Mario Gromo: differenze tra le versioni

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==Citazioni di Mario Gromo==
*Oggi, dopo aver visto ''[[King Kong (film 1933)|King Kong]]'', si potrebbero inaugurare due altre categorie: film per miopi, film per non miopi; e ''King Kong'' è fatto per un pubblico affetto da almeno una mezza dozzina di diottrie. […] Tutto ciò per lo spettatore assai miope, apparirà in una visione apocalittica, densa di brividi, d'imprevisti. […] Non tutti sono miopi, però; e ieri sera, nei momenti più volonterosamente spaventosi risuonavano non poche risate, con un nutrito codazzo di fischi finali. Siamo in parecchi a non portare occhiali. Se ''King Kong'' rinuncia a priori a ogni e qualsiasi intento d'arte, e vorrebbe invece soltanto ammanirci lo spettacolone terrificante, e specialmente in una sorta di campionario delle risorse tecniche sulle quali la cinematografia può ormai sicuramente contare, è proprio in questo assunto che il film rivela le sue pecche più grossolane. […] Prescindendo dalla cartapesta degli sfondi, questi mostri antidiluviani, dinosauri e C., sono tutti timidi ed epilettici: si muovono lentamente e a scatti, come vogliono i meccanismi ad orologeria che li governano. Si salva King Kong, che il terribile urango non è che un uomo camuffato, e le sue proporzioni sono ottenute con delle sovrapposizioni, degli schermi multipli: ma sono, questi sistemi, veramente l'ultima parola della tecnica, del trucco cinematografico?<ref>Da [http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,5/articleid,1144_01_1933_0287_0005_24342785/anews,true/ ''Sullo schermo:'' King Kong, ''di M. C. Cooper e E. B. Schoedsack''], ''La Stampa'', 3 dicembre 1933</ref>
*{{NDR|Su ''[[La dolce vita]]''}} Non sempre la materia è decantata. Appartiene, ancora e sovente, alla cronaca. Non lievita, non vibra. Sono dati di fatto. Se gelidamente posti in una loro impeccabile prospettiva, avrebbero potuto avere una loro straordinaria efficacia; così, invece, appaiono qua e là pesti, quasi sfuocati, o ripetuti, ridondanti. C'è infatti una certa monotonia, sia pure assai colorita, di tipi, di scorci, di accenti. Se codesta monotonia fosse stata soltanto apparente, e allora calibrata in un suo ritmo rigoroso, dalla sordina sempre più ossessiva, tutto ciò avrebbe potuto avere un'altra sua non meno straordinaria efficacia. Così, invece, i tipi si stingono talvolta l'uno sull'altro, o si ricalcano. Dovrebbe giustificarli un loro minimo comun denominatore; ma questo è così esplicito che lungo il cammino, per forza di cose si attenua, e si fa risaputo.<ref>Da ''La Stampa'', Torino, 6 febbraio 1960; citato in Claudio G. Fava, ''I film di Federico Fellini'', Volume 1 di ''Effetto cinema'', Gremese Editore, 1995, [https://books.google.it/books?id=DNMSsPUpWnoC&pg=PA96 p. 96]. ISBN 8876059318</ref>
*{{NDR|A proposito di [[Vittorio De Sica]] in ''Gli uomini che mascalzoni''}} Ha saputo tratteggiare, con grande semplicità di mezzi, un tipo di giovanotto trasognato e scanzonato quanto basta e ora dopo questa prova felice De Sica può aspirare a essere quel buon attore che finora mancava allo schermo italiano.<ref name=Scaglione>Citato in Massimo Scaglione, ''I Divi del Ventennio, per vincere ci vogliono i leoni...'', Lindau, 2005.</ref>