe mai inmente di fare! E non vi ribellate mai, sebbene vi si intenda sempre in modo diverso da come vorreste voi. No, voi ripetete sempre meccanicamente a voi stessi la domanda che avete sentito porre: «A che cosa sono chiamato? Che cosa ''devo'' fare?». Basta che vi poniate queste domande e vi farete ''dire'' e ''ordinare'' ciò che dovete fare, vi farete prescrivere la vostra vocazione oppure ve la ordinerete ed imporrete voi stessi secondo le direttive dello spirito. Ciò comporta, per quel che riguarda la volontà, questo atteggiamento: io voglio ciò che ''devo''. (p. 340)
*Insomma c'è una bella differenza fra il considerarmi il mio punto di partenza o il mio punto di arrivo. Se mi considero in quest'ultimo modo, io non mi possiedo ancora, sono quindi ancora estraneo a me stesso, sono la mia ''essenza'', la mia «vera essenza» e questa «vera essenza» a me estranea è un fantasma dai mille nomi che si prende gioco di me. Siccome io non sono ancora io, il mio io è un altro io (per esempio Dio, l'uomo vero, l'uomo veramente religioso o razionale o libero, ecc.).<br />Ancora lontano da me stesso, io mi divido in due metà, una delle quali, quella non raggiunta e da realizzare, è la vera. L'una, la non vera, deve venir sacrificata: è quella non spirituale; l'altra, la vera, dev'essere l'uomo integrale: è lo spirito. Per questo si afferma: «Lo spirito è la vera essenza dell'uomo» oppure: «L'uomo esiste come uomo solo in spirito». E così ci si butta disperatamente ad acchiappar spiriti, come se in questo modo si potesse prendere ''se stessi'' e, andando a caccia di sé, si perde di vista se stessi, quali siamo realmente. (pp. 342-343)
*Chi non sa sbarazzarsi di un pensiero è, in questo, ''solo'' uomo, è schiavo del ''linguaggio'', di questa istituzione umana, di questo tesoro di idee ''umane''. Il linguaggio o «la parola» ci tiranneggiano nel modo più brutale perché sollevano contro di noi un intero esercito di ''idee fisse''. ''Osserva'' per una volta te stesso mentre pensi e ti accorgerai che puoi procedere nei tuoi pensieri solo perché resti ad ogni istante senza pensieri e senza parole. Non solo, per esempio, nel sonno, ma persino nella più profonda concentrazione del pensiero, tu sei senza pensiero e senza parole, anzi: sei così soprattutto allora. E solo grazie a quest'assenza di pensieri, a questa misconosciuta «libertà di pensiero», ossia libertà dal pensiero, tu appartieni a te stesso. (pp. 360-361)
 
====Capitolo V. ''Solitudine''====
===[[Explicit]]===
*Io non ho molta compagnia nella mia casa, soprattutto al mattino, quando non viene nessuno. (cap. V, Rizzoli, 2020)
*''Proprietario'' del mio potere sono io stesso, e lo sono nel momento in cui so di essere ''unico''. Nell'''unico'' il proprietario stesso rientra nel suo nulla creatore, dal quale è nato. Ogni essere superiore a me stesso, sia Dio o l'uomo, indebolisce il sentimento della mia unicità e impallidisce appena risplende il sole di questa mia consapevolezza. Se io fondo la mia causa su di me, l'unico, essa poggia sull'effimero, mortale creatore di sé, che se stesso consuma, e io posso dire:<br />Io ho fondato la mia causa sul nulla.
*Non trovai mai un compagno che fosse tanto buon compagno della [[solitudine]]. (cap. V, Rizzoli, 2020)
*Per la maggior parte, noi siamo più soli quando usciamo tra gli uomini che quando restiamo in camera nostra. Un uomo che pensi o lavori è sempre solo – lasciatelo stare dove vuole. La solitudine non è misurata dalle miglia di distanza che si frappongono fra un uomo e il suo prossimo. (cap. V, 1988, p. 201)
 
====Capitolo VI. ''Visitatori''====
==Citazioni su Max Stirner==
*La sua persona suggeriva che anche nei gradi più bassi della vita potrebbero esservi uomini di genio, per quanto umili, illetterati e senza prospettive di migliorare questo loro stato essi siano; hanno sempre le loro idee originali, oppure non fingono di averle, e sono senza fondo come si credeva fosse il lago di Walden, sebbene possono essere oscuri e fangosi. (cap. VI, 1988, p. 217)
*A considerarlo nell'insieme, Stirner è orribile, sguaiato, millantatore, smargiasso, un goliarda, uno studente degenerato, uno zotico, un egomane, evidentemente uno psicopatico grave. Uno che a voce alta e sgradevole va gracchiando: "Io sono io, nulla mi importa oltre me stesso". I suoi sofismi verbali sono insopportabili. L'eccentricità avvolta in fumo di sigaro della sua bohème da osteria è nauseante. Eppure Max sa qualcosa di molto importante. Sa che l'Io non è un oggetto di pensiero. Così ha trovato il titolo più bello e in ogni caso più tedesco di tutta la letteratura tedesca: L'unico e la sua proprietà. In questo momento Max è l'unico che mi fa visita nella mia cella. Questo, da parte di un egoista rabbioso, mi commuove profondamente. ([[Carl Schmitt]])
*[...] se l'uomo è vivo, c'è sempre il ''pericolo'' che egli possa morire, sebbene si debba ammettere che il pericolo è minore in proporzione a quanto egli è più morto che vivo, tanto per cominciare. (cap. VI, 1988, p. 220)
*In una famosa opera intitolata ''L'Unico e la sua proprietà'' (1845), Max Stirner giunse fino a respingere ogni idea morale. Tutto ciò che in un modo qualsiasi, sia come potenza esterna, sia come semplice idea, si colloca più in su dell'individuo e del suo capriccio, è respinto da Stirner come un odioso limite dell'«io» per opera dell'«io» stesso. ([[Friedrich-Albert Lange]])
*La logica dello Stirner è esatta perché estrema. Molta critica in uso oggi non saprebbe persuadersi del fatto che vi sono verità sociologiche vere soltanto in una forma estrema. ([[Paolo Orano]])
*San Max (Stirner) riconosce che l'Io riceve uno 'choc' dal mondo fichtiano. Ma che i comunisti siano decisi a far passare sotto il loro controllo questo 'choc' che (se non si riduce a una vuota frase) diventa in realtà uno 'choc' molto complesso e determinato in molteplici modi, questo, per San Max, è un ragionamento troppo ardito perché egli vi si soffermi. ([[Karl Marx]])
 
====Capitolo XI. ''Leggi più alte''====
==Note==
*Quanto alla caccia, negli ultimi anni che mi portai appresso il fucile, la mia scusa era che stavo studiando [[ornitologia]], e che cercavo solo uccelli nuovi e rari. Ma confesso che ora sono incline a pensare che vi sia un modo più raffinato di studiare ornitologia. Esso richiede un'osservazione ancora più attenta alle abitudini degli uccelli, cosicché, non fosse che per quella sola ragione, ho voluto rinunciare al fucile. (cap. XI, 1995, p. 199)
<references />
*Nessun essere umano, superata la spensierata età della fanciullezza, vorrà [[uccisione|uccidere]] per semplice piacere una qualsiasi creatura che vive nella sua stessa maniera. La [[lepre]], nella sua agonia, grida come un fanciullo. (cap. XI, 1995, p. 200)
*In certi paesi, è piuttosto comune vedere un prete che va a [[caccia]]. Costui potrebbe essere un buon cane da pastore, forse, ma è molto lontano dall'essere un Buon Pastore. (cap. XI; 1995, p. 200)
*[…] mi sono scoperto incapace di pescare senza diminuire un po' nella stima che ho di me stesso. […] Inoltre, c'è qualche cosa di essenzialmente poco pulito, in questo cibo e in tutta la carne, e cominciai a vedere dove inizia il lavoro di casa e dove invece il tentativo – che costa così tanto – di avere un'apparenza pulita e rispettabile ogni giorno, e di mantenere la casa sempre accogliente e libera da cattivi odori e cattive viste. (cap. XI, 1995, p. 201)
*Nel mio caso, l'obbiezione pratica al cibo animale era la sua sporcizia; e inoltre, quando avevo preso, pulito, cucinato e mangiato il mio pesce, esso pareva non avermi essenzialmente nutrito. Era insignificante e non necessario, e costava più di quello a cui serviva. Un po' di pane o un po' di patate sarebbero serviti allo stesso scopo, con meno seccatura e minore sporcizia. (cap. XI, 1995, p. 202)
*Credo che ogni uomo che sia sempre stato sincero nel conservare nelle migliori condizioni le proprie più alte e poetiche facoltà, sia stato particolarmente incline ad [[vegetarianismo|astenersi da cibo animale]] e da molto cibo di qualsiasi genere. (cap. XI, 1995, p. 202)
*Può essere vano chiedere perché l'immaginazione non possa essere riconciliata alla carne e al grasso. A me basta che sia così. Non è un rimprovero il fatto che l'uomo sia un animale carnivoro? È vero, egli può vivere, e vive in effetti, per lo più depredando gli altri animali; ma questo è un miserabile modo di vita – come può ben convincersi chi vada a mettere trappole ai conigli o a sgozzare gli agnelli – e sarà considerato benefattore della sua razza colui che insegnerà all'uomo di limitarsi a un cibo più innocente e più sacro. Qualunque possa essere la mia consuetudine, non ho dubbio che appartenga al destino della razza umana, nel suo graduale miglioramento, smettere di mangiare animali; allo stesso modo che le tribù selvagge hanno smesso di mangiarsi l'una l'altra quando vennero in contatto con le più civili. (cap. XI, 1995, p. 203)
*La [[bontà]] è il solo investimento che mai fallisce. (cap. XI, 1995, p. 205)
*La [[castità]] è la fioritura dell'uomo; e ciò che si chiama Genio, Eroismo, Santità e simili, sono solo i vari frutti che vengono come conseguenza di essa. L'uomo fluisce subito a Dio quando il canale della [[purezza]] è aperto. Alternativamente, la nostra purezza c'ispira e la nostra impurità ci abbatte. [[Benedizioni dai libri|Benedetto]] colui che è certo che l'animale che sta nel suo cuore sta morendo giorno per giorno, e che l'essere divino è in lui affermato. (cap. XI, 1995, p. 206)
*Se volete essere casti, dovete essere [[temperanza|temperati]]. (cap. XI, 1995, p. 207)
*Dallo sforzo vengono purezza e saggezza, l'ignoranza e la sensualità provengono dall'[[accidia]]. (cap. XI, 1995, p. 207)
*Siamo tutti scultori e pittori, e il nostro materiale è la nostra stessa carne, il nostro sangue, le nostre ossa. (cap. XI, 1995, p. 208)
*In me stesso trovavo, e trovo, un istinto verso una vita più alta, o, come si dice, spirituale (come succede a molti uomini), e per un altro verso una vita selvaggia, primitiva ed esuberante: io le accettavo reverentemente ambedue. (cap. XI, 1988, p. 280)
 
====Capitolo XII. ''Vicini selvaggi''====
==Bibliografia==
*Una volta fui meravigliato di vedere una [[gatta]] passare lungo la riva sassosa dello stagno, poiché è piuttosto raro che esse si spingano tanto lontano da casa. La sorpresa fu reciproca. Tuttavia, anche la gatta più domestica, che abbia trascorso i suoi giorni sdraiata su un tappeto, appare completamente a suo agio nei boschi, e con quel suo avanzare furtivo e sornione, dimostra di essere più nativa di quel luogo che noi, i suoi comuni abitatori. (cap. XII, 1995, p. 217)
*Max Stirner, ''L'unico e la sua proprietà'', traduzione di Leonardo Amoroso, Adelphi, Milano, 2009. ISBN 978-88-459-1452-2
 
====Capitolo XVI. ''Il lago d'inverno''====
==Altri progetti==
*Il cielo è sotto i nostri piedi altrettanto che sopra la nostra testa. (cap. XVI, Rizzoli, 2020)
{{interprogetto}}
 
====Capitolo XVIII. ''Conclusione''====
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*Le cose non cambiano, siamo noi che cambiamo. (cap. XVIII, Rizzoli, 2020)
[[Categoria:Filosofi tedeschi]]
*Se uno avanza fiducioso nella direzione dei suoi sogni e cerca di vivere la vita che s'è immaginato, incontrerà un inatteso successo nelle ore comuni. (cap. XVIII, Rizzoli, 2020)
[[Categoria:Personalità dell'ateismo]]
*L'[[oca selvatica]] è più cosmopolita di noi: essa fa colazione in Canada, pranza nell'Ohio, e si liscia le penne per la notte in un ''bayou'' del Sud. Anche il [[bisonte]] si tiene a pari con le stagioni, in qualche modo; infatti, pascola nel Colorado solo finché un'erba più verde e più dolce non l'attende presso lo Yellowstone. Tuttavia noi crediamo che, abbattute le siepi e alzati mucchi di pietre attorno alle nostre terre, si sia posto il limite della nostra vita e deciso il nostro destino. (cap. XVIII, 1995, p. 291)
*La superficie della terra è morbida, atta a ricevere l'impronta dei piedi umani; così sono i sentieri che la mente percorre. Come devono essere logore e polverose le strade maestre del mondo, e quanto profondi i solchi della tradizione e della conformità. (cap. XVIII, 1995, p. 294)
*Molti si credono troppo superiori per farsi mantenere dalla città, ma più spesso succede che non siano tanto superiori da non mantenersi con mezzi [[disonestà|disonesti]], cosa che dovrebbe essere assai più disonorevole. (cap. XVIII, 1995, p. 298)
*In generale, noi non siamo dove siamo, ma in una falsa posizione. Per un'infermità della nostra natura, noi immaginiamo una situazione e ci poniamo in essa; così ci troviamo in due situazioni diverse, contemporaneamente. L'uscirne è due volte difficile. (cap. XVIII, 1988, pp. 403 sg.)
*La ricchezza [[superfluo|superflua]] può comperare solo cose superflue, ma per comprare ciò che è necessario all'anima non occorre danaro. (cap. XVIII, 1988, p. 405)
*Datemi la [[verità]], invece che amore, danaro o fama.<ref>Frase ripresa in ''[[Into the Wild - Nelle terre selvagge]]'': «Non l'amore, non i soldi, non la fede, non la fama, non la giustizia, datemi la verità!».</ref> Sedetti a una tavola imbandita di cibo ricco, vino abbondante e servi ossequiosi, ma alla quale mancavano la sincerità e la verità; partii affamato da quel desco inospitale. L'ospitalità era fredda come i gelati. (cap. XVIII, 1988, p. 407)