Pietro Nenni: differenze tra le versioni

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*La guerra del 1941-45 fu, nel suo barbaro orrore, la prova suprema dei sistemi e delle civiltà che reggono i popoli. Non si mente dinanzi alla morte! E allorché, nell'inverno 1941-42 e fino all'inverno successivo, quando cominciò la vittoriosa controffensiva dell'esercito rosso, i moscoviti non ebbero che da salire la collina dei passeri per ascoltare il rombo del cannone tedesco, quando i leningradesi, per recarsi al lavoro, dovettero sfidare il fuoco delle mitragliatrici nemiche che colpivano gli operai ai loro torni e i fornai alle impastatrici dove confezionavano un pane immangiabile, quando Stalingrado per suprema difesa dovette gittare nelle trincee scavate nella neve financo i suoi vecchi e le sue donne, allora sulle labbra dei combattenti esangui «[[Russia]]» e «Stalin» ebbero lo stesso suono e lo stesso significato, e fu chiaro come l'uomo e il sistema avessero ricevuto il collaudo della storia.<ref name="canfora"/>
 
*Gli eventi di quel tempo a noi tanto vicino {{NDR|la [[Battaglia di Stalingrado]]}} permisero a ogni uomo di buonafede di correggere l'errore di credere che Stalin fosse un dittatore sostenuto da un sistema di forza, là dove la sua forza vera è stata, fino all'ultimo momento, il consenso di milioni e milioni di uomini, che in piena coscienza a lui avevano delegato i maggiori poteri. Tuttavia Stalin non ebbe in nessun momento la stolta mania di credere che egli potesse bastare a tutto. Il vuoto che egli lascia è quello della sua eccezionale personalità, ma lascia anche strutture statali, di partito, sindacali, economiche capaci di resistere ad ogni evento e di superare qualsiasi prova. Soprattutto lascia popoli i quali hanno fatto passi giganteschi sulla via del progresso tecnico, sociale e umano e che saranno in ogni momento capaci di esprimere un gruppo dirigente all'altezza della situazione.<ref name="canfora"/>
 
*Onorevoli colleghi, quando nell'estate scorsa ebbi occasione di incontrare Stalin egli mi disse parole che mi sembrano oggi poter racchiudere la lezione della sua vita: non ammettere mai che non ci sia più niente da fare, non rompere mai il contatto con l'avversario o con il nemico, non puntare mai su una carta dubbia le sorti dello Stato, del partito, della collettività. La sua costante preoccupazione di essere pronto alla guerra se l'avversario la impone ma di contare sulla pace come sul mezzo e la causa migliore, era la conseguenza naturale e logica della sua filosofia e della sua politica. In questo senso noi socialisti italiani ravvisammo in lui una garanzia di pace, né minore è la fiducia che riponiamo nei suoi successori. Un evento sciagurato e tristissimo, determinatosi fuori della volontà e del controllo del nostro popolo, schierò in guerra l'esercito italiano contro l'Unione Sovietica. Noi socialisti ci auguriamo che quell'evento venga dimenticato e, associandoci con animo commosso e ansioso al dolore dei popoli sovietici per la morte del loro grande capo, presentando da questa tribuna le nostre condoglianze al governo di Mosca, partecipando al lutto del proletariato mondiale, esprimiamo un augurio di pace per tutto il mondo e di relazioni cordiali e operose del nostro paese con il paese di Lenin e di Stalin.<ref name="canfora"/>