Susan George (politologa): differenze tra le versioni

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:''Whether "losers" react psycologically by blaming themselves and their leaders or by blaming others and refusing to accept guilt and responsibility for their loser-hood, sooner or later they attempt to compensate for their deficiencies. They means they choose may range from individual suicide to mass immigration; from political protest and peaceful demonstrations to the formation of private milicias and outright terrorism.''<ref>{{en}} Da ''The Lugano Report. {{small|On Preserving Capitalism in the Twenty-first century}}'', Pluto Press, Londra-Sterling, Virginia, 2003, [https://books.google.it/books?id=7o2SuKWCvicC&lpg=PA12&dq=&pg=PA12#v=onepage&q&f=false p. 12].</ref>
*Nell’Europa medievale, una misura di sementi produceva soltanto due misure di grano: i raccolti erano scarsi, le riserve si esaurivano rapidamente e le carestie si verificavano più o meno ogni dieci anni. Eppure, in generale, ‘nessuno moriva di fame, a meno che non morissero tutti’. Le [[Carestia|carestie]] moderne seguono più le leggi del mercato che non la scarsità in termini assoluti, e raramente colpiscono i benestanti. Durante la grande carestia del 1846-47 che uccise quasi un milione di irlandesi, i grandi proprietari terrieri continuavano a esportare derrate in Inghilterra mentre i contadini poveri gli morivano davanti. Anche nelle carestie "classiche" del Terzo Mondo verificatesi nel ventesimo secolo come quella del Bengala, che nel 1943 uccise alcuni milioni di persone, le tavole dei ricchi sono rimaste ben fornite. Durante le carestie che hanno colpito l’Africa negli anni Ottanta non si è certo sentito parlare di decessi in massa fra i burocrati, uomini d’affari e graduati dell’esercito. Al giorno d’oggi sia al Nord che al Sud sarebbe necessaria una curiosa combinazione di circostanze, come la perdita totale del raccolto e una chiusura dei commerci dovuta alla guerra o a una calamità analoga, perché i ricchi soffrano di denutrizione, per non parlare della morte per fame. (p. 117)
*Dal punto di vista fisico, l’[[acqua]] dolce è mal distribuita fra paesi e continenti. Attualmente, l’irrigazione consuma almeno tre quarti di tutta l’acqua dolce disponibile; nel Sud, il 90% dell’acqua viene impiegata per usi agricoli. Per quanto tempo potrà durare questo modello sbilanciato di utilizzo delle risorse, ora che gli abitanti del Terzo Mondo si ammassano nelle città? (p.121)
 
==Bibliografia==