Charles Langbridge Morgan: differenze tra le versioni

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==''Ritratto in uno specchio''==
===Incipit===
DRUFFORD<br><br>Avevo diciott'anni quando, nell'estate del 1875, per la prima volta in vita mia andai ospite in una villa in campagna. Sebbene a quei tempi la casa di mio padre a Drufford nel Kent fosse abbastanza rustica, troppo rustica per i gusti di mia sorella Ethel -, quel termine di villa in campagna merita di essere accentuato, a sottolineare il contrasto tra le solide comodità di Drufford e ciò che Ethel chiamava lo "stile" della "dimora" dei Trobey nella contea di Oxford. Diceva: « Quella dei Trobey è una vera villa di campagna. Si trova a diverse miglia dalla stazione di Singstree. C'è un viale di accesso alla casa, la quale, naturalmente, dalla strada non si vede ».<br>M'ero già chiesto perché lei e mio fratello Richard volessero rendermi partecipe di tanta magnificenza; poiché troppo spesso Ethel mi aveva chiaramente fatto intendere che, per quanto intelligente fossi, restavo pur sempre un ragazzo goffo e svagato; e che se non mi scuotevo, badando a dove mettevo i piedi e rispondendo con garbo quando mi si rivolgeva la parola, per tutta la vita sarei stato oggetto di scherno e sarei finito male. Eppure, era proprio grazie ai buoni uffici di Ethel presso Pug Trobey, che quell'anno l'invito della signora Trobey si era esteso anche alla mia persona.
 
===Citazioni===
*S'inganna chi crede che l'opera dell'artista altro non sia se non un concetto superiormente organizzato di verità già accessibili sotto una forma diversa, e che l'artista non sia apportatore di nuova verità ma interprete dell' ''aurea mediocritas''. L'[[arte]] è un vangelo di realtà che non può esprimersi in altri termini. In tal senso l'artista è un messaggero degli dei, e per tale ragione non può spiegare il loro messaggio in una lingua che non sia la sua. Sostenere che, non sapendo interpretare il loro pensiero, egli non l'abbia capito, o non si sia mai trovato in loro compagnia, significa ammettere che nulla sia reale se non ciò che può essere espresso nel linguaggio di uomini estranei all'arte. Significa ripudiare l'autenticità della poesia, e negare all'artista un'esperienza propria. L'esperienza in sé, che è poi l'esperienza della realtà, non può essere da lui fraintesa. Potrà essere isolata e unica, come la caduta del seme da cui nasce una pianta; o continuamente rinnovata come la pioggia. In ogni caso la gioia che ne ritrae l'artista, ordinariamente detta creativa, è una gioia di carattere ricettivo; e presenta una stretta analogia con l'atto d'amore femminile, che è insieme ardente e pacifico, adempimento e iniziazione. La genesi dell'opera d'arte - la messe della verità originaria - è un'esperienza meno intensa di quanto non sia il concepirla, poiché nell'attimo della concezione, e in nessun altro forse, l'artista intuisce completamente le proprie divinità, e vede la loro realtà attraverso i loro occhi. In questa facoltà d'impegnarsi, non nello scrivere versi o nel dipingere quadri o nel comporre musiche, sta l'essenza dell'arte, la ragione d'essere di un artista. L'esecuzione potrà o no seguire a quest'attimo; ma anche nella propria infanzia, quando a malapena sa che cosa significhi essere artefice, un artista vi si assoggetta completamente, e vi intravede le ricchezze della propria vita. Poi, via via che l'artefice, procedendo verso la virilità, scoprirà la propria arte, il miracolo che sin dall'inizio egli ha portato dentro di sé si paleserà. Prima, egli era consacrato; ora, sa a che cosa. (p. 44-45)
 
{{NDR|Charles Morgan, ''Ritratto in uno specchio'' (''Portrait in a Mirror'', 1929), traduzione di Alessandra Scalero, Arnoldo Mondadori Editore, 1979.}}