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*Gli oggetti sono indifferenti, ma l'uso che se ne fa non è indifferente. Allora, come si potrà conservare la fermezza d'animo insieme alla sollecitudine, ugualmente lontana da sconsideratezza e da negligenza? Basta imitare i giocatori di dadi. I gettoni sono indifferenti, i dadi sono indifferenti, come sapere cosa darà la sorte? Ma usare con accortezza e con arte del risultato ottenuto, questo è già cómpito mio. (V, 1-3; 1960, p. 93)
*Certo è difficile unire e conciliare queste cose, la vigilanza di chi si sente attratto dagli oggetti e la fermezza d'animo di chi rimane indifferente, tuttavia non è impossibile, se no sarebbe impossibile essere felici. È un po' come quando navighiamo. Che cos'è in mio potere? Scegliere il pilota, la ciurma, il giorno, il momento opportuno. Poi scoppia la tempesta. In che più mi riguarda? La parte mia l'ho compiuta. Questo è affare d'un altro, del pilota. Ma oltre a ciò, la nave s'affonda. Che ci posso fare io? Solo quello che è in mio potere posso fare: annegare senza aver timore, senza gridare, senza incolpare Dio, ben sapendo che chi è nato ha da morire. Non sono mica eterno, ma un uomo, parte del tutto, come l'ora è parte della giornata. [[vita e morte|Devo giungere come l'ora, e come l'ora scomparire]]. Che m'importa come scompaio, se per annegamento o per febbre? In uno di questi modi devo pur scomparire. (V, 9-13; 1960, pp. 93-94)
*Come si può dire, dunque, che delle cose esterne alcune sono conformi, altre contrarie a natura? È come se fossimo isolati. Infatti, al piede, secondo natura, dirò che si addice essere pulito, mentre, se lo consideri come piede, e non come una cosa isolata, gli converrà di andare anche nel fango, di calpestare le spine e talvolta di essere amputato in vista de corpo intero: altrimenti, non sarà più piede. Lo stesso ragionamento s'ha da fare a nostro riguardo. Chi sei? Un uomo. Se ti consideri come una cosa isolata, è conforme a natura vivere fino a vecchiezza, arricchire, star in salute. Ma se ti consideri come un uomo e parte deidi un tutto, converrà che, proprio in vista di questo tutto, talora ti ammali, talora navighi, talora t'esponga ai pericoli, talora soffra la povertà e qualche volta anche muoia prima del tempo. Perché sdegnarti? Non sai che, come quello, isolato, non sarà più piede, così neppure tu, isolato, sarai più uomo? Che cos'è, infatti, l'uomo? Parte d'una città, in primo luogo, di quella formata dagli dèi e dagli uomini, in secondo luogo di quella chiamata così perché le si avvicina moltissimo ed è, in piccolo, una copia della città universale.<br>— Così, adesso devo essere giudicato?<br>— E adesso un altro deve avere la febbre, un altro deve navigare, un altro morire, un altro essere condannato? È impossibile che in un corpo sì fatto, in un universo sì fatto che ci abbraccia, in mezzo a sì fatti uomini che vivono con noi, non càpitino di tali accidenti, ora agli uni, ora agli altri. A te spetta recarti là, dire ciò che devi, e disporre ogni cosa come conviene. Poi il giudice pronuncia: «Ritengo che sei colpevole.» «Buon prò ti faccia. Io ho compiuto il mio dovere; se anche tu l'hai compiuto, te lo vedrai da te». Corre un rischio anche lui, non dimenticarlo. (VII, 24-29; 1960. pp. 95-96)
*Tu soltanto ricordati di quella diairesi grazie alla quale si definisce quanto è in tuo esclusivo potere e quanto non lo è. (VI)
*[...] la guida buona, quando s'imbatte in uno che vaga di qua e di là, lo riporta sulla strada giusta invece di andarsene dopo averlo deriso e insultato. E anche tu, mostragli {{NDR|a l'uomo incolto}} la verità e vedrai che la segue. Ma finché non gliela mostri, non metterti a deriderlo; piuttosto prendi atto della tua incapacità. (XII, 3-4 ; 1960, p. 112)