Renato Barilli: differenze tra le versioni

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*È la protesta della carne nuda, della vita elementare, affidata all'urlo cromatico, contro l'avanzare del mondo delle macchine. A livello di grafica pubblicitaria questo versante strapaesano trovò un cantore insuperabile, [[Gino Boccasile]], proteso a celebrare un'umanità media, appunto ai confini tra classe operaia e piccola borghesia, cioè quel «popolo» di cui il [[Fascismo|regime]] pretendeva di farsi guida e benevolo garante (anche se all'atto pratico si preoccupava assai degli interessi dell'alta borghesia); del resto, anche fuori di un destino di regimi dittatoriali, ci pensava un'incipiente società dei consumi a mettere in evidenza un'umanità ben pasciuta, felice del cibo, dei conforti, degli svaghi forniti dall'economia di quegli anni.<ref>Da ''L'arte e il manifesto: una storia comune''; citato in ''L'Italia che cambia attraverso i manifesti della raccolta Salce'' pp. 62-63.</ref>
*{{NDR|Su [[Adolf Hohenstein]]}} Ecco insomma che sul finire del secolo il nostro cartellonista sa già amministrare con consumata abilità e leggerezza quelle mosse sinuose, quelle falcate rapide che costituiscono il nocciolo del [[Art Nouveau|Liberty]].<ref>Da ''L'arte e il manifesto: una storia comune''; citato in ''L'Italia che cambia attraverso i manifesti della raccolta Salce'', p. 55.</ref>
*[[Adolf Hohenstein|Hohenstein]] è nato nel 1854, e dunque perfino qualche anno prima rispetto a un medio 1860 in cui vedono la luce i protagonisti della stagione [[Simbolismo (movimento)|simbolista]]. NturalmenteNaturalmente, bisogna concedere a lui e allo stile che rappresenta, il tempo d maturare, e mettere in conto anche un certo ritardo della nostra cuturacultura su quella francese (ma neanche tanto).<ref>Da ''L'arte e il manifesto: una storia comune''; citato in ''L'Italia che cambia attraverso i manifesti della raccolta Salce'', p. 55.</ref>
*In Francia il gallerista Bing, proprio nei primi anni novante, apre uno spazio all'insegna, forse la più felice fra tutte, dell'[[Art Nouveau]]. I tedeschi rispondono proponendo addirittura uno «stile della giovinezza» (Jugendstil). In Austria si parla di «ver sacrum», in Inghilterra viene agitata l'idea del «sempreverde», «evergreen». Nel nostro paese magari non dice molto l'etichetta, destinata a imporsi più di altre, che si richiama semplicemente al nome di una ditta inglese, [[Art Nouveau|Liberty]] (il nome però è colmo di consonanze favorevoli e nobilitanti); assai più indicativo, invece, il fatto che si parli, in alternativa, di florealismo,; e certo, i fiori possono anche decomporsi, ma, presi al culmine della loro parabola, offrono un esempio perfetto dell'ansia di vivere, e soprattutto di mostrare il meglio della vita stessa.<ref>Da ''L'arte e il manifesto: una storia comune''; citato in ''L'Italia che cambia attraverso i manifesti della raccolta Salce'', p. 53.</ref>
*L'Italia non fa eccezione, in proposito, e così i cartellonisti di quella stagione non appaiono inferiori ai loro colleghi delle arti nobili. Apre la sfilata, a dire il vero, un russo tedesco, [[Adolf Hohenstein]], ma di carriera italiana, svolta per gran parte a Milano, attorno alla casa Ricordi, che del cartellonismo grafico-pubblicitario in quegli anni è il massimo tempio, assieme alla ditta Mele di Napoli: Nord e Sud uniti, e una volta tanto su un piede di parità, nella prontezza di intervento.<ref>Da ''L'arte e il manifesto: una storia comune''; citato in ''L'Italia che cambia attraverso i manifesti della raccolta Salce'', p. 55.</ref>