Giorgio Manganelli: differenze tra le versioni

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*La poesia di [[Walt Whitman|Whitman]] fu nell'insieme uno dei tentativi più decisi e coerenti di conseguire l'arduo livello del pessimo e il meno arduo del risibile; che Whitman non ci sia riuscito è uno degli ilari misteri della letteratura.<ref>Da ''Incorporei felini'', a cura di Viola Papetti, Edizioni di storia e letteratura, 2002.</ref>
*Mi pare di vedere in Kafka da un lato un mondo che chiamerei di stemmi, stemma, un labirinto, un disegno estremamente severo, molto preciso, molto astratto, duro, arcaico; ma questo disegno non riesce, non può, gli si vieta, direi, di diventare un disegno fisico, carnale e quotidiano perché il mondo su cui si proietta è un mondo totalmente deforme, infimo, losco, sordido. La intensità di Kafka nasce proprio da questa sproporzione eroica e tragica tra l'esattezza labirintica del disegno originario e la povertà industriosamente patologica del mondo su cui questa immagine si esercita.<ref>Da ''[http://www.letteratura.rai.it/articoli/giorgio-manganelli-presenta-franz-kafka/1057/default.aspx Franz Kafka; le opinioni di Giorgio Manganelli e Franco Fortini]'', ''RaiEducational''.</ref>
*Non v'è nulla di più futile della [[recensione]]; gesto miserabile, irresponsabile, ritaglio di chiacchiera, gomitolo di inutili aggettivi, di frivoli avverbi, di risibili sentenze. Ma appunto questa fatuità insolente può fare della recensione un "genere" letterario più infimo che minore, una ciancia da angiporti, un berlingare senile; e dunque anche alla recensione può spettare una qualche accoglienza nella disordinata, chiassosa piazza dei mestieri letterari, tra il poema epico e l'epigramma, il sonetto caudato e il capitolo in rima.<ref>Citato da [[Salvatore Silvano Nigro]], ''Referenze e note critiche'', in Giorgio Manganelli, ''Concupiscenza libraria'', Adelphi, Milano, 2020 p. 392. ISBN 978-88-459-3458-2</ref>
*Ogni [[viaggio]] comincia con un vagheggiamento e si conclude con un invece. (da ''L'isola pianeta e altri settentrioni'', Adelphi, 2006)
*Sebbene racconti delle storie che fanno stare col fiato sospeso, Stevenson è moderatamente interessato a quel che di "interessante" egli sta raccontando. Con una eleganza provocatoria, da gentiluomo e da baro, nelle prime righe dell'''[[Robert Louis Stevenson#L'isola del tesoro|Isola del Tesoro]]'' Stevenson ci spiega tutto quello che accadrà nel libro che si accinge a scrivere; e noi, indifesi e drogati, lo leggiamo esattamente come se non sapessimo nulla, e ci deliziamo di ansie ingiustificate, e sprechiamo palpiti e sollievi.<ref>Da ''Chi lo legge è perduto'', in ''L'Europeo'', 31 ottobre 1980, p. 101.</ref>
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*[...] la [[letteratura russa]] dell'Ottocento ha ancora un mito di cui si nutre, con amore, furore ed odio: dovunque, da [[Aleksandr Sergeevič Puškin|Puškin]] a [[Vladimir Vladimirovič Majakovskij|Majakovski]], proprio il Majakovski del ''Poema di Lenin'', si riconosce il trauma cristiano; il trauma immedicabile della profezia, dello schiacciamento degli umili, della persecuzione, della liberazione, del demonio e della vita eterna. Una gigantesca teologia è esplosa, come quel meteorite, o forse astronave, che diede una gran fiammata sulla [[Siberia]] nei primi anni di questo secolo, e ancora ne portano segni rocce ed alberi; e di questa teologia esplosa, questi diamanti, e sassi arroventati, e selci che tagliano il corpo, di queste cose non fatte per mani d'uomo i «russi» hanno fatto una letteratura. (da ''Leggere i russi'', pp. 189-190, ''La Stampa'', 1979)
*D'altra parte lo sapevamo fin da [[Dante Alighieri|Dante]] che l'[[Paradiso e inferno|inferno]] ha una tendenza [[urbanistica]]. L'abbiamo sempre saputo, c'è una mappa dell'inferno, si può fare, ci sono delle strade, c'è una toponomastica, senza dubbio ci sono dei vigili. Voi direte che anche il paradiso potrebbe avere qualche qualità visionaria di questo tipo ma non è mica vero, nella nostra cultura noi non riusciamo a pensare al paradiso, per il momento, se non come una variante particolarmente luminosa del nulla. (p. 211, da ''Jung e la letteratura'', intervento al Convegno su «Jung e la Cultura Europea», Roma, 21-24 maggio 1973)
*{{NDR|L'[[Estasi di santa Teresa d'Avila]]}} Quel volto che non offre problemi è in realtà sconvolgente di problemi; in quel viso dimora la morte, ma non è letale; essa ha solo il compito di «uccidere» il volto: cioè di lasciarlo identico ad un volto umano, e tuttavia togliergli ogni qualità antropomorfica; giacché quel volto ha catturato, è stato colto dall'assenza, è stato penetrato e trasformato da ciò che, per noi, è pensabile solo come un luminoso, abbagliante nulla. Quel volto è la perdita dell'io, del nome, del dialogo: non si difende, ed è imprendibile; non resiste, e la sua forza è incalcolabile; si astiene, ed è ossessionante; come acqua e luce è privo di forma, ed occupa ogni luogo, ogni occhio che osi guardarlo; la sua lontananza è insondabile, e tuttavia abita, tormentosa e distratta, nel profondo di noi. (''Angelo e donna danzanti'', p. 197, ''Corriere della Sera'', 1980)
*{{NDR|L'[[Estasi di santa Teresa d'Avila]]}} Questa suprema cerimonia è anche teatro, è spettacolo, è [[recitazione]]. No, non ho sbagliato parola. Non è forse la recitazione un minuscolo rito che consente una sospensione dell'io? E non sono gli spettatori coinvolti in questa cerimonia della assenza provvisoria? Ero giunto a queste considerazioni, quando mi sono accorto che gli spettatori c'erano da sempre.<br>Ai due lati della figurazione, immerse nell'ombra stanno, quasi in un palco, alcune figure; furono della illustre famiglia Cornaro; e da secoli si affacciano ai loro posti di teatro e piamente contemplano: una figura ha nelle mani un libro – un testo sacro o uno spartito? Immersi nell'ombra, di rado riprodotti assieme alla figura centrale, essi sono esclusi dalla trasformazione e ne sono consapevoli; come lo spettatore, essi non possono che indirettamente partecipare ad un evento edificante e mostruoso; ma se ignoriamo la loro mondana e lussuosamente umiliata presenza, dimentichiamo che l'impresa della Donna che sogna è temeraria ed estrema; e non avvertiamo che in quel moto immoto delle membra danzanti vi è un occulto presentimento di musica, forse il silenzio sospeso che precede la scoperta del canto. (''Angelo e donna danzanti'', p. 199-200, ''Corriere della Sera'', 1980)
*Non credetegli quando dicono che lo [[scrittore]] deve adoperare una lingua che tutti devono capire. Non la deve capire nessuno! Figurarsi. Devono leggerla, rileggerla; sennò quale sarebbe la polivalenza linguistica dello scrittore nel tempo? (p. 213, da ''Jung e la letteratura'')
*[...] il re non può fare a meno del ''[[buffone|fool]]'', non può fare ameno dello sciocco, di colui che delira ma delira sensatamente, di colui che interpreta la dissennatezza del re e le sue angosce, di colui che comicizza la tragedia del re e della vita, perché il ''fool'' è molto vicino al punto di vista della morte.<br>Il discorso è comunque cascato per strada. C'è qualcosa nel mondo [[psicoanalisi|psicoanalitico]] che ha un particolare fascino per lo scrittore. Potrei dire che nello [[psicoanalista]] c'è una strana mescolanza del ''fool'' e del prete, direi del vescovo e del ciarlatano. Essendo una mescolanza potrebbe non dispiacermi. Dopotutto sia l'uno che l'altro, sono completamente indifferenti alla storia, essendo collocati nel grembo – potrei dire di peggio – della morte. (p. 216, da ''Intervento al Convegno su «Jung e la Cultura Europea»'', Roma, 21-24 maggio 1973)