Slavenka Drakulić: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
Creata pagina con "thumb|Drakulić nel 2016 '''Slavenka Drakulić''' (1949 – vivente), giornalista e scrittrice croata. {{Int|Da [http://www.archiviolas..."
 
Nessun oggetto della modifica
Riga 1:
[[File:Slavenka Drakulić (2016).jpg|thumb|Drakulić nel 2016]]
'''Slavenka Drakulić''' (1949 – vivente), giornalista e scrittrice croata.
 
{{Int|Da [http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,21/articleid,0661_01_1996_0268_0025_15458022/ ''Ritorno a Sarajevo'']|Sull'[[assedio di Sarajevo]], ''La Stampa'', 29 settembre 1996}}
*Scuole, ospedali, pensiline degli autobus, negozi... tutto demolito. È evidente che per i Serbi non aveva alcuna importanza sapere contro che cosa sparavano. La loro logica era semplicissima: distruggere, distruggere tutto quanto.
*Durante il giorno, la distruzione nel centro della città è più visibile, soprattutto in una giornata di sole. Sullo sfondo del cielo blu, i ruderi fanno pensare alle scene di un film agghiacciante. Sulla scalinata del vecchio Municipio, poi trasformato in Biblioteca Nazionale, ancora a tre anni di distanza si possono trovare brandelli di carta bruciacchiata, residui di centinaia di migliaia di libri scomparsi in un'unica esplosione. L'edificio delle Poste, quello del governo, gli alberghi, i palazzi universitari... oggi sono tutti soltanto gusci vuoti. Alla luce del giorno, la città è un corpo carico di cicatrici e di ferite aperte. Ma sono le piaghe invisibili, quelle che causano maggior dolore: amici partiti per non più tornare, parenti rimasti uccisi, invalidi, intere famiglie distrutte dalla guerra.
*Se fossimo capaci di imparare qualcosa, forse Sarajevo potrebbe insegnarci la modestia. L'incontrare la morte ad ogni passo non lascia spazio ad altro che non sia una certa forma di modestia e, forse, a Dio o ad Allah, di chiunque si tratti. In effetti, quando ci si guarda attorno, il primo pensiero è che non esista alcun Dio, giacché se esistesse non avrebbe mai permesso una devastazione del genere. Ma gli abitanti di Sarajevo cercano di convincermi che così non è, niente affatto. Dio era qui con noi ogni giorno, era presente sia nelle nostre imprecazioni che nelle nostre preghiere, ci spiegano. Un essere umano deve pur credere in qualcosa, quando non trova alcun rifugio contro simili orrori. Proprio allora, sostengono, gli atei si sono fatti credenti.
*Se la guerra è cominciata quando le vittime erano ormai tante che i loro nomi non venivano più nemmeno menzionati dai media, significa forse che la pace ha inizio quando le vittime sono ormai tanto poche da poter di nuovo essere elencate?
 
{{Int|Da [http://www.archiviolastampa.it/component/option,com_lastampa/task,search/mod,libera/action,viewer/Itemid,3/page,21/articleid,0591_01_1997_0089_0023_8001295/anews,true/ ''Mostar, le rovine del diavolo'']|Sull'[[assedio di Mostar]], ''La Stampa'', 1 aprile 1997}}