Gino Monaldi: differenze tra le versioni

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'''Gino Monaldi''' (1847 – 1932), impresario operistico e critico musicale italiano.
 
==''Memorie d'un suggeritore''==
*I camerini degli uomini non sono quasi mai chiusi, e il loro abbigliamento si compie in mezzo a un viavai continuo di amici, conoscenti, compagni di teatro, giornalisti, curiosi e cortigiani, i quali ultimi sono di una assiduità spaventevole. Nell'interno il camerino non differisce molto da quello delle primedonne. In genere, il meglio arredato spetta al tenore. Oltre il lusso della specchiera, delle tende, dei tappeti e delle altre suppellettili, vi è spesso una esposizione di armi e di ornamenti di cui l'artista si compiace farvi l’illustrazione. (cap. XI, p. 97)
 
*L'impressione di quelle nude e talvolta umide pareti {{NDR|di un [[Camerino (teatro)|camerino teatrale]]}}, così miseramente arredate, è triste e penosa. Non vi sentireste l'animo di restarci solo per cinque minuti. Se non si avesse alle spalle la vastità del palcoscenico, sembrerebbe di trovarsi nella cella d'una prigione.<br>Eppure chi, alla sera della rappresentazione, ponesse piede entro quello stesso camerino per visitarvi la cantante che lo abita, proverebbe una sensazione di tepore e di benessere pari a quella che si riceve penetrando nell'elegante e profumato salottino d’una gran dama. (cap. XI, p. 98)
 
*Nei camerini degli artisti uomini è cosa difficilissima mettersi a sedere. Sedie, sgabelli, divani, se ve ne sono, tutto è ingombro. Biancherie, abiti, pantaloni, mutande, maglie, barbe, parrucche, mantelli, elmi, corazze, gambali, stivaloni, scarpe, giustacuori, ogni cosa alla rinfusa, non solo sulle sedie e sul divano, ma sulle valigie, sulle ceste e sopra ogni altro piano di appoggio. Sembra uno sgabuzzino di rigattiere in un momento di vendita. Volendo sedersi, e molti lo tentano, specialmente gl'intimi, conviene non preoccuparsi del danno che si può fare e di quello che si può ricevere, e questo è il più frequente. (cap. XI, p. 98)
 
==''Le regine della danza nel secolo XIX''==
*Per la società parigina dell'ultimo scorcio del secolo decimottavo la [[Marie-Madeleine Guimard|Guimard]] rappresentò la poesia d'una fata, fata incantatrice sulla scena, e fata pietosa e caritatevole fuori di essa. La sua grande ricchezza permettevagli prodigalità eccessive. Le sue feste hanno lasciato ricordi di sontuosità leggendaria. La bontà del suo cuore ebbe talvolta ispirazioni felici. (p. 22)
 
*[...] il [[Salvatore Viganò|Viganò]] scavò un solco luminoso nel sentiero dell'arte e portò la coreografia italiana a un'altezza a cui non era mai salita sino allora. Con lui il ballo, deposto ogni residuo di quella licenza, spesse volte oscena, degli antichi, corre speditamente verso più civile e nobile missione: quella di scuotere gli animi, e suscitare commozioni non inferiori a quelle provocate dalla rappresentazione drammatica. (p. 61)
 
*Tanto questi {{NDR|Salvatore Viganò}} quanto il Gioja e come pure il Garzia, altro e più modesto compositore dell'epoca, fecero a gara per incontrare il favore della grande [[Antonietta Pallerini|Pallerini]] e scrivere balli in cui ella avesse agio e modo di far pompa della sua affascinante eloquenza di mima e della sua leggerezza di silfide. (p. 64)
 
*Il [[Carlo Blasis|Blasis]] è riguardato a ragione come caposcuola, poiché allargò infatti i confini dell'arte della danza, le diede lustro e decoro massimo e le affidò uno scopo. Egli fu il vero fondatore della grande scuola italiana. I suoi balli infiniti appartengono a tutti i generi: eroici, epici, biblici, mitologici, anacreontici, misti, tragici, poetici, cavallereschi, fantastici, romantici. E pensare che di tutte queste sue azioni coreografiche non una è arrivata sino a noi! (pp. 94-97)
 
*L'agilità e la leggerezza della [[Carlotta Grisi|Grisi]] erano invero stupefacenti. Nel ballo ''Paquita'' eseguiva un passo d'una arditezza iperbolica. Erano una serie di salti a ''cloche-pied'' sulle punte, con delle piroette d'una velocità vertiginosa, che producevano meraviglia mista a spavento. Questo passo, malgrado la sua difficoltà inverosimile, la Grisi lo ripeteva per ben otto volte. Il pubblico dell'Opéra vi andava in visibilio. (p. 169)
 
*{{NDR|[[Carolina Rosati]]}} [...] possedeva l'armonia perfetta delle forme. Elegante di modi, aggraziata nella persona, dotata di squisito buon gusto, conoscitrice profonda dell'arte sua, appartenente a scuola purissima, essa esercitò un fascino straordinario sul pubblico. (p. 176)
 
*{{NDR|Carolina Rosati}} Natura le donò tutto per essere perfetta. (p. 176)
 
*Nella ''Gisella'' del Cortesi faceva il suo debutto la [[Sofia Fuoco|Sofia {{sic|Foco}}]], danzatrice vivacissima che giustificava il proprio nome. Essa possedeva anzitutto un merito rarissimo nella danza – arte assai limitata – l'originalità. Essa non aveva niente a che fare con la Taglioni, con l'Elssler, con la Grisi, con la Gratin, con la Cerrito. Le sue punte in ispecie erano sorprendenti. Essa eseguiva tutta una intera variazione senza posare in terra il tallone una sola volta. I suoi piedi potevano paragonarsi a due freccie d'acciaio che rimbalzassero sopra un pavimento di marmo. Non un istante di mollezza, di oscillazione, di tremito. Il suo pollice inflessibile non tradiva mai il peso del corpo leggerissimo della danzatrice. (pp. 183-184)
 
*Pochi ricordano oggi {{NDR|[[Luigi Manzotti]]}} il glorioso autore dell'''Excelsior'' come mimo. Quelli però che al pari di me poterono vederlo nella ''Esmeralda'', nella ''Cleopatra'', nel ''Muzio Scevola'', nel ''Masaniello''<ref>nel testo "Masianello".</ref>, e ne' suoi balli ''Rolla'' e ''Pietro Micca'' non potranno dimenticarlo. Egli non aveva nulla a che fare con quegli attori-mimi, anche i più celebrati, che sembravano tanti mulini a vento sulla scena per la velocità del gesto e la irrequietezza continua dei movimenti. Il Manzotti sapeva esprimere tutto ciò che voleva dire con un'eloquenza mimica ammirevole. (p. 218)
 
*{{NDR|Luigi Manzotti}} Il volto era lo specchio del sentimento, il suo gesto la sua parola. La plastica bellissima della persona sempre scultoriamente atteggiata, gli serviva stupendamente a conferire al personaggio da lui rappresentato l'idealizzazione scenica necessaria. Bastava osservarlo per intenderlo e capirlo come un attore drammatico: talvolta anche meglio. (p. 218)
 
==''Cantanti celebri del secolo XIX''==
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*La rivoluzione italiana, di cui Verdi si fa simbolo sul teatro, àltera la fisonomia del canto e quella dei cantanti. Un non so che di aspro e di selvaggio circola per le vene della musica verdiana e spinge il canto dalle zone dei pioppi e dei salici in quelle delle {{sic|quercie}} e dei faggi. (cap. XV, p. 306)
 
==''Le regine della danza nel secolo XIX''==
*Per la società parigina dell'ultimo scorcio del secolo decimottavo la [[Marie-Madeleine Guimard|Guimard]] rappresentò la poesia d'una fata, fata incantatrice sulla scena, e fata pietosa e caritatevole fuori di essa. La sua grande ricchezza permettevagli prodigalità eccessive. Le sue feste hanno lasciato ricordi di sontuosità leggendaria. La bontà del suo cuore ebbe talvolta ispirazioni felici. (p. 22)
 
*[...] il [[Salvatore Viganò|Viganò]] scavò un solco luminoso nel sentiero dell'arte e portò la coreografia italiana a un'altezza a cui non era mai salita sino allora. Con lui il ballo, deposto ogni residuo di quella licenza, spesse volte oscena, degli antichi, corre speditamente verso più civile e nobile missione: quella di scuotere gli animi, e suscitare commozioni non inferiori a quelle provocate dalla rappresentazione drammatica. (p. 61)
 
*Tanto questi {{NDR|Salvatore Viganò}} quanto il Gioja e come pure il Garzia, altro e più modesto compositore dell'epoca, fecero a gara per incontrare il favore della grande [[Antonietta Pallerini|Pallerini]] e scrivere balli in cui ella avesse agio e modo di far pompa della sua affascinante eloquenza di mima e della sua leggerezza di silfide. (p. 64)
 
*Il [[Carlo Blasis|Blasis]] è riguardato a ragione come caposcuola, poiché allargò infatti i confini dell'arte della danza, le diede lustro e decoro massimo e le affidò uno scopo. Egli fu il vero fondatore della grande scuola italiana. I suoi balli infiniti appartengono a tutti i generi: eroici, epici, biblici, mitologici, anacreontici, misti, tragici, poetici, cavallereschi, fantastici, romantici. E pensare che di tutte queste sue azioni coreografiche non una è arrivata sino a noi! (pp. 94-97)
 
*L'agilità e la leggerezza della [[Carlotta Grisi|Grisi]] erano invero stupefacenti. Nel ballo ''Paquita'' eseguiva un passo d'una arditezza iperbolica. Erano una serie di salti a ''cloche-pied'' sulle punte, con delle piroette d'una velocità vertiginosa, che producevano meraviglia mista a spavento. Questo passo, malgrado la sua difficoltà inverosimile, la Grisi lo ripeteva per ben otto volte. Il pubblico dell'Opéra vi andava in visibilio. (p. 169)
 
*{{NDR|[[Carolina Rosati]]}} [...] possedeva l'armonia perfetta delle forme. Elegante di modi, aggraziata nella persona, dotata di squisito buon gusto, conoscitrice profonda dell'arte sua, appartenente a scuola purissima, essa esercitò un fascino straordinario sul pubblico. (p. 176)
 
*{{NDR|Carolina Rosati}} Natura le donò tutto per essere perfetta. (p. 176)
 
*Nella ''Gisella'' del Cortesi faceva il suo debutto la [[Sofia Fuoco|Sofia {{sic|Foco}}]], danzatrice vivacissima che giustificava il proprio nome. Essa possedeva anzitutto un merito rarissimo nella danza – arte assai limitata – l'originalità. Essa non aveva niente a che fare con la Taglioni, con l'Elssler, con la Grisi, con la Gratin, con la Cerrito. Le sue punte in ispecie erano sorprendenti. Essa eseguiva tutta una intera variazione senza posare in terra il tallone una sola volta. I suoi piedi potevano paragonarsi a due freccie d'acciaio che rimbalzassero sopra un pavimento di marmo. Non un istante di mollezza, di oscillazione, di tremito. Il suo pollice inflessibile non tradiva mai il peso del corpo leggerissimo della danzatrice. (pp. 183-184)
 
*Pochi ricordano oggi {{NDR|[[Luigi Manzotti]]}} il glorioso autore dell'''Excelsior'' come mimo. Quelli però che al pari di me poterono vederlo nella ''Esmeralda'', nella ''Cleopatra'', nel ''Muzio Scevola'', nel ''Masaniello''<ref>nel testo "Masianello".</ref>, e ne' suoi balli ''Rolla'' e ''Pietro Micca'' non potranno dimenticarlo. Egli non aveva nulla a che fare con quegli attori-mimi, anche i più celebrati, che sembravano tanti mulini a vento sulla scena per la velocità del gesto e la irrequietezza continua dei movimenti. Il Manzotti sapeva esprimere tutto ciò che voleva dire con un'eloquenza mimica ammirevole. (p. 218)
 
*{{NDR|Luigi Manzotti}} Il volto era lo specchio del sentimento, il suo gesto la sua parola. La plastica bellissima della persona sempre scultoriamente atteggiata, gli serviva stupendamente a conferire al personaggio da lui rappresentato l'idealizzazione scenica necessaria. Bastava osservarlo per intenderlo e capirlo come un attore drammatico: talvolta anche meglio. (p. 218)
 
==''Memorie d'un suggeritore''==
*I camerini degli uomini non sono quasi mai chiusi, e il loro abbigliamento si compie in mezzo a un viavai continuo di amici, conoscenti, compagni di teatro, giornalisti, curiosi e cortigiani, i quali ultimi sono di una assiduità spaventevole. Nell'interno il camerino non differisce molto da quello delle primedonne. In genere, il meglio arredato spetta al tenore. Oltre il lusso della specchiera, delle tende, dei tappeti e delle altre suppellettili, vi è spesso una esposizione di armi e di ornamenti di cui l'artista si compiace farvi l’illustrazione. (cap. XI, p. 97)
 
*L'impressione di quelle nude e talvolta umide pareti {{NDR|di un [[Camerino (teatro)|camerino teatrale]]}}, così miseramente arredate, è triste e penosa. Non vi sentireste l'animo di restarci solo per cinque minuti. Se non si avesse alle spalle la vastità del palcoscenico, sembrerebbe di trovarsi nella cella d'una prigione.<br>Eppure chi, alla sera della rappresentazione, ponesse piede entro quello stesso camerino per visitarvi la cantante che lo abita, proverebbe una sensazione di tepore e di benessere pari a quella che si riceve penetrando nell'elegante e profumato salottino d’una gran dama. (cap. XI, p. 98)
 
*Nei camerini degli artisti uomini è cosa difficilissima mettersi a sedere. Sedie, sgabelli, divani, se ve ne sono, tutto è ingombro. Biancherie, abiti, pantaloni, mutande, maglie, barbe, parrucche, mantelli, elmi, corazze, gambali, stivaloni, scarpe, giustacuori, ogni cosa alla rinfusa, non solo sulle sedie e sul divano, ma sulle valigie, sulle ceste e sopra ogni altro piano di appoggio. Sembra uno sgabuzzino di rigattiere in un momento di vendita. Volendo sedersi, e molti lo tentano, specialmente gl'intimi, conviene non preoccuparsi del danno che si può fare e di quello che si può ricevere, e questo è il più frequente. (cap. XI, p. 98)
 
==''Verdi''==