Charles Dupaty: differenze tra le versioni

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*Sono le sei di mattina. La mia immaginazione si sveglia nel salone di palazzo ''Serra'' o piuttosto del palazzo del sole. Abbasso ancora le palpebre. Non si può dare un'idea della sontuosità di questo salone. È come quando si guarda la natura attraverso un prisma: così è il salone di palazzo ''Serra''. Che specchi! Che pavimenti! Che colonne! Che oro! Che azzurro! Che porfido! Che marmo! Il termine che si adatta all'insieme è magnificenza. (p. 43)
*Se si vuol vedere la più bella strada che esista nel mondo intero, bisogna vedere a Genova [[Via Garibaldi (Genova)|Strada Nuova]]. Su due linee molto prolungate e su un pavimento di porfido, numerosi palazzi fanno a gara per ricchezza, altezza, massa, ostentano i loro porticati, le loro facciate, i loro peristili brillano di stucco bianco, nero, di mille colori. Questi palazzi, dall'esterno, sono dei quadri. (p. 43)
*Le case di [[Genova]] sono molto alte e [[Caruggi di Genova|le vie]] molto strette. Il sole non vi penetra mai. Si sarebbe tentati di credere che Genova non sia stata costruita che per una sola stagione; che Genova sia una città dell'estate. (p. 43)
*Ho appena visitato il [[Palazzo Ducale (Genova)|palazzo del doge]], dove il senato tiene le sue sedute; da dove spira, su cinquecentomila sudditi, lo spirito del suo governo, delle sue leggi, della sua politica, vale a dire della sua cupidigia. L'occhio, quando si entra nel cortile, è sbalordito. La facciata ornata di colonne e di statue di marmo è la prima cosa che incanta. Si sale nella sala del Minor Consiglio: è l'architettura più elegante; si passa nella sala del Maggior Consiglio: è l'architettura più ricca. Di spazio in spazio, entro una moltitudine di colonne, le statue dei grandi uomini della repubblica ricevono da tutti coloro che passano, come premio del loro merito o della loro fortuna, il debito della posterità; un ricordo e uno sguardo. (p. 44)
*Uscendo dal palazzo del Doge, sono entrato in un superbo palazzo. Ho attraversato un lungo colonnato, calpestato marmi di tutti i colori; si è aperta una porta immensa: ero dentro un [[Ospedale di Pammatone|ospedale]].<br>Contiene milleduecento malati, distribuiti nelle diverse sale: là gli uomini, qui le donne; là le ferite, qui le febbri. Ho creduto di vedere la morte vagare in mezzo a questi malati, che colpiva da ogni parte, a caso, con la sua falce invisibile. Uno sventurato è spirato davanti a me. I letti dei malati sono circondati dai loro parenti inteneriti che li consolano, che li confortano: c'è una madre accanto alla figlia; un marito accanto alla moglie. Almeno, in questo ospedale, mani sensibili e care possono chiudere gli occhi dei morenti.<br>Vi regna un ordine ammirevole, una pulizia perfetta, una cura estrema. Vi si guarisce.<br>Le statue di tutti i benefattori dell'ospedale sono distribuite nelle sale. Le persone riconoscenti possono, dal momento in cui le loro forze lo permettono, andare a bagnare di lacrime, senza dubbio molto dolci, le immagini dei loro dei tutelari.<br>Non so quale piacere mi tratteneva in questa dimora del dolore. (pp. 44-45)