Varvàra Dolgorouki: differenze tra le versioni

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===Citazioni===
*Per viaggiare, mio padre aveva diritto a un vagone di prima classe per lui, la sua famiglia e i domestici. Infatti a quell'epoca, in Russia, se si comperavano dodici biglietti di prima classe, si aveva diritto di occupare un intero vagone. La cosa era molto piacevole, soprattutto perché il vagone veniva semplicemente attaccato a un treno che andava diretto alla nostra destinazione, quindi non c'era bisogno di cambiare. Finalmente si partiva: tra noi, i domestici e il bagaglio il vagone si riempiva. (p. 29)
*Per tutta la Russia si incontravano anche i ''Christà radi yuròdivy'' (semplici, o folli, per amor di Cristo). È difficile credere che qualcuno potesse lasciare la sua casa per sempre, e per sempre andarsene, lasciando cadere la propria identità, conosciuto ormai solo col nome di battesimo, pregando e sostando solo con quelli che li accoglievano, parlando brevemente, da semplice, non avendo ove posare il capo e da semplice dicendo profonde verità. [...] La gente amava quegli yuròdivy, capiva i loro bizzarri ammonimenti, espressi forse solo in nude, incoerenti parole, ma dal profondo della loro anima cristiana non vincolata a regole, in libero contatto con Dio. Alcuni di loro sono stati beatificati. Questo mi appare un modo tutto russo di attenersi strettamente alla propria fede, nella pienezza interiore dell'anima, fuori da qualsiasi precetto. (pp. 40-41)
*Talvolta, d'autunno, nella nostra campagna apparivano dei [[tartari]]. Giungevano con le famiglie, i carri e gran numero di cavalli, in cerca di lavoro. Questo significava che la siccità li aveva costretti ad allontanarsi per un certo tempo dalla loro regione onde salvar se stessi e i loro cavalli dalla fame. I cavalli sono essenziali ai tartari. Li usano per il lavoro, per il trasporto; il loro principale cibo giornaliero è carne di cavallo e latte di giumenta. (p. 50)
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*In una calda giornata d'estate, uscendo in carrozza per quelle vaste pianure, si provava un'immensa, sconfinata libertà dell'anima, come se nulla più la trattenesse e fosse pronta a balzare nell'infinito. I russi chiamano questo ''prostòr''. In tali giorni d'estate, attraversando i campi, l'aria calda, con una sorta di remota foschia, creava un'illusione di profili di boschi, d'alberi e d'altro, sul remoto orizzonte, che in realtà non esisteva. Erano morgane, miraggi, come nel deserto.<br/>Molti erano in Russia coloro che l'ignoto, il remoto attraeva; la lontananza, il ''prostòr'' li chiamava. (pp. 52-53)
*[...] le "notti bianche di Pietroburgo" così care ai nostri cuori di nordici!... La strana luce, una luce simile a nessun'altra, che dura l'intera notte: fredda, senz'ombre. Una luce che nell'indescrivibile silenzio notturno tutto pervade e incanta, in un mondo di bellezza fatata. I profili dei bellissimi edifici di Pietroburgo, come i palazzi della Nevà e la Fortezza dei Santi Pietro e Paolo, parevano la scenografia di un racconto di fate. Quelle notti bianche così diverse da essere l'antitesi delle notti del sud, profonde, vellutate, dalle stelle scintillanti, notti così oscure e calde! Notti bianche e notti oscure, ugualmente care al mio ricordo... (p. 63)
*All'inizio del 1912 mio padre cominciò a soffrire di ulcera allo stomaco; spesso doveva restare a letto per un pio di settimane, con forti dolori. Cercava di dare il minimo di importanza alla sua malattia, continuando a mostrare il massimo interesse a tutto quello che accadeva nel mondo. [...] Nella primavera del 1912 vi furono a Mosca celebrazioni per commemorare la vittoria del 1812 su [[Napoleone]]. Mio padre, sentendosi meglio, poté adempiere per l'ultima volta ai suoi doveri di Gran Maresciallo della Coerte imperiale. Ebbe la forza di prendere parte a tutte le cerimonie, ma ciò fu troppo per lui, nel suo stato di salute. Tornò stanchissimo e dovette presto rimettersi a letto per non alzarsi mai più. Il 7 di giugno del 1912, un'ora dopo che era stato chiamato il prete, mio padre trapassò in pace. (pp. 118-119)
*Mi è stato detto che lo stesso {{sic|[[Pavel Nikolaevič Miljukov|Miliukòff]]}}, a Parigi, credo nel 1936 (non più in Russia a mietere quel che aveva seminato), osò dire in una conferenza che, se l'imperatore avesse avuto un solo uomo fedele, la Rivoluzione non sarebbe potuta scoppiare. Una repellente menzogna perché laggiù al fronte stavano combattendo migliaia e migliaia di uomini fedeli. E stavano combattendo come i leali soldati russi combattevano e morivano allora per la fede, lo tsar e la patria. (da ''Appendice II, p. 168'')