Rosa Luxemburg: differenze tra le versioni

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*L'ultracentralismo raccomandato da [[Lenin]] ci sembra pervaso in tutto il suo essere non dallo spirito positivo e creatore ma dallo spirito sterile del guardiano notturno. La sua concezione è fondamentalmente diretta a controllare l'attività di partito e non a fecondarla, a restringere il movimento e non a svilupparlo, a soffocarlo e non a unificarlo.<ref>Rosa Luxemburg, ''Scritti Politici'', a cura di Lelio Basso, Roma 1965, pp. 217 ss.; citato in [[Umberto Cerroni]], ''Il pensiero politico del Novecento'', Il sapere, Tascabili Economici Newton, Roma, 1995, p. 17.</ref>
*La libertà, riservata ai partigiani del governo, ai soli membri di un unico partito – siano pure numerosi quanto si vuole – non è libertà. La libertà è sempre soltanto la libertà di chi pensa diversamente. Non per fanatismo per la «giustizia», ma perché tutto quanto vi è di istruttivo, di salutare, di purificatore nella libertà politica dipende da questo modo di essere, e perde la sua efficacia quando la «libertà» diventa privilegio.<ref>''La rivoluzione russa. Un esame critico'' (settembre 1918, pubblicato postumo nel 1922), in Rosa Luxemburg, ''Scritti Politici'' a cura di Lelio Basso (seconda edizione), Roma Editori Riuniti, 1970, p. 589.</ref>
*La rivoluzione russa {{NDR|[[Rivoluzione russa del 1905|del 1905]]}}, la stessa rivoluzione che fornisce il primo esemplare esperimento storico dello sciopero di massa, non solo non significa riabilitazione dell'[[anarchismo]], ma al contrario significa adirittura una ''liquidazione storica dell'anarchismo''. La triste esistenza a cui questo indirizzo di pensiero era stato condannato dal possente sviluppo della socialdemocrazia tedesca negli ultimi decenni, poteva in certo modo essere spiegato dal dominio esclusivo e dalla lunga durata del periodo parlamentare.<ref>Da ''Sciopero generale, partito e sindacato'', §1, 1906; in Rosa Luxemburg, ''Scritti politici'', a cura di Lelio Basso, Roma, Editori Riuniti, 1970, p. 299.</ref>
*Lo sciopero di massa non è altro che una forma di lotta rivoluzionaria, in un dato momento.<ref>Citato in AA.VV., ''Il libro della politica'', traduzione di Sonia Sferzi, Gribaudo, 2018, p. 235. ISBN 9788858019429</ref>
*Ma Lenin sbaglia completamente nella ricerca dei mezzi: decreti, potere dittatoriale degli ispettori di fabbrica, pene draconiane, terrorismo, sono solo dei palliativi. L’unica via che conduce alla rinascita è la scuola stessa della vita pubblica, la più larga e illimitata democrazia, l'opinione pubblica. Proprio il regno del terrore demoralizza. Tolto tutto questo, che rimane in realtà? Lenin e [[Lev Trockij|Trotski]] hanno sostituito ai corpi rappresentativi eletti a suffragio universale i Soviet, come unica vera rappresentanza delle masse lavoratrici. Ma soffocando la vita politica in tutto il paese, è fatale che la vita si paralizzi sempre più nei Soviet stessi. Senza elezioni generali, senza libertà illimitata di stampa e di riunione, senza libera lotta di opinioni, la vita muore in ogni istituzione pubblica, diviene vita apparente ove la burocrazia rimane l'unico elemento attivo. La vita pubblica cade lentamente in letargo; qualche dozzina di capi di partito di energia instancabile e di illimitato idealismo dirigono e governano; tra loro guida in realtà una dozzina di menti superiori; e una élite della classe operaia viene convocata di quando in quando a delle riunioni per applaudire i discorsi dei capi e per votare all'unanimità le risoluzioni che le vengono proposte – è dunque in fondo un governo di cricca, una dittatura certamente, ma non la dittatura del proletariato, bensì la dittatura di un pugno di uomini politici, una dittatura nel significato borghese... C'è di più: una tale situazione porta necessariamente ad un inselvatichirsi della vita pubblica: attentati, fucilazioni di ostaggi, ecc.<ref>''La rivoluzione russa. Un esame critico'' (settembre 1918, pubblicato postumo nel 1922), in Rosa Luxemburg, ''Scritti Politici'' a cura di Lelio Basso (seconda edizione), Roma Editori Riuniti, 1970, pp. 590-591.</ref>