Ryszard Kapuściński: differenze tra le versioni

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In passato, quando gli uomini giravano il mondo a piedi, a cavallo o per nave, il viaggio dava loro il tempo di abituarsi al cambiamento. Le immagini della terra scorrevano con lentezza, la scena del mondo si spostava un po' alla volta. Un viaggio durava settimane, mesi. L'uomo aveva il tempo di abituarsi al nuovo ambiente, al nuovo paesaggio. Anche il clima mutava gradualmente, a tappe successive. Prima di raggiungere la fornace equatoriale, il viaggiatore proveniente dalla gelida Europa aveva già attraversato il grato tepore di Las Palmas, la canicola di El-Mahara e l'inferno di Capo Verde.
 
===Citazioni, edizione 2009===
[[File:Starved girl.jpg|thumb|Bambina malnutrita durante la guerra del Biafra]]
*Il nostro mondo, in apparenza globale, in fin dei conti non è che un pianeta con migliaia e migliaia delle più svariate province che non si incontrano mai. Girare il mondo significa passare da una [[provincia]] all'altra, ognuna delle quali è una solitaria stella che brilla per conto proprio. Per la maggior parte delle persone che vi abitano il mondo reale finisce sulla soglia di casa, al limite del villaggio, tutt'al più al confine della vallata. Il mondo che sta oltre è irreale, insignificante e addirittura inutile, mentre quello che hanno sottomano e sotto gli occhi assurge alle dimensioni di un grande cosmo oscurante tutto il resto. Spesso gli abitanti di un luogo e chi viene da lontano hanno difficoltà a trovare un linguaggio comune, poiché ognuno di loro guarda il posto da un'ottica diversa: chi viene da fuori usa un grandangolare, che rimpicciolisce l'immagine ma allarga l'orizzonte, mentre la persona del posto ha sempre usato il teleobiettivo, se non addirittura il telescopio, che ingigantisce i minimi dettagli.
*La [[storia]] è spesso il risultato di una mancanza di riflessione. È il frutto bastardo della stupidità umana, parto dello smarrimento, dell'idiozia e della pazzia.
*Il dramma delle culture, infatti – compresa quella europea – , è consistito in passato nel fatto che i loro primi contatti reciproci sono stati quai sempre appannaggio di gente della peggior risma: predoni, soldataglie, avventurieri, criminali, mercanti di schiavi e via dicendo. Talvolta, ma di rado, capitava anche gente diversa, come missionari in gamba, viaggiatori e studiosi appassionati. Ma il tono, lo standard, il clima fu conferito e creato per secoli dall'internazionale della marmaglia predatrice che non badava certo a conoscere altre culture, a cercare un linguaggio comune o a mostrare rispetto nei loro confronti. Nella maggior parte dei casi si trattava di mercenari rozzi e ottusi, privi di riguardi e di sensibilità, spesso analfabeti, il cui unico interesse consisteva nell'assaltare, razziare, uccidere. Per effetto di queste esperienze le culture, invece di conoscersi a vicenda, diventavano nemiche o, nel migliore dei casi, indifferenti. I loro rappresentanti, a parte i mascalzoni di cui sopra, si tenevano alla larga, si evitavano, si temevano. Questa manipolizzazione dei rapporti interculturali da parte di una classe rozza e ignorante ha determinato la pessima qualità dei rapporti reciproci. Le relazioni interpersonali cominciarono a venir classificate in base al criterio più primitivo: quello del colore della pelle. Il razzismo divenne un'ideologia per definire il posto della gente nell'ordinamento del mondo. Da una parte i Bianchi, dall'altra i Neri: una contrapposizione dove spesso entrambe le parti si sentivano a disagio.
*La politica interna dell’Africa e dei suoi singoli paesi è sempre contorta e complicata: un’eredità della Conferenza di Berlino presieduta da Bismarck, dove i [[Colonialismo|colonialisti europei]], spartendosi il continente tra loro, compressero i circa diecimila regni, federazioni, comunità tribali presenti nel continente alla metà del XIX secolo, privi di stato ma autonomi, entro i confini di appena quaranta colonie. Molti di questi regni e federazioni tribali avevano alle spalle una lunga storia di guerre e di conflitti reciproci. Di colpo, senza essere stati interpellati, si ritrovarono inclusi in una stessa colonia, soggetti allo stesso potere (peraltro straniero) e a una legge comune. Arrivata l’era della decolonizzazione, gli antichi rapporti interetnici, congelati o addirittura ignorati dal governo straniero, rispuntarono tornando attuali. (2000, pp.50-51)
*{{NDR|Su [[John Okello]]}} Come spesso succede in Africa, conosce o finge di conoscere molti mestieri: è scalpellino, muratore, poi imbianchino. Semianalfabeta ma dotato di carisma, è un semplice di spirito che si prende per un messia. È guidato da alcune semplici idee che gli vengono in mente mentre taglia una pietra o mosa i mattoni. (p. 82)
*{{NDR|Su [[John Okello]]}} Ha la pelle molto scura, la faccia massiccia, i tratti grossolani. Ha in testa un berretto da poliziotto: gli insorti sono entrati nei magazzini della polizia, prendendone alcuni fucili e delle uniformi. Ma il suo berretto ha una fascia di stoffa azzurra (chissà mai perché proprio azzurra). Okello sembra assente, come sotto choc, si direbbe quasi che non ci veda. La gente gli si affolla intorno, spinge, preme, tutti parlano e gesticolano in mezzo a una confusione indescrivibile che nessuno si occupa di controllare. (p. 83)
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*Le forze etiopi impiegavano comunemente il napalm. Per salvarsi, gli eritrei cominciarono a scavare rifugi, corridoi e nascondigli mimetizzati. Nel corso degli anni costruirono un secondo stato sotterraneo, nel senso letterale del termine: un'Eritrea nascosta e segreta, inaccessibile agli estranei, che potevano percorrere in lungo e in largo senza essere visti dal nemico. La guerra eritrea non fu, come gli eritrei stessi sottolineano con orgoglio, una ''bush war'', l'uragano banditesco e sterminatore dei ''warlords''. Nel loro stato sotterraneo avevano scuole e ospedali, tribunali e orfanotrofi, officine e fabbriche di armi. In quel paese di analfabeti, ogni combattente doveva saper leggere e scrivere. (p. 266)
*Questo piccolo paese, tra i più poveri del mondo, possiede un esercito di centomila giovani, relativamente colti, dei quali non sa che fare. Il paese non ha industrie, l'agricoltura è in abbandono, le città in rovina, le strade distrutte. Centomila soldati si svegliano ogni mattina senza saper che fare, e soprattutto senza niente da mangiare. Ma la sorte dei loro colleghi e fratelli in borghese non è molto diversa. Basta girare per Asmara all'ora di pranzo. I funzionari delle poche istituzioni esistenti in uno stato così giovane vanno a mangiare un boccone nei bar e nei ristoranti del quartiere. Ma le folle dei giovani non sanno dove andare: non lavorano, non hanno un soldo. Girano, guardano le vetrine, sostano agli angoli delle strade, siedendo sulle panchine oziosi e affamati. (pp. 266-267)
 
===Citazioni, edizione 2000===
*La politica interna dell’Africa e dei suoi singoli paesi è sempre contorta e complicata: un’eredità della Conferenza di Berlino presieduta da Bismarck, dove i [[Colonialismo|colonialisti europei]], spartendosi il continente tra loro, compressero i circa diecimila regni, federazioni, comunità tribali presenti nel continente alla metà del XIX secolo, privi di stato ma autonomi, entro i confini di appena quaranta colonie. Molti di questi regni e federazioni tribali avevano alle spalle una lunga storia di guerre e di conflitti reciproci. Di colpo, senza essere stati interpellati, si ritrovarono inclusi in una stessa colonia, soggetti allo stesso potere (peraltro straniero) e a una legge comune. Arrivata l’era della decolonizzazione, gli antichi rapporti interetnici, congelati o addirittura ignorati dal governo straniero, rispuntarono tornando attuali. (pp.50-51)
 
==''Imperium''==