Sibilla Aleramo: differenze tra le versioni

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==Citazioni di Sibilla Aleramo==
*Di quattro anime, una soltanto ha camminato con obbedienza, senza violenza, nella via del Signore, dal primo istante all'ultimo. Una soltanto ha amato l'indicazione di [[Dio]], l'ha seguita tremando ma senza dubitare. Le altre, tu, lei, Michele stesso, vi siete sollevati contro, avete gridato, avete voluto sostituire l'azione vostra a quella della Verità, tremenda ma semplice ma chiara ma feconda di vita.<br />La verità, era, è, nel nostro cuoreamore.<ref>Da una (lettera daa [[Giovanni Boine]], n. 425, Alassio, 8 marzo 1915; citato in ''[[Giovanni Boine]] – Amici della, "Voce"''Carteggio'', Vari,vol. 1904-1917IV, a cura di Margherita Marchione e S. Eugene Scalia, prefazione di Giovanni Vittorio Amoretti, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 1979).</ref>
*Quali prati ci aspettano, verdi folti iridati di [[genziana|genziane]], per affondarvi insieme i nostri volti? (da<ref>Da ''Amo dunque sono'', Feltrinelli).</ref>
*Una cosa noi odiamo, è vero: ma in noi, non negli altri: la [[pace]]. C'è in noi un odio istintivo, celato, misterioso, per la nostra pace, pur tanto dolce e benedetta. (da<ref>Da ''Andando e stando'', a cura di Rita Guerricchio, Feltrinelli, 1997).</ref>
 
==''Una donna''==
===[[Incipit]]===
La mia fanciullezza fu libera e gagliarda. Risuscitarla nel ricordo, farla riscintillare dinanzi alla mia coscienza, è un vano sforzo. Rivedo la bambina ch'io ero a sei, a dieci anni, ma come se l'avessi sognata. Un sogno bello, che il menomo richiamo della realtà presente può far dileguare. Una musica, fors'anche: un'armonia delicata e vibrante, e una luce che l'avvolge, e la gioia ancora grande nel ricordo.
 
===Citazioni===
*Povera vita, meschina e buia, alla cui conservazione tutti tenevan tanto! Tutti s'accontentavano: mio marito, il dottore, mio padre, i socialisti come i preti, le vergini come le meretrici: ognuno portava la sua menzogna rassegnatamente. Le rivolte individuali erano sterili o dannose, quelle collettive troppo deboli ancora, ridicole quasi, di fronte alla grandezza del mostro da atterrare.
*Ubbidisci al comando della tua coscienza, rispetta sopra tutto la tua dignità, madre: sii forte, resisti lontana, nella vita, lavorando, lottando. Consèrvati da lontano a noi; sapremo valutare il tuo strazio d'oggi: risparmiaci lo spettacolo della tua lenta disfatta qui, di questa agonia che senti inevitabile.
*Sapevo d'aver tentato di morire, sapevo che tutto si cambiava attorno a me, e ch'io avrei dovuto camminare ancora; vedevo ombre e luci alternarsi rapide; ma non provavo né timori, né speranze, né ripulsioni, né dubbi: al più una vaga fiducia, come un abbandono timido, quasi inconscio. Sulle labbra conservavo il sapore amarognolo del veleno, e la testa era di una debolezza straordinaria; ogni leggero rumore l'intronava, mi toglieva la percezione nitida delle cose.
*Alfine mi riconquistavo, alfine accettavo nella mia anima il rude impegno di camminar sola, di lottare sola, di trarre alla luce tutto quanto in me giaceva di forte, d'incontaminato, di bello; alfine arrossivo dei miei inutili rimorsi, della mia lunga sofferenza sterile, dell'abbandono in cui avevo lasciata la mia anima, quasi odiandola. Alfine risentivo il sapore della vita, come a quindici anni.
{{NDR|Sibilla Aleramo, ''Una donna'', Feltrinelli}}
 
==[[Incipit]] di alcune opere==
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Sono io, sì. Voglio che parliamo un poco; bisogna che io parli, e che tu mi ascolti. Ti do del tu, sì. Da tante settimane non fai mentalmente lo stesso anche tu?<br>
Da lontano tu hai pianto, a causa mia. Io ho saputo tutto. Proviamo ad aver coraggio, proviamo a parlare. Di', vuoi? Ti ricordi della mia faccia, dei miei occhi? Una volta mi dicesti che guardandomi ti sentivi diventare tanto serena. Adesso tremi, e io sono in volto bianca, come tu non mi hai mai veduta. Ma senti che sono forte, e che voglio anche tu lo sia? Bisogna che io ti [10] scriva, e tu mi leggerai, piano. Piano, perché soffrirai, com'io soffro. Ma io non ho paura, e perché devi averla tu? Io so quello che faccio, ho esitato molto, ma adesso sono sicura nel mio cuore. E i miei occhi non sono cambiati dacché non ci siamo più viste. Ascoltami. Prendi questi fogli e vai a leggerli nella tua stanza, o fuori, nei prati, ma che le bambine non vengano intanto a cercarti, nè altri. Dobbiamo essere sole. Sole: e l'anima tua vuol essere brava quanto l'anima mia, e la mia crede che la tua le sia uguale, e ti parla, da sorella a sorella.
 
==''Sibilla Aleramo a Boine''==
Di quattro anime, una soltanto ha camminato con obbedienza, senza violenza, nella via del Signore, dal primo istante all'ultimo. Una soltanto ha amato l'indicazione di [[Dio]], l'ha seguita tremando ma senza dubitare. Le altre, tu, lei, Michele stesso, vi siete sollevati contro, avete gridato, avete voluto sostituire l'azione vostra a quella della Verità, tremenda ma semplice ma chiara ma feconda di vita. La verità, era, è, nel nostro cuore. (lettera da Alassio, 8 marzo 1915; citato in ''[[Giovanni Boine]] – Amici della "Voce"'', Vari, 1904-1917, a cura di Margherita Marchione e S. Eugene Scalia, prefazione di Giovanni Vittorio Amoretti, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1979)
 
==''Una donna''==
===[[Incipit]]===
La mia fanciullezza fu libera e gagliarda. Risuscitarla nel ricordo, farla riscintillare dinanzi alla mia coscienza, è un vano sforzo. Rivedo la bambina ch'io ero a sei, a dieci anni, ma come se l'avessi sognata. Un sogno bello, che il menomo richiamo della realtà presente può far dileguare. Una musica, fors'anche: un'armonia delicata e vibrante, e una luce che l'avvolge, e la gioia ancora grande nel ricordo.
 
===Citazioni===
*Povera vita, meschina e buia, alla cui conservazione tutti tenevan tanto! Tutti s'accontentavano: mio marito, il dottore, mio padre, i socialisti come i preti, le vergini come le meretrici: ognuno portava la sua menzogna rassegnatamente. Le rivolte individuali erano sterili o dannose, quelle collettive troppo deboli ancora, ridicole quasi, di fronte alla grandezza del mostro da atterrare.
*Ubbidisci al comando della tua coscienza, rispetta sopra tutto la tua dignità, madre: sii forte, resisti lontana, nella vita, lavorando, lottando. Consèrvati da lontano a noi; sapremo valutare il tuo strazio d'oggi: risparmiaci lo spettacolo della tua lenta disfatta qui, di questa agonia che senti inevitabile.
*Sapevo d'aver tentato di morire, sapevo che tutto si cambiava attorno a me, e ch'io avrei dovuto camminare ancora; vedevo ombre e luci alternarsi rapide; ma non provavo né timori, né speranze, né ripulsioni, né dubbi: al più una vaga fiducia, come un abbandono timido, quasi inconscio. Sulle labbra conservavo il sapore amarognolo del veleno, e la testa era di una debolezza straordinaria; ogni leggero rumore l'intronava, mi toglieva la percezione nitida delle cose.
*Alfine mi riconquistavo, alfine accettavo nella mia anima il rude impegno di camminar sola, di lottare sola, di trarre alla luce tutto quanto in me giaceva di forte, d'incontaminato, di bello; alfine arrossivo dei miei inutili rimorsi, della mia lunga sofferenza sterile, dell'abbandono in cui avevo lasciata la mia anima, quasi odiandola. Alfine risentivo il sapore della vita, come a quindici anni.
{{NDR|Sibilla Aleramo, ''Una donna'', Feltrinelli}}
 
==Citazioni su Sibilla Aleramo==
Cara, <br />Sono balordo di febbre. Ho ricevuto il tuo espresso. Non venire. Proprio non posso dirti null'altro che quello che ho detto. Volevo amarti, ti ho amato. Un assieme di cose che mi stanca ora analizzare han deviata la mia febbre verso un affetto questo da figlio a mamma. Non potrò avere per te che della devozione e della tenerezza.<br />Volevamo essere uomo e donna e non si può. ([[Giovanni Boine]])
 
==Note==
<references />
 
==Bibliografia==