Ibn Battuta: differenze tra le versioni

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*Partiti dal monte Libano arrivammo a [[Baalbek]], una bella e antica città fra le più splendide di [[Siria]]. Circondata da magnifici frutteti e da giardini superbi, possiede terre irrorate da ruscelli e uguaglia [[Damasco]] per le sue inesauribili risorse. Vi crescono ciliegie che non hanno uguali e vi si produce il ''dibs'' cosiddetto di Baalbek, una specie di mosto d'uva cui aggiungono una polverina che lo fa rapprendere — sicché, spezzando il vaso, il contenuto esce in un sol blocco. Mischiando questo ''dibs'' con pistacchi e mandorle, poi, si fa un dolce detto ''mulabban'', o ''jild al-faras''. A Baalbek producono anche molto latte cagliato e lo esportano a Damasco, che dista un giorno di cammino se si marcia di buon passo — le comitive, invece, partono da Baalbek e pernottano in una cittadina chiamata al-Zabdânî, ricca di frutta, per riprendere poi il viaggio verso Damasco il mattino seguente. A Baalbek si producono anche le omonime stoffe con cui si confezionano mantelli e altri capi, e poi scodelle e cucchiai di legno senza pari sulla terra, I grandi piatti da portata, quelli che da noi si chiamano ''sabfa'', qui vengono detti ''dast'', e a volte ne fanno uno, poi un altro che sta esattamente nell'incavo del primo, e così via sino a dieci — ma a guardarli sembra ci sia un piatto solo. Lo stesso dicasi per i cucchiai: ne fabbricano dieci, ognuno contenuto nella cavità dell'altro, poi li mettono in un astuccio di pelle — così si possono portare appesi alla cintura e quando si mangia con gli amici si tirano fuori: chi li vede pensa che ci sia un cucchiaio solo, ma dall'incavo del primo ne escono altri nove ! (p. 95, 2018)
*[[Damasco]] supera le altre città in bellezza e le oltrepassa con il suo splendore. Ogni descrizione, per quanto precisa, è sempre troppo limitata per dirle tutta l’avvenenza… (p. 96, 2018)
*Lo stesso giorno, proseguendo fra giardini, corsi d'acqua e bei paeselli con molte colombaie, giungemmo a [[Esfahan]], nell'Iraq persiano, una fra le più belle e grandi città del mondo anche se ormai è mezza in rovina per via delle faide tra sunniti e râfiditi che continuano ancor oggi a combattersi a vicenda. A Esfahan cresce moltissima frutta: un tipo di albicocche eccezionali dette ''qamaraldin'' [luna della religione], che racchiudono nel nocciolo una mandorla dolcissima e si conservano secche; mele cotogne impareggiabili per bontà di gusto e dimensioni; un'uva squisita e splendidi meloni dal gusto delizioso, con la buccia verde e la polpa rossa, paragonabili solo a quelli di [[Bukhara|Bukhârâ]] e di Khwârizm: si conservano secchi come i fichi nel [[Maghreb]] e se non si è abituati, all'inizio hanno un effetto lassativo — che subii anch'io quando li assaggiai.<br>Gli abitanti di Esfahan sono belli e hanno una pelle bianca e lucente con note d'incarnato. Le loro principali virtli sono il coraggio, l'ardimento e la generosità, e sul loro fare a gara per offrirsi l'un l'altro i cibi migliori si raccontano storie straordinarie! (pp. 220-221, 2018)
*Tra i santuari fuori città {{NDR|a [[Shiraz]]}} [...] ricordiamo il mausoleo del pio ''shaykh'' conosciuto come [[Saˁdi|al-Sa‘dī]], il maggior poeta di lingua persiana del suo tempo che talvolta si espresse anche in lingua araba, con annessa una bella ''zāwiya'' fornita di un grazioso giardino interno, che egli stesso aveva fatto costruire nei pressi della sorgente del grande fiume Rukn Abād. Sempre lui aveva voluto in questo posto anche una serie di piccoli lavabi in marmo per lavare i panni: cosí gli abitanti di Shīrāz escono di città e rendono visita al santuario, mangiano il pasto che trovano alla ''zāwiya'', fanno il bucato nel fiume e poi tornano a casa – e lo stesso feci anch'io quando vi andai.<ref>Da ''I viaggi'', a cura di Claudia M. Tresso, Einaudi, 2008-</ref>