Robert Fabbri: differenze tra le versioni

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La bambina aveva vissuto non più di un centinaio di giorni; adesso veniva resa immortale nei cieli. Nata in gennaio e per il giubilio di tutto l'impero, Claudia Augusta, la figlia dell'imperatore Nerone e della sua imperatrice Poppea Sabina, era caduta vittima di un morbo infantile subito dopo l'equinozio di primavera. Il Senato aveva votato per dare onori divini alla defunta neonata nel tentativo di alleviare il cordoglio del padre, smodato nel dolore per la morte della figlia tanto quanto lo era stato nella gioia per la sua nascita. E fu con le guance pallide rigate di lacrime, scintillanti nella barba dorata sotto al mento, che Nerone, fulgido in una toga porpora bordata d'oro, prese un accenditoio e lo tuffò nella fiamma portata dal tempio di Vesta dalle sei sacerdotesse.<br>
Con le pieghe della toga drappeggiate sulla testa, per rispetto verso l'ultima divinità entrata a far parte del pantheon di Roma, i senatori anziani riuniti - tutti ex pretori e consoli - osservarono, con la dovuta solennità, l'imperatore accostare la candela ardente ai fuscelli ammucchiati sull'altare. Il fuoco attecchì; fili di fumo si levarono in spirali fino al tetto del nuovo tempio, accanto a quello di Apollo, sul Palatino. L'edificio era stato costruito da schiavi che avevano lavorato giorno e notte nei sette mesi trascorsi dalla morte della bambina, e senza alcun limite di spesa, Nerone aveva personalmente sovrinteso a ogni sontuoso dettaglio, dedicando gran parte del proprio tempo al progetto e trascurando del tutto la gestione di Roma.
 
===''Le tre legioni''===
 
''Ravenna 37 d.C.''
 
«Ad affrontare Synatos, il reziario, vi do il ''secutor'', Lico di Germania!».<br>
Il boato di approvazione della folla soffocò la voce dell'annunciatore; ma per Thumelicatz fu un brusio ovattato che penetrò appena l'elmo di bronzo che gli racchiudeva la testa. Avanzò a grandi passi nell'arena, mostrando la spada corta ai diecimila spettatori che scandivano: «Lico! Lico!», la forma abbreviata del suo nome latinizzato: Tumelico. Sollevando la spada in aria a tempo con il coro e impugnando lo scudo rettandolare semi-cilindrico, decorato con una testa di cinghiale, salutò ogni parte dell'arena ovale.<br>
Thumelicaz aveva imparato molto presto, nei suoi cinque anni sulla sabbia, dal ''lanista'' Orosio, suo proprietario nonché allenatore, a ingraziarsi la folla, malgrado i sentimenti che provava per essa: un gladiatore popolare con il sostegno del pubblico aveva una sorta di vantaggio in ogni combattimento e, in caso di sconfitta, poteva aspettarsi la sua misericordia. Orosio aveva una grande esperienza, essendosi guadagnato la spada di legno della libertà quindici anni prima, dopo cinquantatré combattimenti; a Thumelicatz mancava solo una vittoria per eguagliare quel risultato, grazie agli insegnamenti del ''lanista''. Rivolse la spada verso il suo mentore seduto tra la folla; Orosio, un tempo oggetto di paura e disprezzo ma ora di riluttante rispetto, inclinò la testa per raccogliere l'omaggio.<br>
Infine, urlando le rituali parole di un gladiatore in procinto di intraprendere un combattimento mortale, Thumelicatz salutò il promotore dei giochi, seduto sotto l'unico baldacchino presente nell'arena. Con un grazioso gesto della mano, il promotore, il recentemente insediato prefetto della piccola città provinciale di Ravenna, indicò di essere pronto a vedere sangue versato; si sistemò la toga bianca bordata da una sottile fascia porpora, simbolo del suo rango equestre, e tese i palmi per accettare il riconoscimento della folla.
 
====''L'imperatore di Roma''====
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Cecina Alieno e Fabio Valente, i due generali di Vitellio, avevano sorpreso le forze fedeli a Otone, imperatore a Roma, con la rapidità della loro avanzata e la discesa in Italia tanto precocemente nella stagione. Otone aveva reagito cercando di negoziare un accordo, ma era stato respinto con sdegno.<br>
Perciò, per Otone l'unica scelta era stata la guerra civile, a meno di non rinunciare subito suicidandosi. Ed era lì, nella valle del Po, che si sarebbe decisa la questione.
 
===''Le tre legioni''===
 
''Ravenna 37 d.C.''
 
«Ad affrontare Synatos, il reziario, vi do il ''secutor'', Lico di Germania!».<br>
Il boato di approvazione della folla soffocò la voce dell'annunciatore; ma per Thumelicatz fu un brusio ovattato che penetrò appena l'elmo di bronzo che gli racchiudeva la testa. Avanzò a grandi passi nell'arena, mostrando la spada corta ai diecimila spettatori che scandivano: «Lico! Lico!», la forma abbreviata del suo nome latinizzato: Tumelico. Sollevando la spada in aria a tempo con il coro e impugnando lo scudo rettandolare semi-cilindrico, decorato con una testa di cinghiale, salutò ogni parte dell'arena ovale.<br>
Thumelicaz aveva imparato molto presto, nei suoi cinque anni sulla sabbia, dal ''lanista'' Orosio, suo proprietario nonché allenatore, a ingraziarsi la folla, malgrado i sentimenti che provava per essa: un gladiatore popolare con il sostegno del pubblico aveva una sorta di vantaggio in ogni combattimento e, in caso di sconfitta, poteva aspettarsi la sua misericordia. Orosio aveva una grande esperienza, essendosi guadagnato la spada di legno della libertà quindici anni prima, dopo cinquantatré combattimenti; a Thumelicatz mancava solo una vittoria per eguagliare quel risultato, grazie agli insegnamenti del ''lanista''. Rivolse la spada verso il suo mentore seduto tra la folla; Orosio, un tempo oggetto di paura e disprezzo ma ora di riluttante rispetto, inclinò la testa per raccogliere l'omaggio.<br>
Infine, urlando le rituali parole di un gladiatore in procinto di intraprendere un combattimento mortale, Thumelicatz salutò il promotore dei giochi, seduto sotto l'unico baldacchino presente nell'arena. Con un grazioso gesto della mano, il promotore, il recentemente insediato prefetto della piccola città provinciale di Ravenna, indicò di essere pronto a vedere sangue versato; si sistemò la toga bianca bordata da una sottile fascia porpora, simbolo del suo rango equestre, e tese i palmi per accettare il riconoscimento della folla.
 
==Bibliografia==