Publio Cornelio Tacito: differenze tra le versioni

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===[[Incipit]]===
====Originale====
''Urbem Romam a principio reges habuere.; Libertatemlibertatem et consulatum L. Brutus instituit. Dictaturae ad tempus sumebantur; neque decemviralis potestas ultra biennium, neque tribunorum militum consulare ius diu valuit. nonNon Cinnae, non Sullae longa dominatio, et Pompei Crassique potentia cito in Caesarem, Lepidi atque Antonii arma in Augustum cessere, qui cuncta discordiis civilibus fessa nomine principis sub imperium accepit.''.
 
{{NDR|Publio Cornelio Tacito, ''Annali'', in Id., ''Tutte le opere'', Newton Compton, 2013. ISBN 978-88-541-5869-6.}}
 
==== Luigi Annibaletto ====
La città di Roma nei primi tempi l'ebbero in mano i re; poi L. Bruto istituì, con la libertà, il consolato. Il potere dittatoriale veniva assunto per un periodo limitato e l'autorità dei decemviri non andò oltre i due anni, né poté durare a lungo il potere consolare affidato ai tribuni dei soldati. Breve fu il dominio di Cinna, come pure quello di Silla. La potenza di Pompeo e di Crasso passò ben presto a Cesare e le forze armate di Lepido e di Antonio si concentrarono nelle mani di Augusto, il quale accolse sotto il suo dominio, col nome di "principe", il mondo intero spossato dalle guerre civili.
 
{{NDR|Publio Cornelio Tacito, ''Gli annali'', traduzione di Luigi Annibaletto, Garzanti, 1974}}
 
==== Azelia Arici ====
Da principio, la città di Roma fu possesso di re; L. Bruto vi introdusse, col consolato, la libertà. Le dittature si assumevano temporaneamente; il potere dei decemviri durò non oltre un biennio, e nemmeno i tribuni militari mantennero a lungo l'autorità consolare. Non fu durevole il dispotismo di Cinna né di Silla, e la potenza di Pompeo e di Crasso passò presto nelle mani di Cesare, le armi di Lepido e di Antonio in quelle di Augusto; il quale, col titolo di principe, ridusse in suo potere lo Stato, stanco delle lotte civili.
 
==== Bernardo Davanzati ====
Roma da principio ebbe i re: da Lucio Bruto la libertà, e 'l consolato. Le dettature erano a tempo. La podestà de dieci non resse oltre due anni: ne molto l'autorità di Consoli ne' Tribuni de' Soldati. Non Cinna, non Silla signoreggiò lungamente. La potenza di Pompeo, e di Crasso tosto in Cesare, e l'armi di Lepido, e d'Antonio caddero in Augusto. il quale trovato ognuno stracco per le discordie civili, con titolo di Principale si prese il tutto.
 
{{NDR|G. Cornelio Tacito, ''Annali'', in ''[https://books.google.it/books?id{{=}}xRXNg15uxVcC Opere]'', traduzione di Bernardo Davanzati, Pietro Nesti, 1637.}}
 
==== Camillo Giussani ====
Primi i re tennero in Roma il potere. Libertà e consolato istituì Lucio Bruto. La dittatura assumevasi temporanea; non oltre due anni si mantenne la potestà dei decemviri, né fu per molto tempo in vigore quella dei tribuni militari con autorità consolare. Neppure lungamente durò il dominio di Cinna e non quello di Silla.<br>
 
{{NDR|Publio Cornelio Tacito, ''Gli annali'', traduzione di Camillo Giussani, Mondadori, 1942}}
 
==== Lidia Storoni Mazzolani ====
Ai primordi, Roma appartenne ai re. Lucio Bruto introdusse la libertà e il consolato. Le dittature venivano assunte temporaneamente, il potere dei decemviri mai per più di due anni né più a lungo il potere consolare dei tribuni militari.<br>La dominazione di Cinna e di Silla non ebbe lunga durata; la signoria di Crasso ben presto passò a Cesare, le forze armate di Lepido e di Antonio ad Augusto; questi, con il titolo di principe, assunse il potere supremo dello Stato, stremato dalle guerre civili.
 
===Citazioni===
*Le vicende, liete e dolorose, dell'antico popolo romano furono tramandate da illustri scrittori e a narrare dei tempi di Augusto non mancarono splendidi ingegni.<ref>Vale per tutti Tito Livio. (1974)</ref> (p.I, 31; 1974, p. 3)
:''Sed veteris populi Romani prospera vel adversa claris scriptoribus memorata sunt; temporibusque Augusti dicendis non defuere decora ingenia.'' (I, 1)
*Senza ira né malizia. (I, 1)
:''Sine ira et studio''.
*Le richieste presentate in comune ci vuol tempo perché siano soddisfatte; ma un [[favore]] personale si può meritare subito e subito riceverlo. (Clemente: I, 28; 1974, p. 25 sg.)
 
:''Tarda sunt quae in commune expostulantur: privatam gratiam statim mereare, statim recipias.''
*Quanti ne restavano ormai che avessero visto la repubblica? (p. 6; 1974)
*Il [[volgo]] infatti ha sempre bisogno di incolpare qualcuno, anche senza ragione [...]. (I, 39; 2013)
:''[Q]uotus quisque reliquus qui rem publicam vidisset?'' (I, 3)
:''Utque mos vulgo quamvis falsis reum subdere'' [...].
 
*La maestà imperiale [...] incute tanto maggior riverenza quanto più è lontana. (I, 47; 1974, p. 39)
*Si fece, da allora, un gran parlare di [[Augusto]], e i più sottolineavano banali coincidenze: lo stesso giorno era stato, tempo addietro, il primo della ascesa al potere e adesso l'ultimo della vita; era spirato a Nola, nella stessa casa e nello stesso letto di suo padre Ottavio.
:[...] ''maiestate'' [...] ''maior e longinquo reverentia.''
:''Multus hinc ipso de Augusto sermo, plerisque vana mirantibus, quod idem dies accepti quondam imperii princeps et vitae supremus, quod Nolae in domo et cubiculo in quo pater eius Octavius vitam finivisset.'' (I, 9)
*[Per i [[barbaro|barbari]]] quanto più uno è [[Decisione|deciso]] e [[Audacia|audace]], tanto più lo ritengono degno di fiducia e in caso di rivolta gli attribuiscono ogni virtù. (I, 57; 1974, p. 46)
 
:[...] ''quanto quis audacia promptus, tanto magis fidus rebusque motis potior habetur.''
*{{NDR|Rivolto a [[Tiberio]]}} La repubblica era un corpo solo e che da un'anima sola doveva essere guidata. ([[Gaio Asinio Gallo]]: p. 15; 1974)
*[...] la [[Verità e bugia|verità]] è creduta quando la si è vista chiaramente a lungo, la [[Verità e bugia|menzogna]] invece se la si intravede di sfuggita [...]. (II, 39; 2013)
:''[U]num esse rei publicae corpus atque unius animo regendum.'' (I, 12)
:[...] ''veritas visu et mora, falsa festinatione et incertis valescunt'' [...].
 
*Nulla però dispiacque di più a Tiberio quanto il calore d’affetto manifestato dal popolo ad [[Agrippina maggiore|Agrippina]]: la chiamavano onore della patria, sola rimasta del sangue di Augusto, esemplare unico della virtù antica [...]. (III, 4; 2013)
*Tuffate le mani nel mio sangue, piuttosto! Sarà minore la vergogna se ucciderete il luogotenente, anziché ribellarvi all'imperatore! O rimanendo in vita manterrò fedeli le legioni o, facendomi sgozzare, ne affretterò il pentimento. (Giunio Bleso; p. 20; 1974)
:''Nihil tamen Tiberium magis penetravit quam studia hominum accensa in Agrippinam, cum decus patriae, solum Augusti sanguinem, unicum antiquitatis specimen appellarent versique ad caelum''.
:''Mea potius caede imbuite manus: leviore flagitio legatum interficietis quam ab imperatore desciscitis. Aut incolumis fidem legionum retinebo aut iugulatus paenitentiam adcelerabo.'' (I, 18)
*A me, quanto più rifletto sia sugli avvenimenti odierni sia su quelli antichi, tanto più sembra che risulti lo scherno della sorte in tutte le vicende dei mortali [...]. (III, 18; 2013)
 
:''Mihi, quanto plura recentium seu veterum revolvo, tanto magis ludibria rerum mortalium cunctis in negotiis obversantur''.
*La notte era gravida di minacce e stava per sfociare nel delitto. (p. 25; 1974)
*Gli [[Fatto|avvenimenti]] più importanti, infatti, restano sempre avvolti nel dubbio, poiché per alcuni notizie sentite dire in qualsiasi modo sono verità sacrosante, altri invece danno per false le cose veritiere: due mali che vanno aumentando col tempo. (III, 19; 2013)
:''Noctem minacem et in scelus erupturam fors lenivit.'' (I, 28)
:''Adeo maxima quaeque ambigua sunt, dum alii quoquo modo audita pro compertis habent, alii vera in contrarium vertunt, et gliscit utrumque posteritate''.
 
*[...] aumentò il degrado dello Stato quanto più furono numerose le [[leggi]]. (III, 27; 2013)
*Le richieste presentate in comune ci vuol tempo perché siano soddisfatte; ma un [[favore]] personale si può meritare subito e subito riceverlo. (p. 25 sg.; 1974)
:[...] ''corruptissima re publica plurimae leges.''
:''Tarda sunt quae in commune expostulantur: privatam gratiam statim mereare, statim recipias.'' (I, 28)
*[...] per volontà del destino è raro che il [[potere]] duri per sempre: o subentra la sazietà nei principi, quando hanno concesso ogni cosa, o in quelli ai quali non resta più nulla da desiderare. (III, 30; 2013)
 
:[...] ''fato potentiae raro sempiternae, an satias capit aut illos, cum omnia tribuerunt, aut hos, cum iam nihil reliquum est quod cupiant''.
*La soldataglia [...] non conosce alcuna misura; fa tremare se non trema essa stessa; ma quando ha paura, la si può calpestare senza pericolo. (p. 26; 1974)
*{{NDR|[[Tito Livio]]}} autore fra i più illustri per eloquenza e per attendibilità, esaltò con tanto entusiasmo Pompeo che Augusto lo chiamava ''Pompeiano''. (IV, 34; 1974, p. 188)
:''[N]ihil in vulgo modicum; terrere ni paveant, ubi pertimuerint inpune contemni.'' (I, 29)
:''Titus Livius, eloquentiae ac fidei praeclarus in primis, Cn. Pompeium tantis laudibus tulit ut Pompeianum eum Augustus appellaret''.
 
*Ma forse in tutte le cose si verifica quasi una roteazione, e i costumi hanno un ciclo, come le stagioni [...]. (III, 55; 2013)
*[Q]uel bimbo, nato proprio nel campo [militare], allevato in piena familirità con le legioni [...] essi, con nomignolo militare, chiamavano Caligola, perché quasi sempre, per attirarsi la simpatia dei soldati, indossava quel tipo di calzatura.<ref>La caliga era la calzatura dei soldati romani e dei loro ufficiali fino ai centurioni: un rozzo sandalo. Il nomignolo, familiare, significava quindi "scarpetta".</ref> (p. 35; 1974)
:''Nisi forte rebus cunctis inest quidam velut orbis, ut quem ad modum temporum vices, ita morum vertantur'' [...].
:''[I]nfans in castris genitus, in contubernio legionum eductus,'' [...] ''militari vocabulo Caligulam appellabant, quia plerumque ad concilianda vulgi studia eo tegmine pedum induebatur.'' (I, 41)
*Bruttedio, fornito di buone qualità, avrebbe potuto salire in alto se avesse seguito la via retta, ma spronato dall'impazienza di raggiungere posti elevati, aveva cercato di sorpassare quelli che gli erano pari, poi i superiori, infine persino le proprie ambizioni: cosa che ha spinto molti onesti alla rovina. Sdegnando ciò che avrebbero potuto ottenere gradatamente con sicurezza, vollero impadronirsene subito e si rovinarono. (III, 66; 2013)
 
:''Bruttedium artibus honestis copiosum et, si rectum iter pergeret, ad clarissima quaeque iturum festinatio exstimulabat, dum aequalis, dein superiores, postremo suasmet ipse spes anteire parat; quod multos etiam bonos pessum dedit, qui spretis quae tarda cum securitate, praematura vel cum exitio properant''.
*Non certo io amo mia moglie e mio figlio più che non mio padre e lo Stato. ([[Germanico Giulio Cesare|Germanico]] p. 35; 1974)
*I primi approcci al potere sono ardui; ma, non appena hai percorso i primi passi, ecco sùbito i sostenitori, i seguaci [...]. (IV, 7; 2013)
:''Non mihi uxor aut filius patre et re publica cariores sunt.'' (I, 42)
:''Primas dominandi spes in arduo: ubi sis ingressus, adesse studia et ministros''.
 
*[...] i {{Sic|[[Beneficio|beneficii]]}} infatti sono graditi fino a quando ci si crede capaci di sdebitarsi, ma quando divengono eccessivi anziché gratitudine suscitano odio. (IV, 18; 2013)
*La riverenza è maggiore da lontano. (citato in [[Giuseppe Fumagalli]], ''[[s:Chi l'ha detto?|Chi l'ha detto?]]'', Hoepli, 1921, p. [[s:Pagina:Chi l'ha detto.djvu/618#c1757|586]])
:''Nam beneficia eo usque laeta sunt, dum videntur exsolvi posse: ubi multum antevenere, pro gratia odium redditur''.
:''Major e longinquo reverentia''. (I, 47)
*[...] mi trovo costretto a chiedermi se non dipenda dal destino e dalla sorte nel nascere, come tutte le altre cose, anche la simpatia dei principi verso alcuni, l'avversione verso altri, oppure se qualche cosa dipenda dalla nostra saggezza; e se tra la sdegnosa arroganza e il disonorevole servilismo sia possibile percorrere una strada che non sia né vile né pericolosa. (IV, 20; 2013)
 
:''Unde dubitare cogor, fato et sorte nascendi, ut cetera, ita principum inclinatio in hos, offensio in illos, an sit aliquid in nostris consiliis liceatque inter abruptam contumaciam et deforme obsequium pergere iter ambitane ac periculis vacuum''.
*La maestà imperiale [...] incute tanto maggior riverenza quanto più è lontana. (p. 39; 1974)
*[...] tutte le nazioni e le città sono rette o dal popolo o dagli ottimati o da un solo principe: una forma di governo composta di elementi scelti tra quelli ed insieme contemperati è più facile lodarla che attuarla: o, se pure si realizza, non può essere durevole. (IV, 33; 1952, p. 266)
:''[M]aiestate'' [...] ''maior e longinquo reverentia.'' (I, 47)
:[...] ''cunctas nationes et urbes populus aut primores aut singuli regunt: delecta ex iis et cons<o>ciata rei publicae forma laudari facilius quam evenire, vel, si evenit, haud diuturna esse potest''.
 
*Tanto più è meritevole di scherno la pochezza di coloro che, in possesso del potere presente, si illudono di poter spegnere anche la memoria nelle età successive. Ché anzi cresce il prestigio degli ingegni condannati e i sovrani stranieri o quelli che hanno usato la stessa crudeltà altro non hanno ottenuto che un disonore per sé e gloria per le loro vittime. (IV, 35; 2013)
*[Per i [[barbaro|barbari]]] quanto più uno è [[Decisione|deciso]] e [[Audacia|audace]], tanto più lo ritengono degno di fiducia e in caso di rivolta gli attribuiscono ogni virtù. (p. 46; 1974)
:''Quo magis socordia<m> eorum inridere libet, qui praesenti potentia credunt exstingui posse etiam sequentis aevi memoriam. Nam contra punitis ingeniis gliscit auctoritas, neque aliud externi reges aut qui eadem saevitia usi sunt nisi dedecus sibi atque illis gloriam peperere''.
:''[Q]uanto quis audacia promptus, tanto magis fidus rebusque motis potior habetur.'' (I, 57)
*[...] una volta dato sfogo alle proprie [[Afflizione|afflizioni]], è difficile indursi a tacere. (IV, 69; 2013)
 
:[...] ''ubi semel prorupere, difficilius reticentur''.
*[Di fronte alla forza della [[natura]]] nessuna differenza tra valorosi e vili, tra avveduti e imprudenti, tra azioni riflesse e gesti a caso. (p. 56; 1974)
*Nell'animo mio [...] permane il dubbio se le cose mortali sono dominate dal fato o da una necessità inflessibile o dal caso. Infatti troverai nei sommi pensatori del passato, e in molti odierni che oggi seguono le loro dottrine, la convinzione che gli dèi non si curano dell'inizio e del termine della nostra esistenza, in una parola del genere umano. Troppo spesso infatti le sventure colpiscono i buoni, la fortuna arride ai malvagi. Altri invece ritengono che gli avvenimenti siano legati al destino e non dipendano dal vago cammino degli astri, bensì da cause prime e dalle conseguenze che ne derivano naturalmente; tuttavia, che ci sia lasciata la facoltà di scegliere la nostra esistenza e, una volta che l'abbiamo scelta, ne consegue un ordine ineluttabile di eventi, che non sono né cattivi né buoni, anche se così vengono chiamati. Infatti molti, che sembrano lottare con le avversità, sono felici, altri invece, pur essendo ricchi, sono profondamente infelici e ciò dipende dal fatto che i primi sanno sopportare la sorte avversa con animo fermo, altri invece vivono da incoscienti la loro fortuna. (VI, 22; 2013)
:''[N]ihil strenuus ab ignavo, sapiens ab inprudenti, consilia a casu differre.'' (I, 70)
:''Sed mihi'' [...] ''in incerto iudicium est, fatane res mortalium et necessitate immutabili an forte volvantur. Quippe sapientissimos veterum quique sectam eorum aemulantur diversos reperies, ac multis insitam opinionem non initia nostri, non finem, non denique homines dis curae; ideo creberrime tristia in bonos, laeta apud deteriores esse. Contra alii fatum quidem congruere rebus putant, sed non e vagis stellis, verum apud principia et nexus naturalium causarum; ac tamen electionem vitae nobis relinquunt, quam ubi elegeris, certum imminentium ordinem. Neque mala vel bona, quae vulgus putet: multos, qui conflictari adversis videantur, beatos, at plerosque, quamquam magnas per opes, miserrimos, si illi gravem fortunam constanter tolerent, hi prospera inconsulte utantur''.
 
*[...] il potere del popolo tende alla libertà, quello dei pochi al dispotismo. (VI, 42; 2013)
*Ma rimaneva ancora almeno l'ombra d'una libertà che stava per morire.<ref>Rassegnazione di Tacito nel constatare come la libertà stesse per terminare.</ref> (p. 59; 1974)
:[...] ''populi imperium iuxta libertatem, paucorum dominatio regiae libidini propior est''.
:''Manebant etiam tum vestigia morientis libertatis.'' (I, 74)
*Se nessuno ne traesse profitto, i [[Processo (diritto)|processi]] sarebbero meno frequenti; ora si attizzavano inimicizie, denunce, odii, ingiurie affinché, come la virulenza delle malattie incrementa il guadagno dei dottori, così la peste dei processi porta denaro agli avvocati. (XI, 6; 2013)
 
:''Quodsi in nullius mercedem negoti<afi>ant, pauciora fore: nunc inimicitias accusationes, odia et iniurias foveri, ut quo modo vis morborum pretia medentibus, sic fori tabes pecuniam advocatis ferat''.
*Tiberio [...] offriva al senato [...] parvenze di libertà. (p. 60; 1974)
*[...] nessuno intraprende un'attività senza aver calcolato in precedenza il profitto che ne ricaverà. (XI, 7; 2013)
:''Tiberio'' [...] ''simulacra libertatis senatui praebebat'' (I, 77)
:[...] ''nihil a quoquam expeti, nisi cuius fructus ante providerit''.
 
*[...] i [[Delitto|delitti]] più tremendi si incominciano pericolosamente, ma si conducono a termine vantaggiosamente. (XII, 67; 2013)
*[L]a natura aveva provveduto nel migliore dei modi alle necessità degli uomini, dando ai fiumi un loro proprio aspetto, un loro corso e, come le sorgenti, così le loro foci. (Reatini: p. 61 sg.; 1974)
:''haud ignarus summa scelera incipi cum periculo, peragi cum praemio''.
:''[O]ptume rebus mortalium consuluisse naturam, quae sua ora fluminibus, suos cursus utque originem, ita finis dederit.'' (I, 79)
*Chi si trova al vertice del potere si conduce meglio con gli auspici e con i consigli che con le braccia. (XIII, 6; 2013)
 
:''Pluraque in summa fortuna auspiciis et consiliis quam telis et manibus geri''.
*{{NDR|Riferendosi alle azioni di Tiberio}} Tutte cose speciose a parole, ma in realtà inutili e subdole; destinate a sfociare in una tirannia tanto più implacabile, quanto più si mascheravano sotto parvenza di libertà. (p. 63; 1974)
*Non c'è cosa tanto instabile e passeggera a questo mondo quanto la reputazione d'un potere che si fonda su forze non sue. (XIII, 19; 2013)
:''[S]peciosa verbis, re inania aut subdola, quantoque maiore libertatis imagine tegebantur, tanto eruptura ad infensius servitium.'' (I, 81)
:''Nihil rerum mortalium tam instabile ac fluxum est quam fama potentiae non sua vi nixa''.
 
*[...] il volgo, sempre avido di divertimenti e tanto più esultante se riscontra nel principe i suoi stessi gusti. (XIV, 14; 2013)
*''[s]pes in virtute, salus ex victoria'' (II, 20)
:[...] ''est vulgus cupiens voluptatum et, si eodem princeps trahat, laetum''.
:Speranza nel valore, salvezza dalla vittoria.
*[...] l'atteggiamento di superiorità degli [[Stoici]] [...] produce soltanto uomini irrequieti e ambiziosi. (XIV, 57; 2013)
:La speranza era nel valore, la salvezza dipendeva dalla vittoria. (p. 75; 1974)
:[...] ''Stoicorum adrogantia sectaque [...] turbidos et negotiorum adpetentes faciat''.
 
*Di fronte all'[[imprevisto]] anche i prodi si sgomentano [...]. (XV, 59; 2013)
*[L]a [[verità e bugia|verità]] si rafforza con la luce e con il tempo, la [[verità e bugia|menzogna]] invece con la fretta e il mistero [...]. (p. 88; 1974)
:''Etiam fortes viros subitis terreri'' [...].
:''[V]eritas visu et mora, falsa festinatione et incertis valescunt'' [...]. (II, 39)
*Molte [[Impresa (gesta)|imprese]] all'atto pratico riescono, eppure erano apparse ardue ai codardi. (XV, 59; 2013)
 
:''Multa experiendo confieri, quae segnibus ardua videantur''.
*Si dice che alla domanda di Tiberio in quale maniera fosse diventato Agrippa, [Clemente] rispose: «Come tu sei diventato Cesare».<ref>Agrippa Postumo era figlio di Marco Vipsanio Agrippa e potenziale erede di Augusto finché fu relegato a Pianosa. Poco dopo l'ascesa di Tiberio fu assassinato in circostanze non chiarite, ma in cui si sospettava la mano di Tiberio. Dopo la morte di Agrippa, un suo servo, di nome Clemente, approfittando della somiglianza con il padrone, ne aveva assunto l'identità per rivendicare il trono. Giunto nei pressi di Roma era stato catturato con l'inganno e portato a palazzo dove fu interrogato da Tiberio. In seguito Clemente fu segretamente giustiziato.</ref> (II, 40)
:''Percontanti Tiberio quo modo Agrippa factus esset respondisse fertur «Quo modo tu Caesar.»'' (II, 40)
 
*[B]revi e funesti erano gli amori del popolo romano. (p. 89; 1974)
:''[B]revis et infaustos populi Romani amores.'' (II, 41)
 
*[[Agrippina maggiore|Agrippina]], che chiamavano onore della patria, solo vero sangue d'[[Augusto]], esempio unico delle antiche virtù.
:''Agrippinam, cum decus patriae, solum Augusti sanguinem, unicum antiquitatis specimen appellarent.'' (III, 4)
 
*In una repubblica molto corrotta, moltissime sono le [[legge|leggi]].
:''Corruptissima republica, plurimae leges.'' (III, 27)
 
*Ma quelle (imagini) di Bruto e di Cassio più di tutte vi lampeggiavano col non essere. (traduzione di Davanzati, citato in [[Giuseppe Fumagalli]], ''[[s:Chi l'ha detto?|Chi l'ha detto?]]'', Hoepli, 1921, p. [[s:Pagina:Chi l'ha detto.djvu/760#c2024|728]])
:''Sed praefulgebant Cassius atque Brutus eo ipso quod effigies eorum non visebantur.'' (III, 76)
 
*I [[beneficio|benefici]] sono graditi finché possono essere ricambiati, quando sono troppo grandi, invece di [[gratitudine]] generano odio.
:''Beneficia eo usque laeta sunt dum videntur exolvi posse: ubi multum antevenere, pro gratia odium redditur''. (IV, 18)
 
*{{NDR|[[Tito Livio]]}} autore fra i più illustri per eloquenza e per attendibilità, esaltò con tanto entusiasmo Pompeo che Augusto lo chiamava ''Pompeiano''. (p. 188; 1974)
:''Titus Livius, eloquentiae ac fidei praeclarus in primis, Cn. Pompeium tantis laudibus tulit ut Pompeianum eum Augustus appellaret''. (IV, 34)
 
*Tutte le cose che ora si credono antichissime furono nuove un tempo.
:''Omnia'' [...] ''quae nunc vetustissima creduntur, nova fuere.'' (XI, 24)
 
*[I pompeiani e i nucerini convenuti ai] ludi gladiatori banditi da quel Livineio Regolo, che ho già ricordato espulso dal senato, dapprima si scambiarono ingiurie con l'insolenza propria dei provinciali, poi passarono alle sassate, alla fine ricorsero alle armi, prevalendo i cittadini di [[Pompei]], presso i quali si dava lo spettacolo. Furono perciò riportati a casa molti di quelli [[Nuceria Alfaterna|Nocera]] con il corpo mutilato per ferite, e in quella città parecchi fra i cittadini piansero la morte di figli e di genitori.
:''Nucerinos Pompeianosque gladiatorio spectaculo, quod Livineius Regulus, quem motum senatu rettuli, edebat. quippe oppidana lascivia in vicem incessentes probra, dein saxa, postremo ferrum sumpsere, validiore Pompeianorum plebe, apud quos spectaculum edebatur. ergo deportati sunt in urbem multi e Nucerinis trunco per vulnera corpore, ac plerique liberorum aut parentum mortes deflebant.'' (XIV, 17)
 
==''Germania''==