Umberto Eco: differenze tra le versioni

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*{{NDR|[[George Orwell]]}} Le pagine sulla tortura, sul sottile legame d'amore che lega il torturato al torturatore, le avevamo già lette da qualche altra parte, se non altro in Sade. L'idea che la vittima di un processo ideologico debba non solo confessare, ma pentirsi, convincersi del suo errore e amare sinceramente i suoi persecutori, identificarsi con essi (e che solo a quel punto valga la pena di ucciderla), Orwell ce la presenta come nuova, ma non è vero: è pratica costante di tutte le inquisizioni che si rispettino. Eppure ad un certo punto indignazione ed energia visionaria prendono la mano all'autore e lo fanno andare al di là della "letteratura", così che Orwell non scrive soltanto un'opera di narrativa, ma un cult book, un libro mitico. Le pagine sulla tortura di Winston Smith sono terribili, hanno una grandezza cultuale, appunto, e la figura del suo persecutore ci prende alla gola, perché anche costui abbiamo già conosciuto da qualche parte, sia pure travestito, e a qualche liturgia noi abbiamo già in qualche modo partecipato, e temiamo che improvvisamente il persecutore si riveli e ci appaia al fianco, o dietro, o davanti, e ci sorrida con infinita tenerezza.<ref>Citato in ''Orwell o dell'energia visionaria'', prefazione a ''1984'', Mondadori, 1984.</ref>
*Le preoccupazioni della stampa europea non sono dovute a pietà e amore per l'Italia ma semplicemente al timore che l'Italia, come in un altro infausto passato, sia il laboratorio di esperimenti che potrebbero estendersi all'Europa intera.<ref>Da ''Provocare per vincere'', in ''MicroMega'' n. 4/2003, p. 59.</ref>
*L'unico modo per riconoscere se un libro sui [[Cavalieri templari|Templari]] è serio è controllare se finisce col 1314, data in cui il loro Gran Maestro viene bruciato sul rogo.<ref>Da [http://web.archive.org/web/20071023032014/https://espresso.repubblica.it/dettaglio-archivio/730780 ''La bustina di Minerva''], ''L'espresso'', 2 dicembre 2004.</ref>
*{{NDR|[[Alberto Moravia]]}} Ma non è scomparso uno dei Grandi Vecchi del secolo. Moravia è stato sino alla fine un Grande Giovane... Non si è costruito l'immagine del vate, dell'eroe, del maledetto o del martire, come altri protagonisti letterari del secolo: si è presa la parte del borghese, raccontando il suo essere borghese, dal di dentro, con lucida e scettica vocazione di moralista. Un poco annoiato, appunto, esibendo qualche acciacco e improvvisi guizzi da scavezzacollo passionale, e molte sorprese quasi infantili di fronte alla varietà della vita. Alla quale annoiatissimo e con frequenti sbuffi di irritazione non si è mai sottratto, aspettando che fosse lei a prendere la decisione di lasciarlo. Cosa che deve avergli provocato l'ultimo moto di stizza.<ref>Citato in "Un giovane fino alla fine", ''la Repubblica'', 27 settembre 1990.</ref>
*Ma poi mi rendo conto che il problema della [[Stupidità]] ha la stessa valenza metafisica del problema del Male, anzi di più: perché si può persino pensare (gnosticamente) che il male si annidi come possibilità rimossa del seno stesso della Divinità; ma la Divinità non può ospitare e concepire la Stupidità, e pertanto la sola presenza degli stupidi nel Cosmo potrebbe testimoniare della [[Morte di Dio]].<ref>Da ''L'espresso'', 20 luglio 2006, n. 28 anno LII, p. 170.</ref>