C. S. Lewis: differenze tra le versioni

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*Francamente, non importa da che parte vi affacciate per la prima volta nella poesia europea. Solo tenete le orecchie aperte e la bocca tappata e alla fine tutto vi ricondurrà a tutto: ''ogni parte ad ogni parte splende''.<ref>Riferimento al verso 75 del canto VII dell'''Inferno'' della ''[[Divina Commedia]]'' di [[Dante Alighieri]]: «sì, ch’ogne parte ad ogne parte splende».</ref> (p. 44)
*Abbastanza stranamente, è in quest'epoca, e non durante la prima infanzia, che ricordo di aver conosciuto la delizia delle fiabe, e di essere rimasto profondamente ammaliato dai Nani, i vecchi nani dal cappuccio fosforescente e dalla barba di neve di quei giorni in cui [[Arthur Rackham]] non li aveva ancora sublimati, e [[Walt Disney]] volgarizzati. (p. 45)
*È importante acquisire presto nella vita la capacità di [[Lettura|leggere]] dovunque ci si trovi. (pp. 47-48)
*Nessuno tentava mai di spiegare in che senso il cristianesimo completasse il [[paganesimo]], o il paganesimo prefigurasse il cristianesimo. Il punto di vista preconcetto sembrava essere che le religioni erano normalmente una semplice accozzaglia di sciocchezze, ma che la nostra, per fortuna eccezionale, era l'unica vera. Le altre religioni non venivano nemmeno spiegate, alla maniera del cristianesimo primitivo, come opera di demoni. Ma l'impressione che ne ricavai fu che la religione in genere, per quanto assolutamente falsa, fosse un prodotto della natura, una sorta di endemica sciocchezza in cui l'umanità tendeva a incespicare. Al centro di un migliaio di simili religioni si ergeva la nostra, la mille e unesima, etichettata come Vera. Ma su quali basi potevo credere a questa eccezione, quando, generalmente parlando, somigliava più o meno a tutte le altre? Perché trattarla diversamente? O, per lo meno, che bisogno avevo io di continuare a trattarla diversamente? (pp. 51-52)
*Era l'epoca del «knut»: delle cravatte «larghe» con la spilla, delle giacche cortissime e dei pantaloni portati alti a fare mostra di calze strabilianti, e delle scarpe di cuoio grezzo dalle stringhe immensamente larghe. [...] Difficile immaginare più penose ambizioni in un quattordicenne zotico e troppo cresciuto con uno scellino in tasca la settimana; tanto più che io sono di quelli che la natura ha condannato, qualunque cosa comprino od indossino, ad avere l'aria d'essere appena usciti da una bottega di rigattiere. Ancora oggi non riesco a ricordare senza imbarazzo la mia mania di portare calzoni ben stirati e (sordida abitudine) di impiastricciarmi d'olio i capelli. Nella mia vita era entrato un nuovo elemento: la [[volgarità]]. Finora avevo commesso quasi tutti i peccati e le follie alla mia portata, ma non ero mai stato pacchiano. (pp. 54-55)