Philippe Delerm: differenze tra le versioni

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===Citazioni===
*È facile sgranare i [[pisello|piselli]]. Una pressione del pollice sulla costola del baccello e quello si apre, docile, offerto. Alcuni, meno maturi, sono più recalcitranti – un'incisione dell'unghia permette allora di lacerare il verde e di sentire l'umidore e la polpa densa, appena sotto la buccia falsamente scabrosa. Poi si fanno scivolar giù le palline con un solo dito. L'ultima è davvero minuscola. [...] Basterebbero cinque minuti, ma è piacevole prolungare, rallentare il mattino, baccello dopo baccello, con le maniche rimboccate. Passiamo la mano nelle palline sgranate che riempiono la ciotola. Sono morbide; tutte quelle rotondità contigue formano come un'acqua verde chiaro e ci meravigliavamo di non ritrovarci con le mani bagnate.
*[[Porto (vino)|Porto]], un liquido in fondo a un golfo cupo, con un portamento altero di ''gentilhombre''. Nobiltà clericale, austera e tuttavia con galloni d'oro. Ma nel bicchiere rimane solo l'idea del nero. È una lava morbida, più granata che rubino, che ha dentro storie di coltello, sole di vendette, e minacce di convento sotto la lama del pugnale. Tutta questa violenza, sì, ma assopita dal cerimoniale del bicchierino, dalla saggezza dei sorsetti timidi. Sole spento, fragori attutiti. Un sapore perverso di frutto ovattato dove si sono stemperati eccessi e splendore. (da ''Prendere un porto'', 1999, pp. 21-22)
*[...] prendiamo un [[croissant]]. La pasta è tiepida, quasi molle. Questa piccola ghiottoneria nel freddo, mentre camminiamo: come se il mattino invernale diventasse croissant dentro di noi, come se noi diventassimo forno, casa, rifugio. Procediamo più lentamente, tutti impregnati di biondo per attraversare l'azzurro, il grigio, il rosa che si stempera. Comincia il giorno, e ci siamo già presi il meglio. (da ''Il croissant per strada'', 1999, p. 30)
*Ci tuffiamo in questa camera giapponese di specchi, scopriamo i tramezzi segreti, gustiamo la luce imprigionata nel soffocante cilindro di cartone. Teatro d'ombre del mistero, retroscena spoglio dei giochi di luce, parete di ghiaccio scuro. Lì si prepara il miracolo, nell'equivoca crudeltà delle immagini moltiplicate. (da ''Tuffarsi nel [[caleidoscopio]]'', 1999, p. 139)
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===''Aveva piovuto tutta la domenica''===
Bisogna vivere a Parigi. Se il signor Spitzweg scava in profondità tra le regole che dominano la sua esistenza, affiora solo questo assioma, come se tutto il resto ne derivasse... Tutto il resto... Il signor Spitzweg sarebbe un po' imbarazzato a dire quale. Quando ha avuto un impiego a Parigi, trent'anni fa, dopo aver vinto il concorso alle Poste, non si può dire che il signor Spitzweg abbia scelto il quartiere in cui abitare. Solo che il XVIII arrondissement non era eccessivamente caro e lì ha trovato un piccolo bilocale, primo piano a sinistra, al 226 di rue Marcadet, proprio davanti allo square Carpeaux.
 
===''La prima sorsata di birra''===
Non un coltello da cucina, naturalmente, né un coltello da malavitoso a serramanico. Ma neppure un temperino. Diciamo un Opinel n.° 6 o qualcosa di simile. Un coltello che sarebbe potuto appartenere a un nonno ipotetico e perfetto. Un coltello che lui avrebbe tenuto nella tasca dei pantaloni di velluto color cioccolato a coste larghe e che avrebbe tirato fuori all'ora di colazione per infilzare con la punta le fette di salame, per sbucciare lentamente la mela, con il pugno stretto intorno alla lama.
 
===''L'ospite inatteso''===