Giovanni Stefano Menochio: differenze tra le versioni

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===Citazioni===
*[[Alfonso Chacón|Alfonso Ciaccone]] lib. ''de lignis sanctis s. Crucis'' cap. 30. si sforza di provare, che la [[Vera Croce|Croce del Signore]] fosse di [[Quercia]]. Le ragioni, che egli adduce sono le seguenti. Primo, perche in Terra santa vi sono molti alberi di questa specie, onde spesso nella Sacra Scrittura si fa mentione di quercie, e di boschi di quercie. Secondo, perche questo legno è molto a proposito per quello effetto, per ragione della sua fortezza, e durezza. Terzo, perche la quercia è di grandissima durata, che però insino a nostri giorni si veggono perticelle della Croce di Cristo, che non sono punto tarlate, e guaste dall'antichità. Quarto, perche il legno della quercia è molto pesante, e dall'Evangelio sappiamo, che la Croce di Cristo fu molto grave, onde bisognò imporla a Simeone Cireneo, perche Cristo non poteva più longamente portarla. Quinto, perche conferendo il legno della Croce con altri legni di quercia, pare che sia veramente di quella specie. (da ''Centuria Prima'', p. 7)
*Il P. [[Manuel de Sá|Emanuele Sà]] della Compagnia di Giesù huomo più dotto assai che non mostrino li tre libri da lui dati in luce sopra il vecchio, e nuovo testamento, e in materia morale ne’ suoi aforismi, leggeva nel Collegio Romano la sacra Scrittura l’anno 1582 nel qual anno nel mese d’Ottobre si fece da Gregorio XIII la riforma del Calendario, aggiungendovi li dieci giorni che erano trascorsi. Hor facendo questo Padre la sua prima lettione o prefatione come s’usa al principio del Novembre seguente, e volendo mostrare che non dobbiamo sbigottirci, né dubitare per le difficoltà che tal volta, anzi bene spesso occorrono nell’intelligenza della sacra Scrittura, valendosi del fatto del Pontefice che il mese precedente aveva corretto l’anno, apportò questa similitudine. Se alcuno, disse egli, ritrovasse dopo alcune centinaia d’anni una Scrittura, che dicesse così: ''L’anno 1582 à 15 d’Ottobre che fu il giorno dopo S Francesco'' etc. nascerebbe subito difficoltà della verità di questa Scrittura. Direbbe uno, ha errato lo Scrittore, il quale volle dire à i cinque, e disse à i quindici. Un altro direbbe che forse anticamente si faceva la festa di San Francesco alli 14 e che però non c’è errore niuno nella Scrittura. Un terzo direbbe che quella lettera, i, è articolo e non nota aritmetica, e che però quello che fece la scrittura non disse à 15 ma à i 5 che scritto disteso, e senza note d’abaco vuol dire à i cinque, e questa interpretatione parrebbe forsi la più probabile, e la più vera, e sarebbe con applauso ricevuta. Con tutto ciò niuno di questi interpreti s’appone, né tocca il vero sentimento, perché la verità è che s’ha da dire à li quindici, che fu il giorno dopo S. Francesco, né è vero che si sia mai fatta la festa di questo Santo alli 14 né è vera la specolatione di quello che si persuade che quella lettera i sia articolo, e non nota aritmetica, ma quello che è vero, e che scioglie le difficoltà, è che veramente l’anno del 1582 la festa di S. Francesco si celebrò alli 4 e per l’aggiunta delli dieci giorni trascorsi si disse il giorno seguente à li 15 e quella scrittura sta bene così come suonano le parole, tutto che ciò sia difficile da capirsi, anzi inintelligibile, da chi non sa quel fatto del Pontefice Gregorio. Così apunto, disse Emanuel Sà, avviene nell’intelligenza delle sacre Scritture, che il non sapere una circonstanza, una istoria, un rito, etc. ci oscura talmente il sacro testo, che non possiamo superare le difficoltà; il che però non deve portar pregiuditio alla ferma credenza che habbiamo della veracità di essa Scrittura, e de gl’autori di essa, che l’hanno scritta seguendo l’indrizzo, e inspiratione dello Spirito Santo, che non può ingannarsi, né ingannare. (da ''Centuria Prima'', pp. 20-21)
*{{NDR|Sulla [[Septuaginta]]}} Al tempo di Tolomeo Filadelfo, il quale visse circa 300 anni avanti di Christo furono li settantadue interpreti chiamati in Egitto da questo Rè, accioche voltassero la Sacra Scrittura del Vecchio Testamento dalla lingua Hebrea nella Greca. [...] Quanto poi tocca al modo di quella tradottione, in alcune cose s'accordano gli Autori, in altre differiscono frà di loro. S'accordano, che li vecchi furono settantadue, sei di chiascheduna delle tribù, tutti intelligentissimi delle due lingue Hebraica, e Greca, e che miracolosamente nello spatio di settanta due giorni compirono la loro interpretatione. Non s'accordano, perche alcuni dicono, che ciascheduno fù rinchiuso nella sua celletta, e che per miracolo riusci la interpretatione di ciascheduno del tutto conforme nel senso, e nelle parole con le versioni degli altri, di modo tale, che furono settandue esemplari ne anco in un sol punto differenti di se. (da ''Centuria Prima'', pp. 30 e 31)
*Ne' tempi antichi prima, che fossero in uso li alloggiamenti pubblici, dove sono li forastieri alloggiati per danari, era molto in uso l'[[ospitalità|hospitalità]], e li palagi de' gran personaggi non erano mai chiusi à quelli, che veggiando capitavano à casa loro. Si potrebbero in confermatione di questo apportare molte prove, ma io voglio restringermi solamente à quello, che ritrovo in [[Omero|Homero]], con toccare alcune usanze di quel tempo, delle quali esso fa mentione. E principalmente mi sovviene un certo [[Assilo]], del quale parla quel Poeta nel lib. 6. dell'Iliade al verso 12. e dice, che egli habitava ad Arisbe, luogo molto bene fabbricato, e che essendo ricco di facoltà, era benigno con tutti, e tutti albergava in casa sua, la quale era situata sopra della publica strada. Nota Eustachio famoso espositore di Homero, che à punto s'era Assilo eletto l'habitatione vicina alla strada per potere più commodamente invitare à se, e dar ricetto ad ogni sorte di passaggieri. Non mancano di quelli, che stimano, che Homero non approvasse quella tanto profusa, indistinta, e liberale hospitalità, perche nel verso 16. soggiunge, che fù ammazzato da Diomede, e quasi che volesse mostrare, che era soverchia quella sua liberalità. (da ''Centuria Prima'', p. 50)