Sandro Magister: differenze tra le versioni

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Cfr. per l'avviso la stessa fonte (male) indicata dall'utente a partire da: "A richiamare recentemente l'attenzione su come la Chiesa dei primi secoli affrontò la questione dei divorziati risposati è un sacerdote di Genova, Giovanni Cereti, studioso di patristica e di ecumenismo".
Etichetta: Annullato
Rimossa: questa citazione riassume le deliberazioni di un concilio, non un pensiero di Sandro Magister, che, come tutto porta a ritenere esaminando il contenuto della fonte, si limita a riferire il risultato delle ricerche di uno studioso.
Etichetta: Ripristino manuale
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*La verità è che la definizione della [[morte cerebrale]] fu proposta dalla Harvard Medical School, nell'estate del 1968, pochi mesi dopo il primo [[trapianto]] di cuore operato da Christian Barnard (dicembre 1967), per giustificare eticamente i trapianti di cuore, che prevedevano che il cuore dell'espiantato battesse ancora, ovvero che, secondo i canoni della medicina tradizionale, egli fosse ancora vivo. L'espianto, in questo caso equivaleva ad un omicidio, sia pure compiuto "a fin di bene". La scienza poneva la morale di fronte a un drammatico quesito: è lecito sopprimere un malato, sia pure condannato a morte, o irreversibilmente leso, per salvare un'altra vita umana, di "qualità" superiore?<ref name=trapi/>
*Il vero problema è che il prezzo da pagare per salvare queste vite è quello tragico di sopprimerne altre. Si vuole sostituire il principio utilitaristico secondo cui si può fare il male per ottenere un bene, alla massima occidentale e cristiana secondo cui non è lecito fare il male, neppure per ottenere un bene superiore. Se un tempo i "segni" tradizionali della morte dovevano accertare che una persona viva non fosse considerata morta, oggi il nuovo criterio harvardiano pretende di trattare il vivente come un cadavere per poterlo [[trapianto|espiantare]].<ref name=trapi/>
*{{NDR|In merito al canone 8 del Primo Concilio di Nicea}} I “puri” al quale il canone si riferisce sono i novaziani, i rigoristi dell’epoca, intransigenti fino alla definitiva rottura sia con gli adulteri risposati sia con chi aveva apostatato per aver salva la vita, anche se si erano poi pentiti, erano stati sottoposti alla penitenza ed erano stati assolti dal loro peccato. Esigendo dai novaziani, per essere riammessi nella Chiesa, di “entrare in comunione” con queste categorie di persone, il concilio di Nicea ribadiva dunque il potere della Chiesa di perdonare qualsiasi peccato e di riaccogliere nella piena comunione anche i “digami”, cioè gli adulteri risposati, e gli apostati.<ref>Sandro Magister,''[http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1350707.html Quando la Chiesa di Roma perdonò i secondi matrimoni]'', ''L'Espresso'', 31 gennaio 2014</ref> {{C|Fuori standard. Attribuzione da valutare. Sembra piuttosto il riassunto di ricerche di un altro autore.}}
 
{{Int|Da ''Figli di un Pio minore''|''L'Espresso'', 29 aprile 1999.}}