Alan Duff: differenze tra le versioni

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*Diavolo, non so, ci dev'essere qualcosa nella natura maori che ci rende scapestrati, più inclini a violare la legge. Eppure siamo brava gente. Fondamentalmente siamo buoni. Mettiamo in comune le cose. Siamo pronti a toglierci la camicia di dosso per darla a qualcun altro. (Finché non sei vissuto per un po' a Pine Block, s'intende, poi t'incallisci, succede a quasi tutti.) E abbiamo questa... Beth pensa e pensa, cerca di far corrispondere alla sua comprensione istintiva una parola adatta: passione. Abbiamo passione, noi maori. O forse è stile. Ma non come lo stile dei neri che si vede in televisione per come sono eleganti, alla moda, tosti, e come si muovono con quel loro andamento ritmico da neri, no, non così, ma un incrocio tra quello e i bianchi che sono meno appariscenti. Oh, e lo spirito, se siamo gente spiritosa. Ridacchia fra sé. Ma quanto a cose no, noi non abbiamo ''cose''. Nel senso di oggetti. Beni materiali. E chi ne ha bisogno? Mai conosciuto un maori che avesse la fregola di possedere ''roba''. È qui, battendosi la mano più o meno sul cuore, è qui dove vogliamo appagamento. Si batte la mano sul ventre. E anche qui. Ride. Cibo. Adoriamo il nostro cibo. Anche quando sappiamo che ci fa male, o che addirittura ci ammazza in anticipo. Noi diciamo, E chi se ne frega, non fa niente, è stato bello finché è durato. Com'è che dicono? Svogliato. Così. Noi siamo una razza svogliata. Eccetto quando siamo ubriachi. Allora ci viene la voglia. Di menare il prossimo. (p. 47)
*Noi eravamo una stirpe di guerrieri, Oh pubblico che mi ascolti. Lo sapevi? E i nostri uomini erano pieni di tatuaggi sulla faccia feroce, ed erano tatuaggi ''incisi'' e guai a fiatare. Non un sospiro. Anche le donne avevano tatuaggi sul mento e le loro labbra erano nere di disegni. Ma credo che a noi permettessero di gridare quando ci tatuavano; immagino che pensassero che noi donne siamo deboli di natura, ma non è così. [...] Ed eravamo sempre in guerra, noi maori. Gli uni contro gli altri. Vero. È vero, davanti a Dio, pubblico. Ci odiavamo. Tribù contro tribù. Selvaggi. Eravamo dei selvaggi. Però guerrieri. È molto importante ricordarlo. Guerrieri. Perché, vedete, è quello che abbiamo perso quando voi, dico al pubblico bianco che c'è laggiù, ci avete sconfitto. Ci avete sottomessi. Avete preso la nostra terra, la nostra ''mana'', ci avete tolto tutto. Ma questa faccenda dell'essere guerrieri ci è stata tramandata. Be', almeno si può dire così, in una maniera un po' confusa. È più la fortezza d'animo quella che è stata tramandata da generazione in generazione. Fortezza d'animo, sì. Noi maori possiamo anche essere tutto il brutto di questo mondo ma non potete portarci via la nostra forza d'animo. Ma questa forza d'animo, dico a voi pakeha<ref name=pakeha/>, ha cominciato a significare sempre meno via via che il mondo invecchiava, imparava più cose, con la sua nuova tecnologia e tutta questa strombazzata faccenda dei computer, oh ma anche prima dei computer la forza d'animo era diventata superflua. Buona questa parola in bocca a un maori, eh, superfluo? (pp. 52-53)
*Il mondo di Jake era fisico; ed era consapevole che fosse fisico. Era sicuro che quasi il mondo intero la vedesse alla stessa maniera. Era lì quando si svegliava ogni giorno (o notte) nella sacca della sua mente come qualcosa di fisico. Vedeva la gente dappertutto, ma principalmente uomini, ed erano impegnati in combattimenti fisici, argomenti di carattere bellico, il loro potenziale guerresco, quanto sarebbero probabilmente stati capaci di essere veloci, quanto abili nella mira e nella forza e se era entrambe le mani o solo normale, destro o sinistro (sempre in quest'ordine), avesse questo o quello adottato quel nuovo stile moderno di combattimento con l'uso della fronte, il ginocchio, o qualunque cosa capiti sottomano. La sua mente copriva tutta la gamma dei confronti fisici. Vedeva gli altri innanzitutto nei termini del loro potenziale bellico, prima di vedere qualunque altra cosa. Persino alla TV, quando stava a guardare quella dannata scatola, si soffermava sempre a studiare qualche tizio e a domandarsi se sarebbe stato in grado di fare a pugni o no. Specialmente quei tipi tutti tirati con quei cazzo di capelli che non ne avevano uno fuori posto; gli facevano stridere i denti, con la voglia addosso di tuffarsi dentro la TV e eridurreridurre in poltiglia il faccino da angioletto di quello stronzo. E così potente era il suo odio, che per forza (non c'era nemmeno da starci a pensar su) doveva essere perfettamente giustificato. Allo stesso modo, i casi rari in cui gli capitava di rompere qualche faccia da angioletto nel suo mondo reale (per il fatto puro e semplice di avere quell'aspetto che Jake definiva da angioletto) mai gli sovveniva il dubbio che potesse esserci qualcosa di storto nel suo atteggiamento, magari nella sua testa. Impossibile: praticamente tutte le persone con cui aveva a che fare (con cui beveva) la pensavano come lui. Ne era sicuro. (pp. 56-57)
 
==Note==