Max Stirner: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
revisione voce, riferimento preciso a una determinata edizione
Riga 1:
[[Immagine:Y-Portrait of Max Stirner.pngsvg|thumb|right|Max Stirner]]
'''Max Stirner''', pseudonimo di '''Johann KasparCaspar Schmidt''' (1806 – 1856), filosofo e pensatore tedesco.
 
*Io rifiuto di avere un potere conferitomi sotto la speciosa forma di "diritti dell'uomo".<ref>Citato in [[Nicola Abbagnano]], ''Fra il tutto e il nulla'', Rizzoli, Milano, 1973, p. 329.</ref>
 
==''L'unico e la sua proprietà''==
===[[Incipit]]===
====Leonardo Amoroso====
IO HO RIPOSTO LE MIE BRAME NEL NULLA.<br>A chi non appartiene la causa ch'io debbo difendere? Essa è, innanzi tutto, la causa buona in se stessa, poi la causa di Dio, della verità, della libertà, della giustizia; poi la causa del mio popolo, del mio principe, della mia patria; infine la causa dello spirito, e mille altre ancora. Soltanto, essa non dev'essere mai la mia causa! "Onta all'egoista che non pensa che a sè stesso!" Vediamo un po', più da vicino, che cosa pensino della propria causa coloro per gl'interessi dei quali noi dobbiamo lavorare, sacrificarci ed infervorarci. (traduzione di Ettore Zoccoli, edizioni F.lli Bocca, 1902)
''Io ho fondato la mia causa su nulla''<ref name=vanitas>Verso iniziale della poesia di [[Johann Wolfgang von Goethe|Goethe]] ''Vanitas! Vanitatum Vanitas!'', dai ''Canti di società'' (1806).</ref>
 
Che cosa non dev'essere mai la mia causa! Innanzitutto la buona causa, poi la causa di Dio, la causa dell'umanità, della verità, della libertà, della filantropia, della giustizia; inoltre la causa del mio popolo, del mio principe, della mia patria; infine, addirittura la causa dello spirito e mille altre cause ancora. Soltanto la ''mia'' causa non dev'essere mai la mia causa. «Che vergogna l'egoista che pensa soltanto a sé!».<br />
===Citazioni dal testo===
Ma guardiamo meglio come si comportano con la ''loro'' causa coloro per la cui causa noi dobbiamo lavorare, sacrificarci ed entusiasmarci.
*Io rifiuto un potere conferitomi sotto la speciosa forma di "diritti dell'uomo". Il mio potere è la mia proprietà, il mio potere mi dà la proprietà. Io stesso sono il mio potere... e per esso sono la mia proprietà.
 
*Il rude pugno della morale non ha alcun rispetto della nobile essenza dell'egoismo.
====Ettore Zoccoli====
*La rivoluzione mira ad un'organizzazione nuova; la ribellione ci porta a non lasciarci più organizzare, ma ad organizzarci da soli come vogliamo, e non ripone fulgide speranze nelle "istituzioni" ... Se il mio scopo non è rovesciare un ordine costituito ma innalzarmi al di sopra di esso, il mio proposito e le mie azioni non sono politici e sociali, ma egoistici. La rivoluzione ci comanda di creare istituzioni nuove; la ribellione ci domanda di sollevarci o innalzarci.
Io ho riposto le mie brame nel nulla.<ref name=vanitas />
*Non l'uomo costituisce la tua grandezza, ma tu stesso la crei, perché tu sei più che uomo soltanto e più potente di altri uomini.
 
*Chi, per rimanere padrone di ciò che possiede, deve contare sulla mancanza di volontà di altri, è una cosa fatta da questi altri, così come il padrone è una cosa fatta dal servo. Se venisse meno la sottomissione, il padrone cesserebbe d'essere.
IO HO RIPOSTO LE MIE BRAME NEL NULLA.<br>A chi non appartiene la causa ch'io debbo difendere? Essa è, innanzi tutto, la causa buona in se stessa, poi la causa di Dio, della verità, della libertà, della giustizia; poi la causa del mio popolo, del mio principe, della mia patria; infine la causa dello spirito, e mille altre ancora. Soltanto, essa non dev'essereesser mai la mia causa! "«Onta all'egoista che non pensa che a sè stesso!"»<br />Vediamo un po', più da vicino, che cosa pensino della propria causa coloro per gl'interessi dei quali noi dobbiamo lavorare, sacrificarci ed infervorarci.<ref>Da ''L'unico'', (traduzione di Ettore Zoccoli, edizioni F.lli Bocca, 1902).</ref>
*Io dico: liberati quanto puoi e avrai fatto ciò che sta in tuo potere; infatti non è dato a tutti di superare ogni barriera, ossia, per parlare più chiaramente non per tutti è una barriera ciò che lo è per alcuni. Perciò non preoccuparti delle barriere degli altri: è sufficiente che tu abbatta le tue.
 
*Nelle mani dello Stato la forza si chiama diritto, nelle mani dell'individuo si chiama delitto.
===Citazioni dal testo===
*Lo Stato si fonda sulla schiavitù del [[lavoro]]. Se il lavoro diventerà libero, lo Stato sarà perduto.
*OsservateMa osservate un po' quel sultano, che provvedesi cura con tanto affetto aidei «suoi». Non è egli forse l'immagineil piùpuro schiettadisinteresse delin disinteressepersona? Non si sacrifica egli forse incessantementedi secontinuo stessoper al bene deii suoi? Sì, proprio deiper i «suoi»! Prova un po' a fargli capire chemostrarti non sei suo, bensìma tuo: inper premioquesto dell'essertiverrai sottrattogettato alin suo egoismocarcere, tu saraiche gettatoti insei carceresottratto al suo egoismo. Il sultano nonha conoscefondato altrala sua causa su null'altro che lase propriastesso: egli è per sé ilegli è tutto nelin tutto, per sé è l'unico, e non consentetollera adche alcunoqualcuno diosi non essere uno dei "«suoi"».<br />E daallora, tuttisulla base di questi esempifulgidi illustriesempi, non volete apprenderecapire che ilè migliorl'egoista partitoad èavere quellosempre dell'egoistala meglio? Io, per mio conto facciomio, tesorone ditraggo questeun lezionigrande insegnamento e, piuttosto che continuare a servire disinteressatamente a quei grandi egoisti, voglio essere l'egoista io stesso.<br />Dio e l'umanità non hanno ripostofondato la loro causa chesu innulla, su null'altro che se stessi. EpperciòAllo vogliostesso riporremodo anch'io infondo me stessoallora la mia causa su ''me stesso'', io, che, al pari di Dio, sono il nulla perdi ogni altra cosaaltro, e per meche sono il mio tutto, io che sono l'unico.<br />Se Dio, ese l'umanità sonhanno, ricchicome abbastanzavoi perassicurate, essersufficiente tuttosostanza in sé per essere a se stessi il tutto in tutto, allora io sento che ''a me'' mancamancherà ancorancora meno e che non potròavrò lagnarmida lamentarmi della mia [[vanità]]«vuotezza». Io non sono il nulla delnel vacuosenso della vuotezza, mabensi il nulla creatore, il nulla dal quale io stesso, in quanto creatore, creo ogni cosatutto.<br />Lungi dunque da me perciò ogni causa, che non sia propriamente e interamente la mia causa! Voi pensate che la mia causa debbadovrebbe essere per lo menoalmeno la «buona causa»? MaMacché che [[bontà e cattiveria|buono]], ma che [[bontà e cattiveria|cattivo]]! Io sonostesso per me stessosono la mia causa, ede io non sono né buono né cattivo. TuttoL'una ciòe perl'altra mecosa non hahanno per me senso alcuno.<br />Il divino è cosala causa di Dio, l'umano la causa «dell'"uomo"». La mia causa non è divinané il divinoumanal'umano, non è laciò verità, nonche è lavero, bontàbuono, giusto, la giustizialibero, né la libertàecc., mabensi unicamentesolo ciò che è ''mio:'', e non è una causa universalegenerale, bensìma - ''unica'', così come unicoio stesso sono iounico.<br Nessuna/>Non cosac'è minulla stache a cuorem'importi più di me stesso! (pp. 12-13)
*Per lo Stato è indispensabile che nessuno abbia una sua volontà; se uno l'avesse, lo Stato dovrebbe escluderlo, chiuderlo in carcere o metterlo al bando; se tutti avessero una volontà propria, farebbero piazza pulita dello Stato.
 
*Io aggiro l'ostacolo di una roccia finché non ho abbastanza polvere per farla saltare in aria e aggiro l'ostacolo delle leggi di un popolo finché non ho raccolto l'energia sufficiente per rovesciarle.
*Il rude pugno della moralemoralità non ha alcun rispettoriguardo dellaper la nobile essenza dell'egoismo. (p. 63)
*Nelle ricchezze del [[banchiere]] io vedo tanto poco qualcosa d'estraneo come Napoleone nelle terre dei re: noi non abbiamo alcun TIMORE di "conquistarle" e anzi cerchiamo i mezzi per poterlo fare. Noi togliamo loro, dunque, questo SPIRITO di ESTRANEITÀ di cui un tempo avevamo timore.
*Lo Stato si fonda sulla - schiavitù del [[lavoro]]. Se il lavoro diventerà libero, lo Stato sarà perduto. (p. 124)
*Osservate un po' quel sultano, che provvede con tanto affetto ai suoi. Non è egli forse l'immagine più schietta del disinteresse? Non sacrifica egli forse incessantemente se stesso al bene dei suoi? Sì, proprio dei suoi! Prova un po' a fargli capire che non sei suo bensì tuo: in premio dell'esserti sottratto al suo egoismo, tu sarai gettato in carcere. Il sultano non conosce altra causa che la propria: egli è per sé il tutto nel tutto, è l'unico, e non consente ad alcuno di non essere dei "suoi". E da tutti questi esempi illustri non volete apprendere che il miglior partito è quello dell'egoista? Io per mio conto faccio tesoro di queste lezioni e piuttosto che servire disinteressatamente a quei grandi egoisti, voglio essere l'egoista io stesso. Dio e l'umanità non hanno riposto la loro causa che in se stessi. Epperciò voglio riporre anch'io in me stesso la mia causa, io, che, al pari di Dio, sono nulla per ogni altra cosa, e per me sono il mio tutto, l'unico. Se Dio e l'umanità son ricchi abbastanza per esser tutto a se stessi, io sento che a me manca ancor meno e che non potrò lagnarmi della mia [[vanità]]. Io non sono il nulla del vacuo, ma il nulla creatore, il nulla dal quale io stesso creo ogni cosa. Lungi dunque da me ogni causa, che non sia propriamente e interamente la mia! Voi pensate che la mia causa debba essere per lo meno la buona causa? Ma che [[bontà e cattiveria|buono]], ma che [[bontà e cattiveria|cattivo]]! Io sono per me stesso la mia causa, ed io non sono né buono né cattivo. Tutto ciò per me non ha senso alcuno. Il divino è cosa di Dio, l'umano dell'"uomo". La mia causa non è divina né umana, non è la verità, non è la bontà, né la giustizia, né la libertà, ma unicamente ciò che è mio: e non è una causa universale, bensì unica, come unico sono io. Nessuna cosa mi sta a cuore più di me stesso.
*Non l'uomo costituisce la tua grandezza, ma tu stesso la crei, perché tu sei più che uomo soltanto e più potente di altri - uomini. (p. 142)
*Rivoluzione e Rivolta non devono essere presi per sinonimi. La prima consiste in un rovesciamento dello stato di cose esistente, dello statuto dello Stato o della Società: essa è dunque un atto politico o sociale. La seconda, pur comportando inevitabilmente una trasformazione dell'ordine costituito, non ha in questa trasformazione il suo punto di partenza. Essa deriva dal fatto che gli uomini sono scontenti di se stessi e di ciò che li circonda. Essa non è una levata di scudi, ma un sollevamento di individui, una ribellione che non si preoccupa assolutamente delle istituzioni che potrà produrre. La rivoluzione ha come obiettivo delle nuove istituzioni. La rivolta ci porta a non lasciarci più amministrare ma ad amministrare da soli. La rivolta non attende le meraviglie delle istituzioni future. Essa è una lotta contro ciò che esiste. Una volta riuscita, ciò che esiste crolla da solo. Essa non fa che liberare il mio Me dallo stato di cose esistente, il quale, dal momento in cui me ne congedo, viene meno e cade in putrefazione!
*La critica dice precisamente: tu devi liberare completamente il tuo io da tutte le limitazioni, in modo che divenga un io ''umano''. Io dico: liberati quanto puoi e avrai fatto ciò che sta in tuo potere; infatti non è dato a tutti di superare ogni barriera, ossia, per parlare più chiaramente: non per tutti è una barriera ciò che lo è per alcuni. Perciò non preoccuparti delle barriere degli altri:; è sufficiente che tu abbatta le tue. (pp. 150-151)
*Se vi prendete il godimento, esso è un vostro diritto; ma se lo agognate soltanto, senza prendervelo, esso resterà quel che era prima: un "diritto meritatamente acquisito" di chi ha il provilegio di godere. Resterà un suo diritto, così come diventerebbe vostro se ve lo prendeste.
*Io aggiro l'ostacolo di una roccia finché non ho abbastanza polvere per farla saltare in aria e aggiro l'ostacolo delle leggi di un popolo finché non ho raccolto l'energia sufficiente per rovesciarle. (p. 176)
*Solo quando sono sicuro di me e non vado più in cerca di me stesso, sono veramente mia proprietà: io ho me stesso, per questo faccio uso e godo di me. Io non posso mai rallegrarmi di me, invece, finché penso che devo ancora trovare il mio vero io e che chi vive in me non sono io, ma è Cristo o qualche altro io spirituale, cioè qualche fantasma, per esempio il vero uomo, l'essenza dell'uomo e simili.
*La mia potenza ''è'' la mia proprietà.<br />La mia potenza mi ''dà'' la mia proprietà.<br />La mia potenza ''sono'' io stesso e grazie a essa io sono la mia proprietà. (p. 195)
*Che cos'è l'ideale se non l'io di cui si va in cerca e che resta sempre lontano? Si cerca se stessi, perciò non si ha ancora se stessi, si aspira a ciò che si dev'essere, perciò non si è. Si vive nello struggimento: per secoli si è vissuto in esso, si è vissuti nella speranza. Ma ben altra sarà la vita di chi vive nel – godimento!
*Se vi ''prendete'' il godimento, esso è un vostro diritto; ma se lo agognate soltanto, senza prendervelo, esso resterà quel che era prima: un "«diritto meritatamente acquisito"» di chi ha il provilegioprivilegio di godere. Resterà un ''suo'' diritto, così come diventerebbe ''vostro'' se ve lo prendeste. (p. 201)
*Povere creature che potreste vivere tanto felici soltanto a modo vostro e che invece dovete ballare al suono della musica di questi pedagoghi di orsi e produrvi in capriole artistiche che non vi verrebbe mai in mente di fare! E non vi ribellate mai, sebbene vi si intenda sempre in modo diverso da come vorreste voi. No, voi ripetete sempre meccanicamente a voi stessi la domanda che avete sentito porre: "A che cosa sono chiamato? Che cosa devo fare?". Basta che vi poniate queste domante e vi farete dire e ordinare ciò che dovete fare, vi farete prescrivere la vostra vocazione oppure ve la ordinerete ed imporrete voi stessi secondo le direttive dello spirito. Ciò comporta, per quel che riguarda la volontà, questo atteggiamento: io voglio ciò che devo.
*Per lo Stato è assolutamente necessario che nessuno abbia una volontà propria e, se qualcuno dimostra di averla, lo Stato deve escluderlo (rinchiuderlo, esiliarlo, ecc.); se tutti dimostrassero di averla, essi abolirebbero lo Stato. (p. 205)
*Insomma, c'è una bella differenza nel considerarmi il mio punto di partenza o il mio punto di arrivo. Se mi considero in quest'ultimo modo, io non mi possiedo ancora, sono quindi ancora estraneo a me stesso, sono la mia essenza, la mia "vera essenza" e questa "vera essenza" a me estranea è un fantasma dai mille nomi che si prende gioco di me. Siccome io non sono ancora io, il mio io è un altro io (per esempio Dio, l'uomo vero, l'uomo veramente religioso o razionale o libero, ecc.). Ancora lontano da me stesso, io mi divido in due metà, una delle quali, quella non raggiunta e da realizzare, è la vera. L'una, la non vera, deve venir sacrificata: è quella non spirituale; l'altra, la vera, dev'essere l'uomo integrale: è lo spirito. Per questo si afferma: "Lo spirito è la vera essenza dell'uomo" oppure: "L'uomo esiste come uomo solo in spirito". E così ci si butta disperatamente ad acchiappar spiriti, come se in questo modo si potesse prendere se stessi e, andando a caccia di sé, si perde di vista se stessi, quali siamo realmente.
*Chi, per rimanere padrone di ciò che possiedesussistere, deve contare sulla mancanza di volontà didegli altri, è unaun cosaprodotto fattamal dafatto di questi altri, così come il padrone è unaun cosaprodotto fattamal dalfatto servodello schiavo. Se venisse menocessasse la sottomissionesoggezione, per il padronedominio cesserebbesarebbe finita. d'essere(p. 206)
*Chi non sa sbarazzarsi di un pensiero è, in questo, solo uomo, è schiavo del linguaggio [...] Il linguaggio o "la parola" ci tiranneggiano nel modo più brutale perché sollevano contro di noi un esercito di idee fisse. Osserva per una volta te stesso mentre pensi ad ogni istante senza pensieri e senza parole. Non solo, per esempio, nel sonno, ma persino nella più profonda concentrazione del pensiero, tu sei senza pensiero e senza parole, anzi: se così soprattutto allora. E solo grazie a quest'assenza di pensieri, a questa misconosciuta "libertà di pensiero", ossia libertà dal pensiero, tu appartieni a te stesso.
*Il comportamento dello Stato è espressione del suo potere, della sua violenza, ma questa egli la chiama «diritto», quella del singolo «delitto». (p. 207)
*Dio e l'umanità hanno posto la loro causa su nulla, su null'altro che su se stessi. Nello stesso modo io pongo la mia causa su di me. Io, che al pari di dio, sono il nulla di tutti gli altri, io che sono il mio tutto, io che sono l'unico.
*Nelle ricchezze del [[banchiere]] io vedo tanto poco qualcosa d'di estraneo come [[Napoleone]] nelle terre dei re: noi non abbiamo alcun TIMORE''timore'' di "«''conquistarle"''» e anzi cerchiamo i mezzi per poterlo fare. Noi togliamo loro, dunque, questo SPIRITO''spirito'' di ESTRANEITÀ''estraneità'' di cui un tempo avevamo timore. (p. 291)
*Rivoluzione e ribellione non devono esser considerati sinonimi. La prima consiste in un rovesciamento della condizione sussistente o ''status'', dello Stato o della società, ed è perciò un'azione ''politica'' o ''sociale''; la seconda porta certo, come conseguenza inevitabile, al rovesciamento delle condizioni clate, ma non parte di qui, bensì dall'insoddisfazione degli uomini verso se stessi, non e una levata di scudi, ma un sollevamento dei singoli, cioè un emergere ribellandosi, senza preoccuparsi delle istituzioni che ne dovrebbero conseguire. La rivoluzione mirava a creare nuove ''istituzioni'', la ribellione ci porta a non farci più ''governare'' da istituzioni, ma a governarci noi stessi, e perciò non ripone alcuna radiosa speranza nelle «istituzioni». Essa non è una lotta contro il sussistente, poiché, se essa appena cresce, il sussistente crolla da sé, essa è solo un processo con cui mi sottraggo al sussistente. E se abbandono il sussistente, ecco che muore e si decompone. Ma siccome il mio scopo non è il rovesciamento di un certo sussistente, bensì il mio sollevarmi al di sopra di esso, la mia intenzione e la mia azione non hanno carattere politico e sociale, ma invece ''egoistico'', giacché sono indirizzate solo a me stesso e alla mia propria individualità.<br />La rivoluzione ordina di creare nuove ''istituzioni'', la ribellione spinge ''a sollevarsi'', ''a insorgere''. (pp. 330-331)
*Solo quando sono sicuro di me e non vado più in cerca di me stesso, sono veramente mia proprietà: io ho me stesso, per questo faccio uso e godo di me. Io non posso mai rallegrarmi di me, invece, finché penso che devo ancora trovare il mio vero io e che chi vive in me non sono io, ma è [[Gesù|Cristo]] o qualche altro io spirituale, cioè qualche fantasma, per esempio il vero uomo, l'essenza dell'uomo e simili. (p. 335)
*Che cos'è l'ideale se non l'io di cui si va in cerca e che resta sempre lontano? Si cerca se stessi, perciò non si ha ancora se stessi, si aspira a ciò che si ''dev'''essere, perciò non si è. Si vive nello ''struggimento'': per secoli si è vissutovissuti in esso, si è vissuti nella ''speranza''. Ma ben altra sarà la vita di chi vive nel - ''godimento''! (p. 335)
*Povere creature che potreste vivere tanto felici soltantosaltando a modo vostro e che invece dovete ballare al suono della musica di questi pedagoghi domatori di orsi e produrvi in capriole artistiche che non vi verrebbe mai in menteinmente di fare! E non vi ribellate mai, sebbene vi si intenda sempre in modo diverso da come vorreste voi. No, voi ripetete sempre meccanicamente a voi stessi la domanda che avete sentito porre: "«A che cosa sono chiamato? Che cosa ''devo'' fare?"». Basta che vi poniate queste domantedomande e vi farete ''dire'' e ''ordinare'' ciò che dovete fare, vi farete prescrivere la vostra vocazione oppure ve la ordinerete ed imporrete voi stessi secondo le direttive dello spirito. Ciò comporta, per quel che riguarda la volontà, questo atteggiamento: io voglio ciò che ''devo''. (p. 340)
*Insomma, c'è una bella differenza nelfra il considerarmi il mio punto di partenza o il mio punto di arrivo. Se mi considero in quest'ultimo modo, io non mi possiedo ancora, sono quindi ancora estraneo a me stesso, sono la mia ''essenza'', la mia "«vera essenza"» e questa "«vera essenza"» a me estranea è un fantasma dai mille nomi che si prende gioco di me. Siccome io non sono ancora io, il mio io è un altro io (per esempio Dio, l'uomo vero, l'uomo veramente religioso o razionale o libero, ecc.).<br />Ancora lontano da me stesso, io mi divido in due metà, una delle quali, quella non raggiunta e da realizzare, è la vera. L'una, la non vera, deve venir sacrificata: è quella non spirituale; l'altra, la vera, dev'essere l'uomo integrale: è lo spirito. Per questo si afferma: "«Lo spirito è la vera essenza dell'uomo"» oppure: "«L'uomo esiste come uomo solo in spirito"». E così ci si butta disperatamente ad acchiappar spiriti, come se in questo modo si potesse prendere ''se stessi'' e, andando a caccia di sé, si perde di vista se stessi, quali siamo realmente. (pp. 342-343)
*Chi non sa sbarazzarsi di un pensiero è, in questo, ''solo'' uomo, è schiavo del ''linguaggio'', [..di questa istituzione umana, di questo tesoro di idee ''umane''.] Il linguaggio o "«la parola"» ci tiranneggiano nel modo più brutale perché sollevano contro di noi un intero esercito di ''idee fisse''. ''Osserva'' per una volta te stesso mentre pensi e ti accorgerai che puoi procedere nei tuoi pensieri solo perché resti ad ogni istante senza pensieri e senza parole. Non solo, per esempio, nel sonno, ma persino nella più profonda concentrazione del pensiero, tu sei senza pensiero e senza parole, anzi: sesei così soprattutto allora. E solo grazie a quest'assenza di pensieri, a questa misconosciuta "«libertà di pensiero"», ossia libertà dal pensiero, tu appartieni a te stesso. (pp. 360-361)
 
===[[Explicit]]===
*''Proprietario'' del mio potere sono io stesso, e lo sono nel momento in cui so di essere ''unico''. Nell'''unico'' il proprietario stesso rientra nel suo nulla creatore, dal quale è nato. Ogni essere superiore a me stesso, sia Dio o l'uomo, indebolisce il sentimento della mia unicità e impallidisce appena risplende il sole di questa mia consapevolezza. Se io fondo la mia causa su di me, l'unico, essa poggia sull'effimero, mortale creatore di sé, che se stesso consuma, e io posso dire:<br />Io ho fondato la mia causa sul nulla.
 
==Citazioni su Max Stirner==
Line 36 ⟶ 46:
*La logica dello Stirner è esatta perché estrema. Molta critica in uso oggi non saprebbe persuadersi del fatto che vi sono verità sociologiche vere soltanto in una forma estrema. ([[Paolo Orano]])
*San Max (Stirner) riconosce che l'Io riceve uno 'choc' dal mondo fichtiano. Ma che i comunisti siano decisi a far passare sotto il loro controllo questo 'choc' che (se non si riduce a una vuota frase) diventa in realtà uno 'choc' molto complesso e determinato in molteplici modi, questo, per San Max, è un ragionamento troppo ardito perché egli vi si soffermi. ([[Karl Marx]])
 
==Note==
<references />
 
==Bibliografia==
*Max Stirner, ''L'Unicounico e la sua proprietà'', traduzione di L.Leonardo Amoroso, Adelphi, 1999Milano, 2009. ISBN 978-88-459-1452-2
 
==Altri progetti==