Giorgio Manganelli: differenze tra le versioni

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*Il [[Menocchio]], questo mugnaio vestito, come usano quelli del mestiere, di panni bianchi, è un uomo perseguitato da una disperata volontà di filosofare del mondo; una sorta di selvatico cruccio mentale, che lo fa irto e aggrovigliato nel discorso, ma che gli dà una piagata nobiltà di essere pensante, ignota ai suoi colti, ironici inquisitori, i vicari del vescovo, gli uomini del [[papa Clemente VIII]], i minuziosi sicari dell'ortodossia. (p. 105)
*{{NDR|Sul [[Menocchio]]}} Non abbiamo una biografia del mugnaio friulano; sappiamo che fu condannato una prima volta a vita, poi graziato; ma nuovamente tornò a parlare di Dio come «un po' de fiato»; e questa volta non venne perdonato. Non sappiamo il giorno in cui salì sul rogo a Pordenone; era l'estate del 1601. Un mese dopo, sua figlia Giovanna si sposava, ed aveva dote, «non ricca ma nemmeno troppo misera». (pp. 106-107)
*[[Gitta Sereny]], «di padre ungherese, nata a Vienna» ha scritto un libro che si può osare definire: non comune. ''In quelle tenebre'' (Adelphi) è un libro orribile e distensivo, e da questa lettura velocissima, furibonda, si esce con la bella calma dei fucilati. Si è detto che è un contributo unico alla conoscenza di uno degli argomenti più irritanti del nostro secolo veramente molto sgradevole: i campi di sterminio istituiti dai nazisti in Polonia. È certamente vero che in proposito questo libro racconta qualcosa che non è facile dimenticare. È dal punto di vista dell'orrore archetipico, della casa degli orchi e delle streghe, una buona fiaba. (pp. 116-117)
*Pare certo che solo a [[Treblinka]] gli ammazzati siano stati oltre un milione. La signora [[Gitta Sereny|Sereny]], assai scrupolosa, ci avverte in una nota che non è vero che i nazisti di quei morti facessero sapone e fertilizzanti: fecero, è vero, qualche esperimento, ma risultò poco conveniente. (p. 118)
*In Inghilterra, dove [[Angus Wilson]] è considerato tra i pochissimi romanzieri importanti, lo si è definito spesso scrittore satirico, ironico narratore della società inglese del dopoguerra, che vede mescolati esemplari di assai lontane generazioni: uomini nuovi del ''welfare state'', e residui di una sconfitta aristocrazia, inetta ed eloquente. A me pare che Wilson abbia tentato un obiettivo assai più periglioso: una descrizione di società che della satira ha il disdegno ma non la buona coscienza; il rancore, senza la dignità ideologica; l'ironia ma non il distacco. È racconto insieme ilare e torvo; dignitoso e indiscreto; appunto, sgradevole. (p. 378)