Friedrich Nietzsche: differenze tra le versioni

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*Persino al buon gusto si addice un granello di torto. (221; 2007)
*[...] ''[[William Shakespeare|Shakspeare]]'', meravigliosa sintesi del gusto ispano-mauro-sassone, a proposito del quale un vecchio ateniese amico d'''[[Eschilo]]'' sarebbe scoppiato dalle risa o dal dispetto: ma noi – accogliamo precisamente codesta accozzaglia di ciò che v'ha di più delicato, di più grossolano, di più artifizioso, con una certa segreta confidenza e cordialità, la gustiamo come una raffinatezza dell'arte, che fu riservata a noi soli e non ci lasciamo indisporre dalle esalazioni mefitiche, dalla prossima vicinanza della plebaglia inglese, in mezzo alla quale vivono l'arte ed il gusto {{sic|''shaksperiani''}}, allo stesso modo come quando ci troviamo a ''[[Napoli]]'' sulla riviera di ''Chiaia''; noi la seguiamo, affascinati e volonterosi, senza preoccuparci delle esalazioni che tramandano lo cloache dei quartieri della plebe. (224; 1898)
*Il benessere, come voi lo intendete – non rappresenta già un fine, bensì, almeno per noi, la ''fine!'' Significa per noi uno stato che finisce per rendere l'uomo ridicolo e spregevole, – fa ''desiderarne'' la perdizione! La scuola del ''dolore'', del ''gran'' dolore – non sapete forse che ''questa'' scuola soltanto ha permesso all'uomo di acquistare certe attitudini? Quella tensione dell'anima nella sventura, che le proviene dalla propria forza, i brividi che l'attraversano quando assiste ad una grande ruina, l'ingegno, la bravura che si dimostra nel sopportare, nel perseverare, nell'interpretare, nello sfruttare la sventura, tutto ciò che l'anima ha acquistato in profondità, segretezza, dissimulazione, spirito, astuzia, grandezza: – non l'ha forse acquistato sotto la sferza del dolore, alla scuola del grande dolore? Nell'uomo si trovano riuniti la creatura ed il creatore: nell'uomo c'è la materia, c'è l'incompleto, il superfluo, c'è l'argilla, il fango, l'assurdo, il caos; ma nell'uomo c'è anche il soffio che crea, che plasma, c'è la durezza del martello, c'è lo spettatore – Dio, c'è il settimo giorno [...] (225; 1898)
*Non è forse la [[vita]] cento volte troppo breve per annoiarvisi? (227; 2007)
*Quello che nella donna c'ispira rispetto e non di rado anche timore, è la di lei ''natura'', che è molto più ''naturale'' di quella dell'uomo, la di lei mobilità, l'agilità da vera bestia selvaggia, l'unghia della tigre che nasconde sotto il guanto profumato; il suo egoismo ingenuo, la sua inettezza ad esser educata, il suo essere intimamente selvaggio, l'inconcepibile, lo sconfinato, il divagante delle sue brame e delle sue virtù... Quello che ci ispira della pietà per codesto bel gatto pericoloso che chiamiamo «donna», si è che essa è più soggetta a soffrire, che è più sensibile, più bisognosa d'affetto, più accessibile alle disillusioni di qualsiasi altro animale. Timore e pietà, ecco i sentimenti che l'uomo sinora provava dinanzi alla donna, sempre con un piede nella tragedia, la quale dilania mentre entusiasma. Ed ora tutto ciò dovrebbe esser finito? – Eh?<br>Ed ora tutto ciò dovrebbe esser finito? E si lavorerebbe al disincantamento della donna? E si sta per formarne a poco a poco il più noioso degli esseri? ''Oh! Europa! Europa!'' (239; 1898)
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*Vivere con immensa e superba imperturbabilità; sempre al di là. (284; 2007)
*Un [[filosofo]]: un uomo, cioè, che costantemente vive, vede, ascolta, sospetta, spera, sogna cose fuori dell'ordinario; che vien còlto dai suoi stessi pensieri quasi dal di fuori, dall'alto e dal basso, come da quel genere di avvenimenti e di fulmini che è ''suo proprio''; e forse è egli stesso una procella che si avanza gravida di nuovi fulmini; un uomo fatale, intorno al quale c'è sempre un brontolio e un rovinio, qualcosa che si cretta e sinistramente accade. Un filosofo: ahimè, un essere che spesso sfugge a se stesso, spesso ha timore di sé – tuttavia è troppo curioso per non "tornare" sempre di nuovo "a sé" [...]. (292; 2007)
*''Il vizio olimpico''. — A dispetto di quel filosofo, che da vero inglese cercò di calunniare il [[risata|riso]] presso tutti i pensatori — «il riso è una grave infermità della natura umana, che ogni esser pensante dovrà saper vincere» ([[Thomas Hobbes|Hobbes]]) — io mi permetterei di istituire persino una classificazione dei filosofi a seconda della classe cui il loro riso appartiene — sino ad arrivare a coloro che sono capaci del riso ''aureo''. E supposto che anche gli Dei s'occupino di filosofia, alla quale supposizione mi sento portato da varie ragioni — io non dubito, ch'essi sapranno ridere in un modo nuovo e superumano — in ispecie di tutte le cose le più serie! Gli dei sono inclinati allo scherno; persino nelle cose sacre sembra non si possano trattenere dal ridere (284; 1898)
*Gli dèi amano motteggiare: pare che nemmeno nelle sacre azioni possano impedirsi di ridere. (294; 2007)
*– Così un’altra volta egli {{NDR|[[Dioniso]]}} disse: «in certe circostanze amo l'uomo» – così dicendo alludeva ad ''[[Arianna|Ariadne]]'' ch'era presente – : «l'uomo mi sembra essere un animale amabile, valoroso ed ingegnoso, che sulla terra non un suo pari, e che sa ritrovare il filo in tutti i labirinti».<br>«Io gli voglio bene: penso talvolta come potrei farlo progredire ancor di più, e renderlo più forte, più maligno e più profondo, di quanto lo sia finora». – «Più forte, più maligno, più profondo?» domandai spaventato. «Sì,» mi ripetè « più forte, più maligno, più profondo; ed anche più «bello» – soggiunse il Dio-tentatore sorridendo del suo riso alcionico, come se in quel punto avesse detto una cosa estremamente gentile.<br>Per cui vediamo in pari tempo, che quella divinità non manca soltanto del pudore – ; anzi, vi sono molte buone ragioni di ritenere, che per certe cose gli dei, tutti insieme, potrebbero imparare molto dagli uomini. Noi uomini siamo più – umani. (295; 1898)
*Proprio le donne, sullo sfondo di tutta la loro personale vanità, hanno pur sempre un loro impersonale disprezzo – verso «la donna». (IV, "Sentenze e intermezzi")<ref name=sordi/>
*Quando si incatena duramente il proprio cuore e lo si tiene prigioniero, si possono permettere al proprio spirito molte libertà. (IV, "Sentenze e intermezzi")<ref name=sordi/>