Enrico Ghezzi: differenze tra le versioni

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*Ma nella vita quotidiana secondo me si può, non so se si debba ma si può prendere seriamente tutto per gioco e a quel punto - non per giocare il gioco, perché prendere il gioco e poi giocare il gioco facendo finta di essere superiori al gioco è il modo più normale per cadere in tutte le situazioni più... i tranelli spettacolari, autopubblicitari, ideologici... è orrendo, proprio è il modo più fasulllo, perché poi appunto sembra riposare su una coscienza di sprezzatura che resta superiore - a questo punto possono farlo e l'hanno fatto Debord, in parte Carmelo Bene... cioè non è per niente facile fare i dottori in nulla e, come dire, non farei venditori di nulla, cioè di tutto quello che si riesce a vendere. Quindi diciamo che secondo me la possibilità c'è, ma è una possibilità che verifichi subito cioè questa possibilità viene a sua volta venduta, esibita. Le persone possono essere simpatiche, uno può essere un grande musicista o perfino un grande scrittore o persino... però sicuramente non sta uscendo di lì, cioè è ben contento, anche tragicamente, anche laceratamente, è ben contento di occupare una scena, di essere in scena, di riempire la scena con sé o con le proprie immaginazioni [...]. Possiamo benissimo dire che non c'è niente di male, ma sicuramente non è in quell'''altra cosa''.<ref>Intervista a Enrico Ghezzi, [https://youtu.be/yfWxT0d1GsY] su ''youtube.it'', 1 gennaio 2011.</ref>
*Mi piacerebbe che lo scrivere fosse un atto contemporaneo a quello del pensare. E credo anche che l'invecchiamento nella prassi della scrittura dipenda dall'allontanamento fra questi due atti. Se davvero devi ripensare la tua scrittura allora costruisci un romanzo, una cattedrale di parole. Ciò che amo di più nell'altrui scrittura è la notazione secca, precisa, su singole cose. Diciamo il modo in cui lavorava un [[Walter Benjamin|Benjamin]] o un [[Ludwig Wittgenstein|Wittgenstein]]. E mi accorgo di aver tentato di esercitare questo gusto per il micrologico su coordinate generalissime. Ma questo è dipeso in massima parte dall'oggetto che indagavo, cioè il cinema. Nel senso che per me il cinema è una piccola macchinetta che mette in gioco tutte le questioni fondamentali. Innanzitutto il tuo rapporto col mondo.<ref>Citato in Antonio Gnoli, ''[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1995/06/25/spari-nel-buio.html Spari nel buio]'', ''la Repubblica'', 25 giugno 1995.</ref>
*Non vedo la differenza tra mi piace ed è uno stato mentale. È uno stato mentale di dissociazione psicotica. Secondo me se appena ci si pensa una persona non può non sentirsi come minimo Jackill e Hyde. È un gioco comodo. L'ho fatto davvero come un gioco comodo: montavamo a diversi chilometri di distanza, telefonavo con una mano e con l'altra montavo ''[[Blob (programma televisivo)|Blob]]''. Mi piaceva l'idea di contrappormi alla comunicazione televisiva. È quasi un monologo interiore che diventa esteriore. Certo bisogna fare uno sforzo per capire...<ref>Dall'intervista di Geneviève Alberti, ''[http://www.cineforumimperia.it/file/cine_RUBRICHE/rub_interviste/int_ghezzi.html Dissolvenze fuori sincrono]'', ''CineforumImperia.it''.</ref>
*''Persona'' è forse il capolavoro assoluto di Bergman. Gioco di parole attraverso i volti, sovrimpressioni di volti. Non di occhi, la sovrimpressione degli occhi dà un unico occhio, la sovrimpressione dei volti produce due volti: accostati, una nuova figura. Sovrimpressioni mentali. Storia scritta da volti. Soggetto che guarda e che nel mentre guarda si accorge di essere guardato e nel mentre è guardato non si rende conto da chi e da cosa è guardato e alla fine capisce che rendersene conto non è che una piccolissima cosa.<ref>Dal programma televisivo ''Fuori Orario'', febbraio 1994.</ref>
*Presto i soggetti in gioco saranno ognuno troppo ricco di dati e di informazioni e insieme troppo poco atto a decifrarle. Non solo quelle che riceve, a decifrare quelle stesse che può a sua volta rimettere in gioco. E non parlo solo di informazioni e comunicazione culturale, culturalizzata, parlo anzi proprio dell’informazione, e anche, delle informazioni e dei dati in qualche modo sbobinabili, cioè considerare i soggetti come bobine che senza più darsi e avere il tempo di riflettere, trascrivere, produrre testualmente istanze di comunicazione si danno come in comunicazione, letteralmente si sbobinano, si offrono... in modo davvero incontrollato, incontrollato da loro stessi. Non incontrollato da chi poi avrà questa sbobinatura di fronte, tra le mani, davanti agli occhi, tra le dita, ma per loro stessi. Credo che la rete delle reti sia questo, invece che la illusorietà della comunicazione, sia la certezza di non aver luogo, la certezza di non avere nulla da comunicare se non il fatto di esser fatti, se non il fatto di essere lì, quindi di avere qualcosa in termini di spazio-tempo da... da essere - io uso il termine “sbobinato”...più che tecnicamente, dando un senso mentale, proprio di iniettarsi, farsi iniettare in un circuito dove a sua volta chiunque acceda tutto avrà fuorché il tempo di rielaborare questo afflusso, questa iniezione. Potrà avere solo istantaneamente... Faccio per ridere, “istantaneamente” non esiste... Istantaneamente, istante, istantaneo è il... in realtà è una tragedia questa situazione di comunicazione... non “che viviamo”... che non viviamo.<ref>Dalla conferenza ''[http://www.hackerart.org/media/amc/ghezzi.htm]'' a cura di Tommaso Tozzi e Francesco Galluzzi per il progetto “Arte, Media e Comunicazione”, 1997</ref>