Paolo Vallorz: differenze tra le versioni

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==Citazioni di Paolo Vallorz==
*{{NDR|Sul ritratto di [[Octavio Paz]] eseguito per illustrare ''Première instance'', una plaquette di poesie giovanili}} Con [[Octavio Paz|Paz]], che risiede come me diversi mesi l'anno a Parigi, ci siamo incontrati alcune volte, sia fuori che nel mio studio. In particolare, durante le sedute per il ritratto, ho ricavato l'impressione di un uomo semplice con uno sguardo molto profondo, proprio di chi scruta orizzonti lontani. Un'altra cosa mi ha colpito, l'ho detto allo stesso Paz e credo che venga fuori dal disegno: la sua testa sembra una scultura precolombiana.<ref>Citato in l.g., ''Matita da Nobel. Paz ritratto da Vallorz'', ''Alto Adige'', 14 ottobre 1990.</ref>
*I tronchi d'albero che dipingo sono per me dei personaggi coi quali, fin da piccolo, ho avuto dei rapporti umani. Hanno vissuto la mia stessa vita, li conosco, sono certo che mi riconoscono, mi raccontano la storia della vita e la mia storia. Quando torno nelle mie montagne li vado a salutare tutti, uno per uno, li guardo, li osservo, li abbraccio, gli parlo, mi ascoltano, trattengo con loro un dialogo, sono certo che mi capiscono. Siamo amici, li dipingo più volte ogni anno, la loro amicizia mi rassicura e mi tranquillizza. Ovviamente succede come con gli amici: conosco spesso anche altri alberi. Ma con quelli di Caldes il dialogo umano è più forte. Mentre dipingo i miei alberi li scopro sempre più a fondo, come accade nel dipingere un volto o un nudo, sento una totale comunione tra me e loro, come se io fossi un albero e loro me. Infatti gli ho dato un nome, come hanno un nome i miei amici, uomini e animali; fiato di dipingere, mi siedo al loro piede, faccio colazione mentre il dialogo continua; quando infine me ne vado per tornare a casa li saluto, allontanandomi sento dentro di me nostalgia come quando lascio un amico. Capita poi che qualche albero muoia durante le mie assenze, o che venga abbattuto dagli uomini e allora avverto un grande vuoto, come quando si perde un amico.<ref>Da ''I miei alberi, i miei cieli'', Citato in Paolo Vallorz., ''Opere'', a cura di Marco Bridi, I Quaderni del Collegio Arcivescovile "Celestino Endrici", Trento, n. 5, 2001.</ref>
*Non mi interessa fare una pittura moderna per una società moderna (come i costruttivisti russi, come Marinetti, come i cubisti, come gli astratti). Mi interessa che la pittura sappia trovare il linguaggio che la lega alla società: non alle minoranze che guidano la società, ma alla gente che compone una certa società. Per esempio i contadini della mia valle. Infatti, la mia ambizione sarebbe di dipingere qualcosa che serve alla mia gente, qualcosa che possa portare cose positive nella vita quotidiana. Vorrei comunque che fosse una pittura comprensibile per tutti, che si inserisse nella vita, soprattutto in quella della gente più semplice.<ref>DaCitato in [[Vittorio Sgarbi]], ''Commossi al commosso: Vallorz al Mart'', Citato in ''Paolo Vallorz, la donazione al Mart'', Silvana Editoriale, Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto, 2011, p. 16.</ref>
*Per conto mio, quando dipingo intendo cogliere le cose essenziali del mondo. Mondo in cui hanno creduto generazioni e generazioni di uomini: la terra che diventa albero, l'albero che dà frutti, l'orto ed il campo coi loro frutti sepolti, l'uomo che li fa crescere e li attende, il tempo che li matura, la gente che li coglie, se ne nutre e li ripianta. Natura, dunque, come storia dell'uomo. Questa è la ragione per cui dipingo. M'interessa far vedere agli uomini che il “reale” non è morto; che intorno ad esso ruota la vita coi suoi valori essenziali; che in esso si può credere ancora; che da esso possiamo ancora trarre l'insegnamento fondamentale. E che la pittura può sempre ricominciare daccapo quel racconto della vita che serve all'uomo.<ref>Da ''Natura morta'', citato in ''Nature morte di Paolo Vallorz'', catalogo mostra, Compagnia del Disegno, Milano, 1980.</ref>
*{{NDR|Su [[Violette Leduc ]]}} [[Violette Leduc|Violette]] ha posato per me un centinaio di volte dal 1963 al 1965, prima che diventasse famosa. Poiché viveva in miseria la pagavo. […] Dopo una decina di pose in cui aveva notato disseminati nel mio atelier alcuni nudi di ragazze giovani mi disse, con tono di rimprovero, che a lei non avrei mai chiesto di posare nuda perché era vecchia – aveva 57 anni – e brutta. Risposi, invece, che mi interessava molto e che l'avrei volentieri dipinta nuda. Colta di sorpresa dalla mia disponibilità, aggiunse che prima, però, bisognava chiedere il permesso a [[Simone de Beauvoir]]. Osservai che Simone de Beauvoir dopotutto non era sua mamma. Violette non replicò ma introdusse un nuova difesa: se i l'avessi vista nuda, disse, dopo non saremmo stati più uguali. Ma anche questa difesa crollò perché mi mostrai disposto a dipingere nudo. Non disse più nulla e mi chiese “Come vuole che posi?”. Ed è così che l'ho ritratta: nella sua dolorosa e struggente bellezza simile a quella di un albero invecchiato.<ref>Dall'intervista di [[Lillo Gullo]], ''I nudi di Vallorz. Umanità e poesia dell'artista di Caldes'', Alto Adige, 20 giugno 1993.</ref>