Martin Heidegger: differenze tra le versioni

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==''Sentieri interrotti''==
*{{NDR|Le scarpe da contadino dipinte da [[Vincent van Gogh|van Gogh]]}} Un paio di scarpe da contadino e null'altro. Ma tuttavia...<br>Nell'orificio oscuro dall'interno logoro si palesa la fatica del cammino percorso lavorando. Nel massiccio pesantore della calzatura è concentrata la durezza del lento procedere lungo i distesi e uniformi solchi del campo, battuti dal vento ostile. Il cuoio è impregnato dell'umidore e del turgore del terreno. Sotto le suole trascorre la solitudine del sentiero campestre nella sera che cala. Per le scarpe passa il silenzioso richiamo della terra, il suo tacito dono di {{sic|messe}} mature e il suo oscuro rifiuto nell'abbandono invernale. Dalle scarpe promana il silenzioso timore per la sicurezza del pane, la tacita gioia della sopravvivenza al bisogno, il tremore dell'annuncio della nascita, l'angoscia della prossimità della morte. Questo mezzo appartiene alla terra, e il mondo della contadina lo custodisce. Da questo appartenere custodito, il mezzo si immedesima nel suo riposare in se stesso. (da ''L'origine dell'opera d'arte'', ''Cosa e opera'', p. 19)
*{{NDR|Il [[tempio greco|tempio}} Eretto, l'edificio riposa sul suo basamento di roccia. Questo riposare dell'opera fa emergere dalla roccia l'oscurità del suo supporto, saldo e tuttavia non costruito. Stando lì, l'opera tien testa alla bufera che la investe, rivelandone la violenza. Lo splendore e la luminosità della pietra, che essa sembra ricevere in dono dal sole, fanno apparire la luce del giorno, l'immensità del cielo, l'oscurità della notte. Il suo sicuro stagliarsi rende visibile l'invisibile regione dell'aria. La solidità dell'opera fa da contrasto al moto delle onde, rivelandone l'impeto con la sua immutabile calma. L'albero e l'erba, l'aquila e il toro, il serpente e il grillo assumono così la loro figura evidente e si rivelano in ciò che sono. Questo venir fuori e questo sorgere, come tali e nel loro insieme, è ciò che i Greci chiamarono originariamente Φύσις. Essa illumina ad un tempo ciò su cui e ciò in cui l'uomo fonda il suo abitare. Noi la chiamiamo Terra. Da ciò che intendiamo con questo termine occorre tener ben lontano ogni idea di massa materiale stratificata o di pianeta in senso astronomico. La Terra è ciò in cui il sorgere riconduce, come tale, tutto ciò che sorge come nel proprio nascondimento protettivo. In ciò che sorge {{sic|è-presente}} la Terra come la nascondente-proteggente. (da ''L'origine dell'opera d'arte'', ''Opera e verità'', pp. 27-28)
*Un'opera è reale come opera soltanto se noi stessi ci sottraiamo alla nostra abitudinarietà ed entriamo in ciò che l'opera apre, per condurre il nostro essere stesso a soggiornare nella verità dell'ente. (da ''L'origine dell'opera d'arte'', ''Verità e arte'', p. 58)
*Il porsi in opera della verità apre il prodigioso, rovesciando l'ordinario e ciò che è mantenuto come tale. La verità, aprentesi nell'[[opera d'arte|opera]], non trova in ciò che è durato finora né fondamento né giustificazione. Ciò che è durato finora non trova nell'opera che la confutazione della sua realtà esclusiva. Ciò che è instaurato dall'arte non trova né contrappeso né compenso in ciò che è immediatamente presente e disponibile. La fondazione è un traboccamento, una donazione. (da ''L'origine dell'opera d'arte'', ''Verità e arte'', p. 59)
*L'[[inizio e fine|inizio]] autentico, in quanto salto, è sempre un salto in avanti in cui è già oltrepassato tutto ciò che verrà, anche se lo è in modo velato. L'inizio include già, nascosta, la fine. L'[[inizio]] autentico non ha però il genere di «inizialità» propria del primitivo. Il primitivo, essendo privo del carattere anticipativo del salto donante e fondante, è sempre mancante di avvenire. Esso non può lasciar derivare nulla dal suo seno, poiché non racchiude in sé null'altro che ciò di cui è prigioniero.<br>L'inizio, al contrario, racchiude sempre in sé la pienezza del prodigioso e perciò lotta con l'ordinario. (da ''L'origine dell'opera d'arte'', ''Verità e arte'', p. 60)
*Nella [[metafisica]] ha luogo la riflessione sull'essenza dell'ente e la decisione circa l'essenza della verità. (da ''L'epoca dell'immagine del mondo'', p. 71)
*Se ci riuscirà di penetrare nel fondamento metafisico che sta alla base della scienza moderna, ci sarà possibile, da esso, gettare uno sguardo sulla essenza del Mondo Moderno stesso. (da ''L'epoca dell'immagine del mondo'', p. 73)
*È fuori dubbio che il [[modernità|Mondo Moderno]], liberando l'individuo, ha fatto trionfare il soggettivismo e l'individualismo. Ma è altrettanto certo che nessuna epoca precedente ha elaborato un oggettivismo così spinto e che in nessuna età precedente il non-individuale trovò tanto credito sotto forma di collettivo. L'essenziale è qui il {{sic|giuoco}} reciproco necessario di soggettivismo e oggettivismo. (da ''L'epoca dell'immagine del mondo'', p. 85)
*Una delle asserzioni più antiche del pensiero greco sull'essere dell'ente suona: Tὸ γὰρ αὐτὸ νοεῖν ἐστίν τε καὶ εἶναι.<ref>Infatti lo stesso è pensare ed essere. Citato in Alessandra Ielli e Cristiana Querci (a cura di),''Dieci domande per pensare'', Armando Editore, Roma, 2006, [https://books.google.it/books?id=cECnsw5JwWoC&lpg=PA259&dq=&pg=PA259#v=onepage&q&f=false p. 259]. ISBN 88-8358-882-7</ref>Questa affermazione di [[Parmenide]] significa: rientra nell'essere, perché da esso richiesta e determinata, l'apprensione dell'ente. L'ente è il sorgente e l'aprentesi, ciò che, come essente-presente, sopravviene all'uomo quale essente presente, e gli sopravvive come all'ente che si apre all'essente-presente nel mentre lo apprende. L'ente non diviene essente per il fatto che l'uomo lo intuisca nel corso della rappresentazione intesa come percezione soggettiva. È piuttosto l'uomo ad esser guardato dall'ente, cioè dall'autoaprentesi all'esser-presente in esso raccolto. Guardato dall'ente, compreso e mantenuto nell'aperto dell'ente, sorretto da esso, coinvolto nei suoi contrasti e segnato dal suo dissidio: ecco l'esssenza dell'uomo nel periodo della grandezza greca. Ecco perché questo uomo, per attuare la sua essenza, deve raccogliere (λέγειν) e salvare (σῴζειν) l'aprentesi nella sua apertura, deve coglierlo, salvaguardarlo, e rimanere esposto alla dilacerazione del disordine (ἀληθεύειν). L'uomo greco è [''ist''] in quanto percepisce l'ente; di conseguenza, nella Grecità il mondo non può divenire immagine. (da ''L'epoca dell'immagine del mondo'', pp. 89-90)
*Nell'imperialismo planetario dell'uomo tecnicamente organizzato, il soggettivismo dell'uomo raggiunge quel culmine da cui l'uomo non scenderà che per adagiarsi sul piano della uniformità organizzata e per installarsi in essa. Questa uniformità è infatti lo strumento più sicuro del dominio completo, cioè tecnico, della Terra. La libertà moderna della soggettività si fonda completamente nella oggettività corrispondente. L'uomo non può svincolarsi da questo destino [''Geschick''] della sua essenza moderna, né può sospenderlo con una decisione sovrana. Ma l'uomo può, nella sua meditazione preparatoria, comprendere che l'esser-soggetto da parte dell'umanità non è stata, e non sarà l'unica possibilità dell'essenza futurativa dell'uomo storico. Un'ombra passeggera di nubi su una piana velata, questo è l'oscuramento che la verità come certezza della soggettività, preparata dalla certezza di salvezza del cristianesimo, distende su un evento che essa stessa non è in grado di comprendere. (da ''L'epoca dell'immagine del mondo'', nota 9, p. 97)
*[[Friedrich Nietzsche|Nietzsche]] intende la sua filosofia come la controcorrente della metafisica, cioè, per lui, del [[Platone|platonismo]].<br>Ma, in quanto semplice controcorrente, essa resta necessariamente conforme, come ogni «anti-», alla natura di ciò contro cui si volge. L'antimetafisica di Nietzsche, in quanto semplice capovolgimento della metafisica, è un irretimento nella metafisica stessa, siffatto che questa, divorziando dalla sua stessa natura, non è più in grado, in quanto metafisica, di pensare la propria essenza; perciò, alla metafisica e in virtù sua, resta nascosto ciò che effettivamente succede in essa in quanto è se stessa. (da ''La sentenza di Nietzsche: «Dio è morto»'', p. 198)
*E se il rifiuto stesso dovesse divenire la più alta e la più severa rivelazione dell'essere? Visto a partire dalla metafisica (cioè a partire dal problema dell'essere [''Seinsfrage''] nella forma: che cos'è l'ente?), l'essenza nascosta dell'essere (il rifiuto) si rivela come il mero non-essente, il [[nulla]]. Ma il nulla come nulla [''Nichthafte''] dell'ente è la più radicale controparte del semplice niente [''Nichtige'']. Il nulla non è mai un mero niente, come non è affatto qualcosa, alla stregua di un oggetto; il nulla è l'essere stesso, la cui verità sopravverrà all'uomo quando si sarà oltrepassato come soggetto, cioè quando non si rappresenterà più l'ente come oggetto. (da ''L'epoca dell'immagine del mondo'', nota 14, p. 101)
*Ma il [[pensiero]] incomincerà solo quando si renderà conto che la [[ragione]] glorificata da secoli è la più accanita nemica del pensiero. (''La sentenza di Nietzsche «Dio è morto»'', p. 246)
*L'essenza della [[tecnica]] viene a giorno con estrema lentezza. Questo giorno è la notte del mondo, mistificato in giorno tecnico. Si tratta del giorno più corto di tutti. Con esso si leva la minaccia di un unico interminabile inverno. (da ''Perché i poeti?'', p. 272)
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*Poeti del genere dei più arrischianti sono quelli che, rendendosi conto della mancanza di salvezza, della perdizione, si incamminano verso la traccia del Sacro. Il loro canto, al di sopra della Terra, salva. Il loro canto celebra l'integrità della sfera dell'essere. La non-salvezza in quanto non-salvezza ci dà la traccia della salvezza. La salvezza evoca il Sacro. Il Sacro congiunge il Divino. Il Divino avvicina Dio.<br>I più arrischianti sono coloro che nella mancanza di salvezza si rendono conto del nostro esser-senza-protezione. Essi apportano ai mortali la traccia degli Dei fuggiti nelle tenebre della notte del mondo. I più arrischianti, in quanto cantori della salvezza, sono «poeti nel tempo della povertà». (da ''Perché i poeti?'', pp. 295-296)
*Siamo forse alla vigilia della più mostruosa trasformazione della Terra intera, e del tempo dello spazio storico a cui essa è legata? Siamo alla vigilia di una notte che prelude a un nuovo mattino? Siamo in cammino verso il luogo storico di questo crepuscolo della Terra? Sta nascendo solo ora questo luogo della sera [''Land des Abends'']? Questo [[Occidente]] [''Abend-Land''] diverrà – al di sopra dell'«Occidente» [''Occident''] e dell'«Oriente» e attraverso ciò che è europeo – il luogo della storia futura più originariamente conforme al destino [''geschickt'']? (da ''Il detto di Anassimandro'', p. 303)
*Il [[conoscenza|sapere]] è la memoria che ha a mente l'essere. Ecco perché [[Mnemosine|Μνημοσύνη]] è la madre delle Muse. Il sapere non è scienza in senso moderno. Il sapere è la salvaguardia pensante della verità dell'essere. (da ''Il detto di Anassimandro'', p. 325)
 
==''Soggiorni''==