Operette morali: differenze tra le versioni

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===[[Incipit]]===
L’annoL'anno ottocento trentatremila dugento settantacinque del regno di Giove, il collegio delle Muse diede fuora in istampa, e fece appiccare nei luoghi pubblici della cittá e dei borghi d'Ipernèfelo, diverse cedole, nelle quali invitava tutti gli dèi maggiori e minori, e gli altri abitanti della detta cittá, che recentemente o in antico avessero fatto qualche lodevole invenzione, a proporla, o effettualmente o in figura o per iscritto, ad alcuni giudici deputati da esso collegio.
 
===Citazioni===
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*[...] narrami tu se in alcun istante della tua vita, ti ricordi aver detto con piena sincerità ed opinione: io godo. Ben tutto giorno dicesti e dici sinceramente: io godrò; e parecchie volte, ma con sincerità minore: ho goduto. Di modo che il piacere è sempre o passato o futuro, e non mai presente.<ref>{{cfr}} ''[[Giacomo Leopardi#Zibaldone|Zibaldone]]'', 3550, 29 settembre 1823, Festa di San Michele Arcangelo: «[...] il piacere è sempre o passato o futuro, non mai presente [...]».</ref> ('''Genio''')
*[...] l'[[uomo]], [...] chiarito e disamorato delle cose umane per l'esperienza; a poco a poco assuefacendosi di nuovo a mirarle da lungi, donde elle paiono molto più belle e più degne che da vicino, si dimentica della loro vanità e miseria; torna a formarsi e quasi crearsi il mondo a suo modo; [...] e desiderare la vita; delle cui speranze, [...], si va nutrendo e dilettando, come egli soleva à suoi primi anni [...]. ('''Genio''')
*[...] la solitudine fa quasi l’ufficiol'ufficio della gioventù; o certo ringiovanisce l’animol'animo, ravvalora e rimette in opera l’immaginazionel'immaginazione [...]. ('''Genio''')
 
===Citazioni su ''Dialogo di Torquato Tasso e del suo Genio familiare''===
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==''Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie''==
{{leggi il testo|sezione=s|[[s:Operette morali/Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie|Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie]]}}
*''Sola nel mondo eterna, a cui si volve | Ogniogni creata cosa, | Inin te, [[morte]], si posa | Nostranostra ignuda natura; | Lietalieta no, ma sicura | Dalldall'antico dolor.''
*Sappi che il morire, come l'addormentarsi, non si fa in un solo istante, ma per gradi. Vero è che questi gradi sono più o meno, e maggiori o minori, secondo la varietà delle cause e dei generi della morte. Nell'ultimo di tali istanti la morte non reca né dolore né piacere alcuno, come né anche il sonno. Negli altri precedenti non può generare dolore perché il dolore è cosa viva, e i sensi dell'uomo in quel tempo, cioè cominciata che è la morte, sono moribondi, che è quanto dire estremamente attenuati di forze. Può bene esser causa di piacere: perché il piacere non sempre è cosa viva; anzi forse la maggior parte dei diletti umani consistono in qualche sorta di languidezza. Di modo che i sensi dell'uomo sono capaci di piacere anche presso all'estinguersi; atteso che spessissime volte la stessa languidezza è piacere; massime quando vi libera da patimento; poiché ben sai che la cessazione di qualunque dolore o disagio, è piacere per sé medesima, sicché il [[languore]] della morte debbe esser più grato secondo che libera l'uomo da maggior patimento. ('''Morto''')
*Finché non fui morto, non mi persuasi mai di non avere a scampare di quel pericolo; e se non altro, fino all'ultimo punto che ebbi facoltà di pensare, sperai che mi avanzasse di vita un'ora o due: come stimo che succeda a molti, quando muoiono. ('''Morto''')
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*Dicendo un altro: se questo dolore fosse durato più, non sarebbe stato sopportabile; rispose: anzi, per l'assuefazione, l'avresti sopportato meglio. ([[s:Operette morali/Detti memorabili di Filippo Ottonieri/Capitolo terzo|cap. III]])
*[...] stimava che [...] una grandissima parte delle azioni e dei portamenti degli uomini che si attribuiscono a qualche pessima qualità morale, non sieno veramente altro che inconsiderati. ([[s:Operette morali/Detti memorabili di Filippo Ottonieri/Capitolo terzo|cap. III]])
*[...] talora gli uomini irresoluti sono perseverantissimi nei loro propositi, non ostante qualunque difficoltà; e questo per la stessa loro irresolutezza; atteso che a lasciare la deliberazione fatta, converrebbe si risolvessero un’altraun'altra volta. ([[s:Operette morali/Detti memorabili di Filippo Ottonieri/Capitolo quarto|cap. IV]])
*Le persone assuefatte a comunicare di continuo cogli altri i propri pensieri e sentimenti, esclamano, anco essendo sole, se una mosca le morde, o che si versi loro un vaso, o fugga loro di mano. ([[s:Operette morali/Detti memorabili di Filippo Ottonieri/Capitolo quarto|cap. IV]])
*Oggi non è cosa alcuna che faccia [[vergogna]] appresso agli uomini usati e sperimentati nel mondo, salvo che il vergognarsi; né di cosa alcuna questi sì fatti uomini si vergognano, fuorché di questa, se a caso qualche volta v'incorrono. ([[s:Operette morali/Detti memorabili di Filippo Ottonieri/Capitolo quinto|cap. V]])
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*L'ignorante e il fanciullo non s'annoia, perché pieno d'illusioni, ma il savio conoscendo la verità d'ogni cosa, non si pasce d'altro che di noia. ('''Mondo''')
*L'[[amicizia]] non si trova più, o se vuoi chiamarla con questo nome, devi sapere ch'è fatta a uso di quelle fibbie o fermagli che servono ad allacciare mentre bisogna, e finito il bisogno si slacciano, e spesse volte si levano via. Cosi le amicizie d'oggidì. Fatte che sieno, quand'occorre s'allacciano e stringono: finita l'occorrenza, alle volte si slacciano ma si lasciano in essere, tanto che volendo si possano riallacciare; altre volte si levano via del tutto, e ciascuno resta libero e sciolto come per l'addietro. ('''Mondo''')
*'''Mondo''': Io voglio che tu mi dica una cosa da galantuomo per l’ultimal'ultima volta. A che ti ha giovato o giova agli uomini la virtù?<br>'''[[Galantuomo]]''': A non cavare un ragno da un buco. A fare che tutti vi mettano i piedi sulla pancia, e vi ridano sul viso e dietro le spalle. A essere infamato, vituperato, ingiuriato, perseguitato, schiaffeggiato, sputacchiato anche dalla feccia più schifosa, e dalla marmaglia più codarda che si possa immaginare.
*[...] quelli che non hanno mai sperimentato il vivere onesto, non possono avere nella scelleraggine quella forza ch'ha un povero disgraziato, il quale avendo fatto sempre bene agli uomini, e seguita la virtù sin dalla nascita, e amatala di tutto cuore, e trovatala sempre inutilissima e sempre dannosissima, alla fine si getta rabbiosamente nel vizio, con animo di vendicarsi degli uomini, della virtù e di se stesso. E vedendo che se avesse voluto far bene agli uomini, tutti avrebbero congiurato a schiacciarlo, si determina di prevenirgli, e di schiacciargli esso in quanto possa. ('''[[Galantuomo]]''')