Liberati della brava bambina: differenze tra le versioni

saggio di Maura Gancitano e Andrea Colamedici del 2019
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Versione delle 17:45, 14 feb 2021

Liberati della brava bambina. Otto storie per fiorire, saggio scritto nel 2019 da Maura Gancitano e Andrea Colamedici.

Incipit

Anche se ha fatto tutto quello che c'era da fare, anche se ha raggiunto quel che si era prefissata, c'è ancora qualcosa di sostanziale che la rende infelice. È come una tessera che non si incastra bene dov'è collocata, un tassello mancante, un problema senza nome. A volte questa assenza è disperata; altre volte tutto va avanti così velocemente che non ci pensa più ma, appena il ritmo rallenta, ecco riaffacciarsi la solita inquietudine a cui non trova risposta.

Citazioni

  • La ragione per cui sente questa insoddisfazione bruciante è banale nella sua semplicità, eppure importantissima: è una donna. Questo non vuol dire - come qualcuno le ha detto - che è complicata e incomprensibile, isterica e indomabile, intrattabile, uterina, permalosa, petulante. Significa, al contrario, che è parte di una storia di sottomissione, violenza, abuso, silenzio. Anche se non l'ha vissuto in prima persona, porta dentro di sé la memoria di tutto quello che le altre donne hanno subìto nel corso della storia a causa del proprio bisogno di essere libere e di realizzare se stesse, e le sue paure singolari derivano direttamente da questo ricordo, invisibile ma minaccioso. (p. 6)
  • Filosofare aiuta a piazzare punti interrogativi alla fine delle parole, come fossero esplosivi. Non più donna, ma donna?, non più si fa così, ma si fa così? Non più è sempre stato così, ma è sempre stato così? (p. 8)
  • Ogni interesse può essere autentico o inautentico, dipende dalle ragioni che spingono a dedicargli del tempo. Può decidere di occuparsi di qualcosa perché le piace e la aiuta a esprimersi, oppure come giustificazione per scappare da ciò che dovrebbe fare davvero. Lei deve essere libera di ricercare la propria felicità nei campi che sente più affini, senza sentirsi giudicata per la frivolezza o la serietà delle due scelte. In questione è, piuttosto, proprio la possibilità di scegliere, il diritto di potersi occupare liberamente di se stessa. Essere libera di perdersi e di trovarsi. (p. 9)
  • Una femmina troppo assertiva e determinata, che non desidera diventare madre oppure, se è madre, non si definisce solo in quel ruolo, è costantemente in grave pericolo. Rischia di mascolinizzarsi, di essere meno donna. È come se ogni volta che riesce a fare un passo in avanti verso se stessa, perdendo un po' di vergogna e di insicurezza, arrivasse qualcuno a instillarle il seme del dubbio, a suggerirle il pericolo. È forte il timore di quell'accusa: Stai diventando maschile, ammorbidisciti, occupati di piccole cose, ricavati la tua nicchia. (p. 10)
  • È ancora raro che una donna sia davvero accompagnata nel percorso di fioritura personale, che le venga detto quanto sia importante soddisfare l'esigenza fondamentale dello sviluppo e della realizzazione delle proprie potenzialità come essere umano, che non si esauriscono nel ruolo sessuale. Questo senso di incompletezza, dunque, deriva dal bisogno profondo di sentirsi pienamente se stessa, di disobbedire a queste direttive, di non aver paura di fiorire. (p. 11)
  • Lei ha il diritto di scegliere per sé il ruolo che preferisce. La realizzazione personale è, appunto, una faccenda unica, diversa per ognuna, e non esistono regole applicabili alla perfezione per tutte. Ciò a cui dovrà fare attenzione, però, è l'imparare a mettersi in questione, domandandosi se la felicità che prova nell'interpretare un certo ruolo sia reale o no. Capire se e perché sta recitando. (p. 14)
  • Il desiderio di essere moglie non è né giusto né sbagliato: è un desiderio. Diventa un problema solo quando impedisce di essere anche altro, obbligando a trovare tutte le soddisfazioni in un unico ruolo. (p. 15)
  • Ma molte donne sono terrorizzate all'idea di mettere in dubbio quel che le rende felici, perché non vogliono perdere l'orientamento appreso che dà loro sicurezza; eppure solo se ha il coraggio di scoprirsi diversa e di porsi integralmente in questione, Lei potrà davvero realizzarsi. Solo spogliandosi dei ruoli imposti dalla società li potrà poi rivestire, rinnovati, con consapevolezza. (p. 15)
  • Sebbene sembri essere la gelosia la caratteristica principale di Era, a veder bene è piuttosto la sua resistenza. Era è l'ultimo baluardo della resistenza di un pensiero femminile alla conquista e alle umiliazioni del fare maschile. Questa resistenza non nasce, quindi, dal fastidio vissuto da una donna che non è in grado di tenere al proprio fianco il marito, ma dal dolore di chi vorrebbe tornare alla propria libertà ed è invece obbligata a recitare una parte troppo stretta e snaturante. Da chi, nonostante tutto, dentro non dimentica la propria forza originaria. [...] Vorrebbe tornare a esprimere il proprio potere, e invece è costretta a ridimensionarsi, a farsi piccola, a interpretare un personaggio minore e banale. (p. 16)
  • E nemmeno le è così facile riuscire a pronunciare la frase magica No, non mi basta. Invece è fondamentale che lo ripeta, tanto a se stessa quanto al mondo circostante. Riconosco il valore di quello che ho, riconosco la mia fortuna e l'impegno che ho messo per costruire tutto questo, ma non mi basta. Non c'è niente di cui vergognarsi a volere altro. (p. 19)
  • Quel che impedisce a donne e uomini di empatizzare con questo dolore è l'idea che quel qualcosa che manca alle donne in questione sia un oggetto, uno status, un'attività in più. In realtà, quel che le manca dovrebbe far parte della sua struttura di base, e non è un optional. Ed è, banalmente, il potere. (p. 19)
  • Soltanto se avrà il coraggio di lasciarsi alle spalle il mondo sicuro, lo stato di cose dannoso ma comodo, e manterrà al contempo il desiderio di creare una nuova armonia potrà ricreare il proprio potere, magari insieme a un partner consapevole, o magari preferendo stare da sola. (p. 22)
  • Le donne non sono parti deboli che non si prendono le proprie responsabilità: desiderano invece essere responsabili della propria vita, e sono disposte a tutto per esserlo. E Lei, come tutte le donne, è stata educata a non esprimere quella parte profonda, straordinariamente forte, che ancora oggi chiede di manifestarsi e che dà origine al problema senza nome. È come un muscolo che si atrofizza, che non riesce più a usare, ma di cui ha dannatamente bisogno per liberarsi dalle catene. (pp. 23-24)
  • Scaricare sugli uomini vicini la rabbia ereditaria è comprensibile ma in fin dei conti controproducente: in questo modo il dolore accumulato non farà che espandersi e riprodursi, e non verrà mai affrontato davvero. (p. 24)
  • Per immaginare un nuovo ruolo lui deve prima capire che sta vestendo panni troppo stretti e dannosi per sé e per gli altri. Agli uomini va chiesto di costruire insieme un mondo in cui non abbiano privilegi per il semplice fatto di essere nati maschi. (p. 24)
  • Se tra donne e uomini è difficile capirsi, non è perché le prime vengono da Venere e i secondi da Marte, ma perché a livello psicologico le donne si aspettano di essere tradite, ferite, svilite, represse dagli uomini, e gli uomini hanno la tendenza a ridicolizzarle, [...], a non considerare la profondità delle loro cicatrici interiori e a non riconoscere il privilegio che essere maschi oggi comporta (e i tanti limiti che ne conseguono, su tutti l'impossibilità di esprimere la propria sensibilità). (pp. 24-25)
  • Lei potrebbe essere un'aquila, invece è costretta a trascinarsi, a faticare per ogni cosa, come se avesse una mano che costantemente la spinge giù. Questo la irrita, la costringe in un'esistenza che non dà soddisfazione, come se girasse sempre intorno, senza poter uscire mai dal cerchio. Così a volte agisce d'impulso, come cercando di liberarsi di quel peso insostenibile, ma nemmeno sfogare la rabbia serve: rende tutto solo ancora più pesante. Sfogare la rabbia come pratica costante di vita la porta infatti soltanto a sostituire la mano che spinge in basso: non più una mano sconosciuta, ma la propria. (p. 29)
  • Facendosi più piccola, o accumulando e sfogando quotidianamente la rabbia, infatti, non sta semplicemente attuando una strategia di sopravvivenza: sta lentamente rinunciando a se stessa. Si sta dicendo che non c'è nulla che possa fare per tornare davvero a quel che è, per recuperare ed esprimere nuovamente il suo potere. (p. 29)
  • Non deve perdere tempo a cercare i colpevoli, ad arrabbiarsi con chi non l'aiuta, a prendersela con chi la ostacola: deve impegnarsi soltanto a ricostruire le sue ali. Deve lasciare che la rabbia diventi il combustibile per questa ricomposizione, e non lo strumento finale per la sua disfatta. La rabbia nasce dal dolore cronico di chi ha dentro di sé un forte potere personale e non può esprimerlo, di chi sa di poter volare ma non ha più le ali. (p. 30)
  • La rabbia che prova allora è una scarica di energia che non riesce a esprimersi e che spesso appare come un monito: se esprimerà quell'energia verrà punita. Il modo per liberarsi dalla rabbia è trasformarla, imparare a usare quell'energia repressa in modo creativo. (p. 31)
  • A ferire tutte le donne è prima di tutto il senso di colpa instillato dalla società, secondo la quale si dovrebbe essere leggere e serene, mai aggressive. (p. 31)
  • La rabbia nei confronti degli uomini e il dolore per il torto subito non diventano un motore per liberarsi, ma creano altre gabbie. Le donne possono diventare carceriere di altre donne, in particolare di quelle giovani e piene di possibilità, e anziché liberare se stesse imprigionano le altre, riaffermando quel disegno che in realtà vorrebbero sovvertire. (p. 33)
  • Stefano [Re Stefano, l'antagonista del film Maleficent] ha preferito il potere esteriore - visibile, tangibile, finalizzato alla conquista e al successo personale - al potere interiore, invisibile, intangibile, finalizzato all'equilibrio e all'armonia tra se stessi e il mondo. Lei deve sentire scorrere nel proprio corpo quell'energia vitale e non vergognarsene, perché quella che a volte si etichetta come rabbia è [...] un combustibile preziosissimo. (p. 35)
  • Parlare della rabbia che prova, impegnarsi a rintracciarne le ragioni significa educarla, cioè non farsene più sopraffare ma cominciare a conoscerla, a prevedere quando esploderà. Non a sprecarla, ma a trasformarla. Saprà allora prendersi cura del fuoco, e non gli permetterà di incendiare altrove: brucerà con forza e controllo. (p. 35)
  • Per sanare la ferita, per sciogliere la rabbia e ritrovare la propria autentica strada occorre prima di tutto andare alla radice, alla storia primordiale, e rinarrarla. Deve svelare i propri segreti, quelle ferite che non ha compreso ma che continuano a farle perdere energia. In caso contrario quella parte irrisolta continuerà a pulsare, tenterà sempre di farsi spazio senza riuscirci, esprimendosi come aggressività incontrollata o come incapacità di dire di no, di affermare la propria volontà. (p. 36)
  • Trasformare la rabbia significa imparare a esprimere la creatività, imparare ad ascoltare la propria parte profonda che chiede di essere espressa e raccontata. (p. 37)
  • Scegliendo razionalmente l'istinto, Elena [Elena di Troia, il cui rapimento fu il casus belli della guerra di Troia narrata nell'Iliade] smette di considerarsi (e quindi di essere) proprietà di qualcuno. Mette così in luce il terzo aspetto del problema senza nome: la responsabilità delle proprie scelte. La società che la circonda non le permette di essere pienamente responsabile della sua vita - perché vuole controllarla, limitarla, indirizzarla - e allo stesso tempo la ritiene responsabile e colpevole delle pulsioni che gli altri provano verso di lei. Dunque è impossibile che sia stata Elena a seguire Paride, ma è colpa sua - della sua bellezza irresistibile - se il principe l'ha rapita. [...] Non può essere responsabile di ciò che fa, ma è colpevole di tutto ciò che le accade. (p. 42)
  • Il monito di Elena è di non lasciarsi plagiare dagli altri, non farsi influenzare da ciò che è giusto fare, dal modo in cui è giusto comportarsi, dalle voci di chi vorrebbe scegliere al posto tuo. Elena è più libera di chi la circonda perché non accetta i condizionamenti sociali, non crede a quelle storie che vengono raccontate per tenere a bada le forze incontrollabili che abitano ogni essere umano. (p. 42)
  • Elena è una cagna immorale per tutti coloro che hanno la presunzione di avere una vita perfetta e il perfetto controllo dei propri sentimenti. Ci ricorda che nessuno di noi è perfetto, che nessuno è il centro dell'universo, che tutti possono innamorarsi follemente di qualcuno e mandare all'aria ciò che avevano costruito. E, più a fondo, Elena mette ogni donna di fronte al fatto che non esiste davvero una vita perfetta: esistono vite autentiche e vite inautentiche, cioè vite percorse seguendo il cuore e vite percorse cercando di reprimere costantemente i propri desideri. (pp. 43-44)
  • Non sarà una persona rassicurante, cioè prevedibile, ma obbligherà a essere autentici, a far cadere davanti a sé le maschere. E chi è in grado di far cadere le maschere può fare paura, perché fa emergere tutto ciò che si preferisce nascondere. (p. 44)
  • Ogni vita autentica è una vita imperfetta, una finestra da cui guardare l'universo. (p. 44)
  • Nessuna vita autentica è una linea dritta, un paesaggio senza ombre, un'immagine limpida. [...] Non c'è da vergognarsene, anzi è la prova che si è all'altezza dei propri desideri, che non si hanno immagini false da difendere, e che la propria vita si muove alla ricerca dell'autenticità. (p. 45)
  • L'invito di Elena, in altre parole, è a non portare il peso delle proprie scelte come un fardello di cui disfarsi. A non vedere nelle conseguenze delle azioni ispirate da Afrodite - e cioè dal cuore - una ferita insanabile, come invece hanno fatto innumerevoli altre donne da allora in poi. Perché loro non ci sono riuscite? Perché sentivano troppo forte il peso del giudizio devastante, perché si sentivano colpevoli di tutto ciò che era accaduto. Elena, al contrario, si sente responsabile ma non colpevole, e la sua vita non è qualcosa da nascondere, ma una vera opera d'arte. (p. 46)
  • La bellezza e la sensualità della donna non possono essere negate da chi ne ha paura, ma vanno circoscritte, controllate, relegate il più possibile dentro uno schema: il corpo delle donne va quindi normalizzato, e ne va limitato e regolato il potere. (p. 49)
  • In effetti nella storia le donne sono spesso state considerate un buco, un corpo utile a soddisfare i bisogni degli uomini. Anche i filosofi hanno parlato delle donne come di individui bucati che hanno bisogno di qualcosa che le riempia. Un pene, un bambino. Come se le donne fossero vuote, come se il loro piacere venisse solo dall'essere finalmente riempite. Come se il maschio bastasse a se stesso, mentre la donna no. (pp. 51-52)
  • L'amore tra due esseri umani non consiste in qualcosa di pieno che riempie qualcosa di vuoto, ma in qualcosa che accade tra individui consapevoli che hanno voglia di aprirsi all'altro senza rinnegarsi mai. Senza, cioè, il desiderio che il partner colmi una lacuna in quel che si è. Solo in questo modo una donna, Lei, può essere davvero vulnerabile senza essere vittima. Troppe volte, infatti, si è messa nelle mani dell'altra persona delegandole la propria felicità: il «Fammi felice!» che spesso ha pronunciato suona sia come una supplica che come un imperativo, e conduce inesorabilmente a cedere il proprio potere. Al contrario, è mettendo in comune il potere e la felicità che potrà dire «Facciamoci felici», così da mostrarsi a vicenda le debolezze e i lati oscuri. Rendendosi, cioè, contemporaneamente vulnerabili, si riceve e si offre potere senza perdere nulla. (p. 52)
  • Ed è lì, in un momento di fragilità psichica, che le pubblicità si soffermano, ideando e promuovendo prodotti che si offrono di sostituire quella sicurezza in sé che non riesce non ad avere. È una sensazione che gli uomini non provano in egual misura, perché la società non giudica con la stessa violenza il loro aspetto e il loro valore, e non propone loro un'inesauribile serie di strumenti che spostano l'attenzione dalla forza interiore al potere esteriore, e in questo modo tolgono il potere sulla propria vita e sul proprio valore. (p. 55)
  • Bisogna tener sempre la guardia alta: perché si può essere usate sempre, anche dopo una vita in cui si è scelto liberamente, anche se si pensa di essere preparate. (p. 57)
  • La libertà è qualcosa di prezioso che deve essere sempre protetto, perché può essere attaccato da un momento all'altro in nome di un qualche valore superiore. (p. 57)
  • Questa dinamica di svalutazione della libertà avviene anche a livello lavorativo e sociale, dunque è necessario che Lei osservi come è percepita in quanto donna in ogni contesto. Non può dare per scontato che la libertà femminile sia un'idea accettata da tutti. (p. 57)
  • Nessuna conquista è per sempre, nessuna dittatura è per sempre, nonostante l'entusiasmo o la disperazione possano far sembrare vero il contrario. Bisogna continuare a difendere la libertà anche quando tutto sembra perduto e agire di conseguenza. Perché ci si abitua a tutto: ma quando abituarsi significa rinunciare alla libertà bisogna agire e riprendersela, a ogni costo. Per questo Lei dovrebbe sempre domandarsi: a cosa mi sono abituata senza rendermene conto? (p. 60)
  • [Medea] È una donna disposta a tutto pur di seguire la chiamata dell'amore: interrompere i legami con la propria famiglia d'origine, con i propri simili e con la propria terra, pur di stare al fianco di chi ama. È una donna, fin dall'inizio, pronta a seguire ciò che sente, ma non per questo ingenua o stupida. (p. 63)
  • La filosofia origina dalla meraviglia: nel testo greco thauma, termine che indica sia la meraviglia che il terrore, cioè la capacità di osservare l'immensità del mondo, di percepirne la potenza, di stupirsi di ciò che agli altri appare ovvio e di lasciarsi urtare dalle cose della vita. Per Medea tutto era santo; non c'era niente che fosse solo materiale, immanente, mondano. Niente era ovvio per lei, perché lei sapeva guardare, ascoltare, curare. (p. 63)
  • Prima di incontrare Giasone, Medea viveva così in uno stato di perenne meraviglia, di piena unione con la natura; incontrando lui, invece, si è legata a un amore totalizzante che l'ha portata a intaccare una parte di sé che avrebbe dovuto restare integra. È una dinamica comune, un ricordo che appartiene a ogni donna: la memoria di una rinuncia che ha fatto e che poi è stata disprezzata, e che le ha provocato un enorme dolore. Non semplicemente il dolore del tradimento, ma il rimorso per aver reciso il contatto con il mistero in cambio di un qualcosa che si è rivelato inferiore. (p. 65)
  • In un rapporto è meraviglioso offrirsi interamente, ma non bisogna essere disposti a mutare una parte di sé così profonda. L'errore iniziale della donna è consistito nel rinunciare a sé pur di soddisfare la propria passione. Medea non si è donata: si è rimossa, si è fatta meno pur di combaciare con l'altra metà amata. (p. 66)
  • Un popolo si educa attraverso i grandi miti, che hanno anche lo scopo di mostrare i sentimenti in azione; la funzione che un tempo era svolta dai grandi spettacoli collettivi oggi è quasi interamente a carico delle narrazioni seriali. Se i miti sono stati il serbatoio di conoscenza dell'antichità, i sentimenti sono quelle condizioni cognitive e affettive che permettono di percepire il mondo circostante in una maniera adeguata, di sentire davvero l'altro essere umano. Ma non sono innati: si formano attraverso l'educazione e la cultura: le storie, appunto, che plasmano i nostri impulsi e le nostre emozioni naturali. (p. 76)


Bibliografia

  • Maura Gancitano e Andrea Colamedici, Liberati della brava bambina. Otto storie per fiorire, HarperCollins Italia, Milano, 2019.