Romanticismo: differenze tra le versioni

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Isidoro Carini
Arturo Farinelli
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*È quell'idea di libertà politica ad averci dimenticati lungo un binario morto della storia, non siamo noi ad aver dimenticato il [[Risorgimento]]. L'eredità del Romanticismo è invece malignamente viva. ([[Antonio Scurati]])
*E non si avvedono {{NDR|i romantici}} che appunto questo grand'ideale dei tempi nostri, questo conoscere cosí intimamente il cuor nostro, questo analizzarne, prevederne, distinguerne ad uno ad uno tutti i piú minuti affetti, quest'arte insomma psicologica, distrugge l'illusione senza cui non ci sarà poesia in sempiterno, distrugge la grandezza dell'animo e delle azioni [...]: e non si avvedono che s'è perduto il linguaggio della natura, e che questo sentimentale non è altro che l'invecchiamento dell'animo nostro, e non ci permette piú di parlare se non con arte. ([[Giacomo Leopardi]])
*I romantici, che lo Schlegel catechizzava e il Novalis infiammava di ardore mistico, hanno orrore dell'ignoranza e del barbaricume. Inneggiano alla virtù del sapere, al beneficio della civiltà. Il Rousseau rinnega la storia, e nega l'educazione; sistemizza l'ineducazione. I romantici credono ad un progresso eterno dello spirito; identificano talora l'educazione con la religione. E tutto vorrebbero abbracciare, tutto comprendere, tutto vedere, tutto sviscerare, raccogliere in un sol raggio, come Friedich Schlegel diceva, tutti i raggi della civiltà. Da quella gran foga e avidità di sapere, dalla smania di investigazione e di ricerca rampollarono poi via via le nuove scienze della natura e dello spirito. ([[Arturo Farinelli]])
*I romantici rinnegano il principio d'imitazione {{NDR|dei classici}}, proclamano morta la vecchia [[mitologia]] e vorrebbero una letteratura e una lingua che esprimessero le idee di un'Italia giovane e fresca, all'unisono col resto d'Europa. Di qui la necessità di stretti contatti fra la lingua scritta e la lingua parlata, per meglio aderire alla realtà delle cose. ([[Bruno Migliorini]])
*Il messaggio del Romanticismo si è, nella coscienza collettiva, talmente affievolito o degradato da sopravvivere soltanto, ormai, come un equivoco lessicale? Oppure, al contrario, la dilagante fortuna di quest'uso confusamente metaforico dell'aggettivo è la prova d'una sotterranea ma tenace vitalità del sostantivo? ([[Giovanni Raboni]])