Giorgio Manganelli: differenze tra le versioni

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*L'[[amor cortese]] si fonda su quattro regole essenziali: l'umiltà definisce la condizione propria al servo d'Amore nei confronti della sua dama; si esige pertanto differenza di grado; infatti, ove tale differenza non sussistesse, ci troveremmo in tutt'altro sistema; come annota il pio manualista amoroso [[Andrea Cappellano]], su femminetta di minor rango, «si locum opportunum inveneris», non sarà disdicevole al nobile cavaliere far ricorso ad una «modica coatio»; umiltà è tributo alla cortesia di cui la dama è custode e interprete, e che ella impone con tenero, irresistibile sadismo; o poiché non esiste interpretazione autentica della cortesia se non quella appunto della dama, non si daranno imperativi a quella estranei o superiori, ed anche l'atto codardo, il disonore, diventa onirevole quando imposto dalla dama. (p. 94)
*Ma vi è dell'altro. L'[[amor cortese]] è in primo luogo adultero. Agli antichi, questa idea dell'amor coniugale, tra marito e moglie, semplicemente non era mai venuta in mente; al più, ne avevano ricavato fantastiche fabelle arcadiche. L'amore, fosse libidinoso e dionisiaco furore, non ha nulla a che fare con la bella e funzionale istituzione sociale del matrimonio. (pp. 94-95)
*{{NDR|Sul culto pagano-sciamanico dei [[benandanti]]}} Nel 1575, a Cividale, nel Friuli, ha inizio una bizzarra vicenda sacra e dialettale, un oscuro dramma reeligioso che ha per protagonisti da una parte analfabeti contadini, uomini «vili e grami», anche maliziosi e disperati, e di fronte a costoro, uomini di chiesa, sottili ed eleganti «literati». (p. 101)
*Un contadino friulano, Paolo Gasparutto, racconta a un don Sgabarizza di essere un [[benandanti|«benandante»]]: parola di cui il prete ignora il significato; e il Gasparutto spiega come egli sia di quelli che, alle quattro tempora, vanno a far battaglia notturna contro gli stregoni. Il prete ne riferisce agli inquisitori: e inizia così una vicenda di indagini e processo protrattasi per quasi ottant'anni, e che ora [[Carlo Ginzburg]] ha ricostruto, con sottile e sapiente montaggio nel suo libro ''I benandanti''. (p. 101)
*Quattro volte l'anno – raccontano i [[benandanti]] – essi sfidano in battaglia streghe e stregoni: questi hanno per armi canne di sorgo cui i benandanti oppongono i mazzi di finocchio. E dove combattono? Nei prati del Veneto, a Cormons, a Gradisca, fin verso Verona. E perché combattono? Ma «per amor delle biade»; ad ogni battaglia, la posta è la proprietà della terra: viti, frumento, grani minuti; se vincono gli stregoni è carestia; ma se vincono i benadanti è grascia. (p. 102)
*I documenti di cui il [[Menocchio]] fu sottoposto ed una paziente, poliziesca indagine tra i libri, i documenti, le testimonianze di quel secolo religiosamente sconvolto consentono di tracciare un profilo, contraddittorio e faticoso, ma quanto intenso, di questo mugnaio, filosofo «villano», ostinato a indagare il mondo con quel suo cervello accanito e fantasioso, di poche letture, di nessuna speranza terrena; una figura solitaria, che alla fine, capisce che la sua ostinazione a pensare lo condurrà alla morte, che tuttavia non sembra vivere con la superbia del martirio per la verità. (pp. 104-105)
*Il [[Menocchio]], questo mugnaio vestito, come usano quelli del mestiere, di panni bianchi, è un uomo perseguitato da una disperata volontà di filosofare del mondo; una sorta di selvatico cruccio mentale, che lo fa irto e aggrovigliato nel discorso, ma che gli dà una piagata nobiltà di essere pensante, ignota ai suoi colti, ironici inquisitori, i vicari del vescovo, gli uomini del [[papa Clemente VIII]], i minuziosi sicari dell'ortodossia. (p. 105)