Alberto Moravia: differenze tra le versioni

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*{{NDR|Su ''[[8½]]''}} Il personaggio di Fellini è un erotomane, un sadico, un masochista, un mitomane, un pauroso della vita, un nostalgico del seno materno, un buffone, un mistificatore e un imbroglione. Per qualche aspetto rassomiglia un po' a Leopold Bloom, l'eroe dell'''[[James Joyce#Ulisse|Ulysses]]'' di [[James Joyce|Joyce]] che [[Federico Fellini|Fellini]] mostra in più punti di aver letto e meditato. Il film è tutto introverso, ossia, in sostanza, è un monologo interiore alternato a radi squarci di realtà. La nevrosi dell'impotenza è illustrata da Fellini con una precisione clinica impressionante e, forse, talvolta persino involontaria. [...] I sogni di Fellini sono sempre sorprendenti e, in senso figurativo, originali; ma nei ricordi traluce un sentimento più delicato e più profondo. Per questo i due episodi dell'infanzia nella rustica casa romagnola e della fanciullezza con il primo incontro con la donna sulla spiaggia di Rimini, sono i più belli del film e tra i più belli di tutta l'opera di Fellini.<ref>Da ''L'Espresso'', 17 febbraio 1963; citato in Claudio G. Fava, Aldo Viganò, ''I film di Federico Fellini'', Gremese, Roma, 1995, [https://books.google.it/books?id=DNMSsPUpWnoC&pg=PA108#v=onepage&q&f=false p. 108]. ISBN 88-7605-931-8</ref>
*{{NDR|A [[Segesta]]}} Il sentiero pareva essere quello antico, con i gradini a cordonata e le pietre esagonali. A misura che salivo, m'investiva un calore vivificante. Il sole illuminava le rosse colonne fino a tre quarti della loro statura; sui capitelli rotondi era l'ombra dell'alto frontone; e parevano persone ritte nella luce, con la faccia riparata e gli occhi nascosti. Il verso liquido dei neri uccelli cui il luogo silenzioso ed attonito rifiutava la benché minima eco, la folta erbaccia che cresceva sul suolo interno del tempio, la vista sfondata delle montagne lontane tra l'una colonna e l'altra, sul capo il cielo dove un tempo era stato il soffitto; e nonostante questi segni di desolazione e d'abbandono, il nessun senso di rovina, l'accordo insomma del tempio con la natura circostante come se fosse stato costruito per starsene così solo e vuoto e non per riti solenni di un popolo vivente; fu questo contrasto, o meglio questa mancanza di contrasto, questa serenità, ciò che mi fece a prima vista impressione.<ref name="segesta" />
*Improvvisamente, ad una svolta, ci apparvero i [[Faraglioni di Capri|Faraglioni]] e fui contento di udire Emilia dare in un grido di sorpresa e di ammirazione. Era la prima volta che veniva a [[Capri]] e sinora non aveva aperto bocca. Da quell'altezza le due grandi rupi rosse sorprendevano per la loro stranezza, simili, sulla superficie marina, a due aeroliti caduti dal cielo sopra uno specchio. Dissi ad Emilia, esaltato da quella vista, che sui Faraglioni si trovava una razza di lucertole che non esisteva in nessun altro luogo del mondo: azzurre a forza di vivere tra il cielo azzurro e il mare azzurro... La [[Podarcis siculus coeruleus|lucertola azzurra]] che descrivevo annidata tra gli anfratti delle due rupi diventò ad un tratto il simbolo di quello che avremmo potuto diventare noi stessi, se fossimo rimasti a lungo nell'isola: anche noi azzurri dentro il nostro animo dal quale la serenità del soggiorno marino avrebbe gradualmente scacciato la fuliggine dei tristi pensieri della città; azzurri e illuminati dentro di azzurro, come le lucertole, come il mare, come il cielo e come tutto ciò che è chiaro, allegro e puro.<ref>Da ''Il disprezzo'', 1954. Citato in ''[http://www.i-libri.com/articolo/cartoline-di-moravia-da-capri-i-faraglioni/#:~:text=%E2%80%9CImprovvisamente%2C%20ad%20una%20svolta%2C,sinora%20non%20aveva%20aperto%20bocca. Cartoline di Moravia da Capri: i faraglioni]'', ''i-libri.com''; citato, parzialmente, in AA. VV. ''Culture del Mediterraneo. {{small|Radici, contatti, dinamiche}}'', a cura di Elisabetta Fazzini, LED Edizioni Universitarie di Lettere Economia Diritto, Milano, 2014, [https://books.google.it/books?id=0HbQDwAAQBAJ&lpg=PA206&dq=&pg=PA209#v=onepage&q&f=false p. 209].</ref>
*In maniera paradossale, si potrebbe affermare che appunto perché [[Fëdor Dostoevskij|Dostoevskij]] nelle ''[[Fëdor Dostoevskij#Memorie dal sottosuolo|Memorie]]'' ha il coraggio di parlare di se stesso, proprio per questo, egli attinge a una zona profonda nella quale così se stesso come gli altri non esistono più, annullati da qualche cosa di non individuale e non sociale, ossia da ciò che Dostoevskij chiama il «sottosuolo». L'importanza diciamo così storica delle ''Memorie dal sottosuolo'' sta tutta qui. Per la prima volta, riprendendo la metafora del titolo del racconto, Dostoevskij prende una lampada e discende dall'appartamento al primo piano, in cui è sinora vissuto, giù nel sottosuolo della casa. Dostoevskij, per dirla con un famoso verso di Baudelaire, scende nel sottosuolo per «au fond de l'inconnu chercher du nouveau», Dostoevskij troverà nel sottosuolo, cioè nell'«inconnu», il nuovo, cioè «le nouveau» in tale quantità che non ne uscirà più. Tutti i libri dopo le ''Memorie dal sottosuolo'' sono stati scritti da quelle latebre tenebrose. E Dostoevskij è morto alla fine nel sottosuolo, senza mai più risalire alle stanze superiori.<ref>Dall'introduzione a Fëdor Dostoevskij, ''Memorie dal sottosuolo'', traduzione di Milli Martinelli, BUR, Milano, 1995, pp. 5-6. ISBN 88-17-86559-1</ref>
*L'[[uomo]] vuole sempre [[speranza|sperare]]. Anche quando è convinto di essere disperato.<ref>Da ''Il disprezzo''.</ref>