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==''I Quaderni. Russia 1885-1919''==
*Per tutta la Russia si incontravano anche i ''Christà radi yuròdivy'' (semplici, o folli, per amor di Cristo). È difficile credere che qualcuno potesse lasciare la sua casa per sempre, e per sempre andarsene, lasciando cadere la propria identità, conosciuto ormai solo col nome di battesimo, pregando e sostando solo con quelli che li accoglievano, parlando brevemente, da semplice, non avendo ove posare il capo e da semplice dicendo profonde verità. [...] La gente amava quegli yuròdivy, capiva i loro bizzarri ammonimenti, espressi forse solo in nude, incoerenti parole, ma dal profondo della loro anima cristiana non vincolata a regole, in libero contatto con Dio. Alcuni di loro sono stati beatificati. Questo mi appare un modo tutto russo di attenersi strettamente alla propria fede, nella pienezza interiore dell'anima, fuori da qualsiasi precetto. (pp. 40-41)
*Talvolta, d'autunno, nella nostra campagna apparivano dei [[tartari]]. Giungevano con le famiglie, i carri e gran numero di cavalli, in cerca di lavoro. Questo significava che la siccità li aveva costretti ad allontanarsi per un certo tempo dalla loro regione onde salvar se stessi e i loro cavalli dalla fame. I cavalli sono essenziali ai tartari. Li usano per il lavoro, per il trasporto; il loro principale cibo giornaliero è carne di cavallo e latte di giumenta. (p. 50)
*In varie parti della [[Russia]] i [[tartari]] erano molto pittoreschi. A Tzarítzin (Colline Gialle), per esempio, sul [[Volga]]: folle variopinte, venditori ambulanti di varie merci con le loro grida caratteristiche. In [[Crimea]] i bei tartari nelle loro tuniche ricamate d'oro accompagnavano gli ospiti d'autunno, soprattutto le signore, che noleggiavano i loro cavallini, felici di quelle scorte pittoresche. (p.51)
*In una calda giornata d'estate, uscendo in carrozza per quelle vaste pianure, si provava un'immensa, sconfinata libertà dell'anima, come se nulla più la trattenesse e fosse pronta a balzare nell'infinito. I russi chiamano questo ''prostòr''. In tali giorni d'estate, attraversando i campi, l'aria calda, con una sorta di remota foschia, creava un'illusione di profili di boschi, d'alberi e d'altro, sul remoto orizzonte, che in realtà non esisteva. Erano morgane, miraggi, come nel deserto.<br/>Molti erano in Russia coloro che l'ignoto, il remoto attraeva; la lontananza, il ''prostòr'' li chiamava. (pp. 52-53)
*[...] le "notti bianche di Pietroburgo" così care ai nostri cuori di nordici!... La strana luce, una luce simile a nessun'altra, che dura l'intera notte: fredda, senz'ombre. Una luce che nell'indescrivibile silenzio notturno tutto pervade e incanta, in un mondo di bellezza fatata. I profili dei bellissimi edifici di Pietroburgo, come i palazzi della Nevà e la Fortezza dei Santi Pietro e Paolo, parevano la scenografia di un racconto di fate. Quelle notti bianche così diverse da essere l'antitesi delle notti del sud, profonde, vellutate, dalle stelle scintillanti, notti così oscure e calde! Notti bianche e notti oscure, ugualmente care al mio ricordo... (p. 63)