Giorgio Manganelli: differenze tra le versioni

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*Il [[Menocchio]], questo mugnaio vestito, come usano quelli del mestiere, di panni bianchi, è un uomo perseguitato da una disperata volontà di filosofare del mondo; una sorta di selvatico cruccio mentale, che lo fa irto e aggrovigliato nel discorso, ma che gli dà una piagata nobiltà di essere pensante, ignota ai suoi colti, ironici inquisitori, i vicari del vescovo, gli uomini del [[papa Clemente VIII]], i minuziosi sicari dell'ortodossia. (p. 105)
*{{NDR|Sul [[Menocchio]]}} Non abbiamo una biografia del mugnaio friulano; sappiamo che fu condannato una prima volta a vita, poi graziato; ma nuovamente tornò a parlare di Dio come «un po' de fiato»; e questa volta non venne perdonato. Non sappiamo il giorno in cui salì sul rogo a Pordenone; era l'estate del 1601. Un mese dopo, sua figlia Giovanna si sposava, ed aveva dote, «non ricca ma nemmeno troppo misera». (pp. 106-107)
*Personaggio della decadente fin di secolo, maniaco ed emarginato, [[Frederick Rolfe|Rolfe]] nella sua non lunga vita (morì nel 1913 a poco più di cinquant'anni) si specializzò in una ben lavorata demenza, fondata su di un suo progetto, che egli riteneva frustrato dalla calunnia, di divenire prete cattolico. Tutta la sua vita si sentì spretato, senza esser mai stato prete, «strappato alla vita laica, respinto dal clero», scrisse. (p. 114)
*[[Frederick Rolfe|Rolfe]] si metamorfizzò in un [[Borgia]], nell'intera casata più detestata, oggetto di una avversione sfrenata e immotivata. I Borgia, è ovvio, sono dei Rolfe; bisogna salvarli. Ma Rolfe è anche un uomo della «decadenza»; è un inglese che non ha dimenticato né rinnegato l'immagine dell'Italia cinquecentesca: una immagine festosa. [...] Rolfe nega che in quella età si sapessero usare veleni sottili e folgoranti; ma di veleni egli ama parlare, veleni strani, decadenti, come la cantarella, «una polvere zuccherata... di una bianchezza meravigliosa e di gusto assai gradevole». (pp. 114-115)
*Allo stesso modo [[Frederick Rolfe|Rolfe]] ama gli inauditi delitti all'italiana, futili assassinii a freddo, notturne decapitazioni sulla neve, impiccagioni di decine di congiurati, strangolamenti con la cordicella rossa: «era un privilegio baronale». Rolfe fu senza dubbio un «maledetto», un uomo geniale perseguitato da un demone sordido, miserabilmente astuto dotto e infelice. (p. 115)
*[[Gitta Sereny]], «di padre ungherese, nata a Vienna» ha scritto un libro che si può osare definire: non comune. ''In quelle tenebre'' (Adelphi) è un libro orribile e distensivo, e da questa lettura velocissima, furibonda, si esce con la bella calma dei fucilati. Si è detto che è un contributo unico alla conoscenza di uno degli argomenti più irritanti del nostro secolo veramente molto sgradevole: i [[campo di sterminio|campi di sterminio]] istituiti dai nazisti in Polonia. È certamente vero che in proposito questo libro racconta qualcosa che non è facile dimenticare. È dal punto di vista dell'orrore archetipico, della casa degli orchi e delle streghe, una buona fiaba. (pp. 116-117)
*Durante la recente [[Seconda guerra mondiale|guerra]] – che resterà recente finché l'ultimo di noi non sarà stato condannato – i tedeschi costruirono in Polonia, acquattati tra foreste e paludi, luoghi di antichi e nobili silenzi, quattro [[campo di sterminio|campi di sterminio]]. L'[[Gitta Sereny|autrice]] annota: «Fin dalla fine della seconda guerra mondiale, questi "campi si sterminio" sono stati confusi con i "campi di concentramento", di cui v'erano letteralmente dozzine [...]». Ora i campi di sterminio furono solo quattro, nessuno di essi fu attivo per più di diciassette mesi, e il loro compito esclusivo e specifico era quello di ammazzare esseri umani; erano puri e semplici mattatoi per uomini, donne, bambini. Al mattino arrivavano treni stipati di decine di migliaia di esseri umani, e alla sera erano tutti morti, cremati, e la loro dolce cenere accatastata compatta, là dove è tuttora. (p. 117)