Alphonse de Lamartine: differenze tra le versioni

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*Ei {{NDR|Saint-Just}} non aveva né sguardi, né orecchi, né cuore per tutto quello che gli sembrava fare ostacolo alla fondazione della repubblica universale: re, troni, sangue, donne, fanciulli, popolo, tutto quello che si trovava fra questo scopo e lui, spariva o doveva sparire. La sua passione gli aveva per così dire, pietrificate le viscere; e la sua logica aveva contratta l'impassibilità di una geometria e la brutalità di una forza materiale. (vol. II, libro XXXIII, p. 6)
*{{NDR|[[Charles François Dumouriez]]}} [...] l'elevatezza dei suoi sentimenti non rispondeva alla grandezza del suo coraggio ed alla estensione del suo spirito. Egli non ebbe nell'anima né bastante serietà per capir la repubblica, né bastante longanimità per servirla col rischio della propria testa. Volle rappresentare il grand'uomo, ma nel bel mezzo si arrestò. (vol. II, libro XXXVII, p. 185)
*[...] Dumouriez maledetto nel suo paese, tollerato dallo straniero, errò di reame in reame, senza trovare una patria. Obbietto di una sprezzante curiosità, quasi indigente, senza {{sic|compatriotti}} e senza famiglia, pensionato dall'Inghilterra, faceva pietà a tutti i partiti. Nella lunga vita che visse, conservò tutto il suo genio perché si tormentasse nella inazione. Ei non cessò di scrivere memorie e progetti militari per tutte le guerre che per lo spazio di trent'anni l'Europa fece alla Francia; {{sic|oltreacciò}}, offrì la propria spada a tutte le cause, ma tutte lo ricusarono. Seduto vecchio al focolare della Germania e della Inghilterra, non osò rompere il suo {{sic|esiglio}}, neppur quando la Francia si riaprì ai proscritti di tutti i partiti. Morì a Londra. La sua patria ne lasciò le ceneri nell'esiglio, e non alzò neppur la vuota sua tomba sul campo di battaglia ove aveva salvato il proprio paese. (vol. II, libro XXXVIII, pp. 185-186)
*[[Jean-Paul Marat|Marat]] era il rappresentante del proletariato moderno: egli introduceva nella scena politica quella moltitudine fin allora relegata nella propria impotenza, e bruttata dai suoi cenci. Quel che spingeva Marat a questa parte non era soltanto {{sic|passion}} di dominazione, ma ancora la passione di riabilitare le classi povere della specie umana. (vol. II, libro XXXVIII, p. 188)
*[...] Marat non si limitava più a far uscire la voce dai sotterranei che abitava, come un gemito dal fondo del popolo; ma si mostrava con affettazione alla moltitudine, ai Giacobini, ai Cordiglieri, al palazzo di città, alle sezioni, in tutti i tumulti. Ormai cominciava ad emanciparsi dalla tutela di Danton che aveva lungo tempo brigata e subìta, e cominciava a disputare a [[Maximilien de Robespierre|Robespierre]] gli applausi dei Giacobini. Quest'ultimo non prometteva al popolo che il regno delle leggi popolari che ripartirebbero più equamente il benessere sociale fra tutte le classi: Marat prometteva rovesciamenti completi, e prossime spoglie; l'uno conteneva il popolo colla sua ragione, l'altro lo trascinava colla sua follia; il primo doveva essere più rispettato, l'altro più paventato. (vol. II, libro XXXVIII, p. 188)